25 aprile, l’insurrezione modello di Genova. Il generale nazista costretto a uscire in ambulanza per andare a firmare la resa dai partigiani

  • Postato il 25 aprile 2025
  • Politica
  • Di Il Fatto Quotidiano
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Genova si sente pronta da mesi. Il piano insurrezionale è nelle tasche e nelle teste dei partigiani da novembre, si chiama piano A. Anche i tedeschi ne hanno uno, lo chiamano Z, da Zerstörungen, distruzioni, al plurale. Se si mette male, giurano che faranno saltare in aria l’intero porto, un colpo di pistola al cuore della città: lo ha ordinato Adolf Hitler. I nazisti hanno sistemato nel bacino e sulla diga foranea 219 tra mine subacquee e bombe di aerei Stukas che pesano mille chili l’una. Nonostante la imparagonabile dotazione di uomini e mezzi, nazisti e fascisti – che sono contati in almeno 20mila unità – hanno i nervi erosi dalle azioni partigiane degli ultimi due mesi. Il generale Günther Meinhold, un ufficiale “prussiano” (come si definirà) coetaneo del Führer, da un anno guida il comando nazifascista a Genova e da qualche mese sente odore di piombo nell’aria e ha cominciato a mandare segnali di disponibilità. In particolare ha agevolato un canale di comunicazione con Carmine Alfredo Romanzi (nome di battaglia Stefano), assistente all’Istituto di igiene della città, in quel momento delegato del Partito d’Azione nel Cln ligure. Meinhold vede Stefano per quattro volte, con il massimo del segreto perché massimo è il rischio: è terrorizzato all’idea di essere scoperto da Siegfried Engel, l’ufficiale delle Ss a capo della polizia nazista che ha trasformato la Casa dello Studente di Genova in un luogo di torture indicibili su partigiani e cittadini.

In uno di questi faccia a faccia Meinhard dice a Romanzi: lasciateci fare la ritirata e le bombe in porto non esplodono. Il 21 aprile consegna anche la mappa delle mine. Il 23 parte l’ordine alle Squadre d’azione patriottiche per la bonifica. La brigata femminile “Alice Noli” distribuisce 3mila braccialetti tricolore: sta per iniziare l’insurrezione. Eppure nelle stesse ore il Cln genovese ancora non sa se è il momento giusto per dare l’ordine definitivo: attaccare i tedeschi in ritirata o aspettare? I nemici non sono troppi per averla vinta senza che si trasformi in un bagno di sangue? La popolazione civile non pagherà troppo caro? La discussione si allunga fino all’alba: a maggioranza si decide che è l’ora della rivolta, che è il momento di appendere i manifesti che incitino alla battaglia finale.

In realtà l’insurrezione è già partita da diverse ore a Ponente. La miccia è la partenza dei primi convogli tedeschi e di alcuni dirigenti repubblichini. Tra il tramonto e l’alba che porta il 24 sono occupate le stazioni di Sestri Ponente, Pegli, Prà, il municipio di Voltri, gli operai prendono le loro fabbriche di Bolzaneto, Sampierdarena, Pontedecimo. In porto si infiamma l’ultimo regolamento di conti tra le Sap partigiane e la X Mas, da tempo svenduta ai nazisti. Il capitano di vascello Max Berninghaus, che la comanda, ordina di resistere a oltranza. Nella zona Est altri uomini della Kriegsmarine sono asserragliati nell’albergo Eden di Nervi. E’ in queste ore che scendono anche i partigiani dalle montagne della Liguria, i nazifascisti sono in trappola, soffocati in una manovra a tenaglia.

Non è già la guerra del generale Meinhold: cerca disperatamente Romanzi che si presenta a casa dell’alto ufficiale con una lettera del Cln, una dell’arcivescovo Pietro Boetti e un’ambulanza. I due escono sull’auto sanitaria che li porta a Villa Migone, quartiere di San Fruttuoso, casa dell’arcivescovo. Qui arrivano i delegati del Cln genovese, tra loro c’è il liberale Giovanni Savoretti, medico, nonno di Jack (cantante che porta il suo nome), e il maggiore Mauro Aloni, nome di battaglia “Colonnello Violino”, militare che dopo aver rifiutato Salò ora comanda la piazza di Genova. il presidente è Remo Scappini, comunista, operaio di una fabbrica di fiammiferi. Le trattative durano 3 ore. Meinhold si lascia andare a un’imbarazzante litania: “nervoso”, “assente”, ricorderanno i testimoni, parla “della tragedia della guerra, quasi a voler dimostrare che lui non l’aveva voluta, che non aveva condiviso le decisioni di Hitler e dello Stato maggiore del Reich”. Alle 19,30 del 25 l’atto di resa è firmato, i tedeschi devono consegnare le armi ai partigiani. Berninghaus – l’ufficiale di Marina che tiene al guinzaglio la X Mas – è nel suo delirio finale, non accetta la consegna delle armi, con altri reparti arriva a far “condannare a morte” Meinhold per alto tradimento: gli scontri proseguiranno almeno per un’altra mezza giornata. I partigiani fanno oltre 2mila prigionieri e – quando gli Alleati spuntano a Nervi – stanno già sfilando in corteo al suono dei loro canti. Il giorno dopo la stazione radio sull’altura di Granarolo parla così: “Popolo genovese, esulta! L’insurrezione, la tua insurrezione, è vinta – scandisce la voce del comandante Pittaluga, cioè Paolo Emilio Taviani, delegato della Dc nel Cln della Ligura e futuro ministro della Repubblica – Per la prima volta nella storia di questa guerra un corpo d’esercito si è arreso a un popolo”. La chiameranno “insurrezione modello”.

Fonti
Storia della Resistenza, Marcello Flores e Mimmo Franzinelli, Laterza
Genova 1943-1945, Paolo Battifora ed Elisabetta Tonizzi, Rubbettino
Insurrezione e liberazione di Genova, conferenza di Elisabetta Tonizzi per il 60esimo della Liberazione

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