A Bassano del Grappa c’è una grande mostra su Giovanni Segantini, gigante del Divisionismo
- Postato il 10 ottobre 2025
- Arte Moderna
- Di Artribune
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Il nome di Giovanni Segantini (Arco, 1858 – Pontresina,1899) evoca immediatamente la grande stagione del Divisionismo italiano, corrente artistica che non divenne mai movimento, ma che tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del XX Secolo, attraverso un gruppo di artisti motivati a uscire dagli schemi, portò avanti quella rivoluzione pittorica fondata sulla tecnica della divisione dei toni cromatici (influenzata a propria volta dalle scoperte dell’ottica moderna) che avrebbe avuto grande peso sullo sviluppo delle successive Avanguardie. Gli artisti del Divisionismo, inoltre, seppero mettere al centro della loro ricerca le questioni sociali, cavalcando con convinzione l’introduzione di soggetti prosaici iniziata per primo da Courbet. E Segantini, accanto a nomi quali Giuseppe Pellizza da Volpedo, Gaetano Previati, Plinio Nomellini, ne fu tra i principali esponenti, concentrandosi, però, principalmente sull’osservazione del paesaggio e sul rapporto tra uomo e natura.
La mostra ai Musei Civici di Bassano del Grappa
Seppur condensata nell’arco di soli vent’anni, la carriera di Segantini fu appassionata e intensa. E la mostra promossa dai Musei Civici di Bassano del Grappa, in apertura il 25 ottobre, si propone di presentare un ritratto dell’artista inedito per varietà dei contributi raccolti, capace di offrire una rilettura della sua opera in confronto all’arte coeva (in dialogo con i maggiori artisti europei del tempo, daMillet a Van Gogh). Una mostra su Segantini, in Italia, mancava da più di dieci anni. Realizzato con il Comune e con il patrocinio della Regione del Veneto (in partnership con la Regione Lombardia, nell’ambito del programma ufficiale dell’Olimpiade Culturale di Milano Cortina 2026), il progetto si avvale della collaborazione con il Segantini Museum di St. Moritz e con la Galleria Civica G. Segantini di Arco per seguire in ordine cronologico le tappe fondamentali della parabola del pittore arcense – dagli esordi “scapigliati” a Milano alle ultime sperimentazioni simboliste sulla natura: quattro sezioni per altrettanti focus tematici – attraverso prestiti nazionali e internazionali provenienti da alcuni dei più importanti musei d’Europa.










Un’ideale comunione tra uomo, paesaggio e animali
Nato ad Arco da una famiglia di umili origini, Segantini arriva presto a Milano, e dopo un’infanzia travagliata entra come garzone nella bottega del decoratore Luigi Tettamanzi. Dal 1875, frequenta un corso serale all’Accademia di Brera. Sin dagli esordi milanesi, e successivamente al suo trasferimento prima in Brianza e poi sulle Alpi Retiche, la sua opera si caratterizza per una profonda comunione con la natura, esaltata dallo studio delle potenzialità espressive della luce e del colore. Nel Divisionismo, Segantini troverà la strada più soddisfacente, virando alla fine della sua carriera verso esiti simbolisti, in rappresentazioni degli spazi alpini illuminati da una visione panteistica, che ambiscono a catturare lo spirito della montagna e a celebrarne il mito. La mostra, a cura di Niccolò d’Agati, espone un centinaio di opere provenienti dalle principali collezioni pubbliche e private italiane ed europee – dal Musée d’Orsay al Rijksmuseum di Amsterdam – e propone al pubblico un percorso tra i capolavori più noti di Segantini accanto a opere mai presentate in Italia, o assenti da molti anni. Si passa, così, dall’incontro con il gallerista Vittore Grubicy De Dragon, nella Milano della Scapigliatura e del naturalismo colorista, alla vita di campagna in Brianza, dove i temi pastorali assorbono la ricerca del pittore, in vista di un’ideale comunione tra uomo, paesaggio e animali. La fase svizzera prende avvio nel 1886 con il trasferimento nella piccola cittadina di Savognin e porta alle celebri composizioni sulla vita montana. A partire dal 1894, Segantini si trasferisce a Maloja e la sua ricerca si assesta sulla formula di quel “simbolismo naturalistico” che diventerà ossessione, fino a provocarne la morte prematura a soli 41 anni, per peritonite. L’alto profilo del lavoro scientifico svolto ha permesso di presentare alcune importanti scoperte confluite anche nel catalogo pubblicato da Dario Cimorelli Editore, che attraverso i contributi dei più autorevoli studiosi dell’opera segantiniana, con ampi apparati dedicati alla ricostruzione del percorso dell’artista, alla sua tecnica pittorica e alle indagini diagnostiche più recenti, si candida a diventare un testo fondamentale per l’evoluzione degli studi su Segantini.

