A Gaza il cammino della speranza fra le macerie ma finalmente dopo due anni le armi tacciono
- Postato il 11 ottobre 2025
- Politica
- Di Blitz
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Quel fiume va controcorrente. I duecentomila costretti a lasciare le loro case a Gaza, oggi fanno il percorso inverso nella speranza di trovare ancora qualcosa.
Perché molti, anzi quasi tutti, vedranno solo macerie e nessuna possibilità di avere un tetto. Parafrasando il titolo di un film che ebbe grande successo in passato potremmo scrivere: è stato un “Mezzogiorno di non fuoco”, perché solo grazie alla tregua (che diventerà pace) quella folla sterminata è potuta tornare all’ovile.
Le armi hanno taciuto proprio allo scoccare del mezzodì e da quel momento è cominciato il viaggio a ritroso. L’accordo ha avuto inizio e per qualcuno non è una buona notizia. Sono coloro che ritengono che la svolta resisterà poco, forse niente ed allora saranno loro a gioire perché hanno compreso da subito che il patto sarebbe durato lo spazio di un mattino.
Gaza aspetta gli aiuti

C’è da rimanere allibiti se si guarda in faccia questa realtà: è assolutamente incomprensibile un atteggiamento del genere. