1 lavoratore italiano su 5 è a rischio burnout. Ma meno della metà delle aziende cura il benessere mentale
- Postato il 10 ottobre 2025
- Responsibility
- Di Forbes Italia
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Il 31% dei lavoratori italiani si sente sempre o quasi sempre stanco, già al mattino, all’idea di affrontare un altro giorno di lavoro. Sempre il 31% si dice “emotivamente esaurito” a causa del suo impiego, il 28% denuncia uno stato di stress o ansia eccessiva. Uno su cinque ha tutti questi sintomi insieme: segno di un alto rischio di burnout. Sono pochi coloro che si sentono coinvolti e hanno la sensazione di poter far sentire la propria voce in azienda: solo il 25% si sente parte di un gruppo di lavoro aperto, il 20% si sente capito e accettato, sempre il 20% pensa di avere il controllo sul suo futuro nell’organizzazione.
Sono alcuni dei risultati del rapporto Hr Trends 2025 di Randstad Professional Leaders Search & Selection, in collaborazione con l’Alta Scuola di Psicologia Agostino Gemelli dell’Università Cattolica. L’indagine, intitolata Il benessere mentale come priorità per il lavoro del futuro, è stata condotta su un campione di oltre 350 responsabili risorse umane di imprese italiane e più di 560 lavoratori.
Gli effetti del benessere mentale
Lo studio ha rivelato anche che sette lavoratori italiani su dieci chiedono che le aziende si preoccupino del loro benessere mentale, nell’ambito personale oltre che in quello lavorativo. Il 77% dei responsabili delle risorse umane dice che la sua azienda presta almeno in parte attenzione al tema, ma solo il 45% dice di avere attivato progetti o strumenti. Eppure, chi lo ha fatto ha riscontrato effetti positivi sul senso di appartenenza all’azienda (88% dei casi), qualità del lavoro (85%), motivazione e produttività (85%), fidelizzazione delle persone (81%) e immagine aziendale (81%).
Risultati che si possono ottenere con molti strumenti: iniziative di welfare, supporto psicologico, informazione e sensibilizzazione, consulenze con esperti e specialisti, palestre aziendali, menù salutari, orari flessibili, smart working, riconoscimenti economici, attività di team building, eventi di aggregazione.
L’impatto dell’intelligenza artificiale
L’intelligenza artificiale sembra poter aiutare a migliorare il benessere mentale. Nelle aziende in cui è stata introdotta ha avuto un impatto benefico in sei casi su dieci, riducendo attività ripetitive e poco gratificanti, fornendo aiuto immediato con assistenti virtuali, limitando carichi di lavoro e stress. Non mancano però controesempi: un terzo dei lavoratori parla di un calo del “senso di utilità”, di incertezza lavorativa e di riduzione della qualità della formazione.
A proposito di formazione, l’86% dei lavoratori sarebbe interessato a riceverne sul tema del benessere mentale. L’attenzione è minore da parte dei responsabili delle risorse umane: solo il 64% ha aumentato gli investimenti formativi e progettano attività con finalità sociali, per favorire la conoscenza tra le persone, rafforzare la motivazione e creare ambienti stimolanti.
Il divario tra lavoratori e hr
“Il benessere mentale oggi è un tema centrale per ogni azienda”, dice Pia Sgualdino, head of Randstad Professional Leaders Search & Selection Italia. “Attivare progetti in questo ambito ha ricadute positive sulla qualità del lavoro, sulla motivazione dei lavoratori e sulla loro fidelizzazione. Che si tratti di iniziative di welfare, flessibilità, incentivi, spazi per il relax, in ogni caso nessuno strumento, anche il più innovativo, è sufficiente da solo: serve un’organizzazione che favorisca il wellbeing in senso complessivo. La sfida per gli hr è progettare interventi a 360 gradi, supportando le persone senza risultare invadenti in un ambito delicato: bisogna mantenere il giusto equilibrio tra sostegno e rispetto dell’autonomia e della riservatezza, cogliendo i segnali di malessere senza invadere la sfera privata e far percepire l’opportunità di supporto come un’imposizione”.
Caterina Gozzoli, professoressa di psicologia della convivenza socio-organizzativa della Cattolica, ha aggiunto che “nelle organizzazioni il benessere mentale, le relazioni tra colleghi e la formazione sono ormai riconosciuti come elementi cruciali. Eppure, la ricerca evidenzia uno scollamento tra quanto le funzioni hr delle aziende dichiarano di aver messo in atto per la qualità della vita organizzativa e quanto i professionisti percepiscono (ansia, senso di esclusione, mancanza di pratiche strutturate a sostegno della collaborazione tra colleghi). Inoltre, l’intelligenza artificiale, che per gli hr è ormai un passaggio obbligato, da molti lavoratori è vista con curiosità e timore perché può alleggerire i carichi e ridurre lo stress, ma rischia di minare il senso di utilità se non accompagnata da percorsi formativi. L’organizzazione si gioca dunque la propria credibilità nella capacità di proporre e monitorare politiche e azioni entro una strategia chiara e condivisa in cui il benessere, la colleganza e la crescita non restino slogan o pezzi sconnessi ma diventino ingredienti tangibili per il miglioramento professionale ed organizzativo”.
L’articolo 1 lavoratore italiano su 5 è a rischio burnout. Ma meno della metà delle aziende cura il benessere mentale è tratto da Forbes Italia.