Segantini e non solo. L’intervista a Barbara Guidi, direttrice del Museo Civico di Bassano del Grappa
Negli ultimi anni, le mostre organizzate dal Museo Civico stanno rafforzando l’idea di una città, Bassano, capace di proporsi tra le grandi destinazioni della cultura in Italia. Anche la retrospettiva su Segantini va in questa direzione. Come si lavora per mantenere alta l’attenzione in tal senso, fuori dalle grandi città?
È un percorso che abbiamo iniziato ormai 5 anni fa. Il Museo è uno dei più antichi del Veneto e più importanti per ricchezza delle collezioni, pur in una cittadina di solo 45mila abitanti. Abbiamo dunque cercato di riconfigurarne la missione e la visione senza tradire la sua storia, lavorando su un restyling interno dell’istituzione. Sono percorsi che hanno bisogno di tempo, ma se si lavora su visione, qualità, e una prospettiva di lungo raggio, i risultati arrivano. Abbiamo raggiunto una quota di fidelizzazione del pubblico pari al 50%: i visitatori tornano, a prescindere dalla tipologia di programmazione, perché sanno di trovare un’offerta culturale di qualità.
Come si colloca la mostra su Segantini in questo percorso?
In questi anni, alla riorganizzazione delle collezioni permanenti ha fatto da contraltare un programma espositivo regolare, che spazia da mostre più attente al territorio a progetti che esprimono uno sguardo a 360 gradi sui grandi capitoli della storia dell’arte. La mostra su Canova ci ha portato 82mila visitatori, siamo inoltre diventati centro di riferimento nel Veneto per progetti ed esposizioni sulla fotografia. Giovanni Segantini è un artista molto conosciuto e rappresenta un capitolo del lavoro dedicato ai grandi maestri della storia dell’arte. Abbiamo lavorato al progetto per due anni, con un team di lavoro di altissimo livello, a cominciare dal curatore Niccolò D’Agati.
Non a caso, questa retrospettiva è frutto di una condivisione di intenti con altre istituzioni (il Segantini Museum di St. Moritz e la Galleria Civica G. Segantini di Arco): che beneficio ne ha tratto la mostra?
Si tratta di una partnership con i due grandi musei custodi dell’eredità segantiniana. La collaborazione è una modalità a cui tengo molto da sempre, e oggi contraddistingue il percorso del Museo. Serve a conquistare la fiducia dei curatori, dei prestatori, del pubblico.
Il progetto scientifico ha portato alla luce aspetti inediti o meno conosciuti del profilo di Segantini?
Segantini è un pittore molto amato, ma da circa 10 anni non gli si dedicava una mostra in Italia. Era necessaria una profonda rilettura del suo cammino, che si basa sugli studi più recenti e su indagini scientifiche non invasive effettuate con la Bicocca, che hanno portato alle scoperte che restituiremo in mostra e in catalogo. Per esempio, sotto l’Ave Maria a trasbordo, che ha lasciato eccezionalmente St. Moritz per la mostra, abbiamo trovato la prima versione dell’opera. E anche Ritorno dal bosco nasconde un altro quadro, che si credeva perduto da un secolo.
Può anticiparci qualche progetto per il futuro prossimo del Museo? Una peculiarità della sua direzione, finora, è stata quella di accogliere stimoli diversi e aprirsi a collaborazioni e relazioni con diversi soggetti culturali. È la strada migliore per proporsi come museo aggiornato sulle esigenze contemporanee?
Oltre a lavorare sui progetti per il prossimo anno, siamo già impegnati sulla programmazione fino al 2028, quando il Museo compirà 200 anni. Dedicheremo iniziative ad artisti importanti, ci saranno un nuovo capitolo della grande fotografia, e anche una grande mostra per festeggiare il compleanno, oltre ai focus su campi meno tradizionali della pittura e della scultura, e sulla grande grafica, valorizzando la nostra Collezione Remondini. Tutto quello che realizziamo lo facciamo per il più ampio pubblico possibile, l’accessibilità è un obiettivo imprescindibile: per la mostra di Segantini, per esempio, abbiamo chiamato il fotografo visuale Mustafa Sabbagh, che ci ha aiutato a mettere in evidenza il portato più contemporaneo della pittura dell’artista, per offrire chiavi di lettura molteplici a utenti diversi. Ma tra i progetti in corso ricorderei anche il restauro del Cavallo colossale di Canova, iniziato a febbraio 2025: per ora raccontiamo il cantiere online, al termine saremo in grado di riportare al suo stato originale un’opera unica al mondo.
Livia Montagnoli
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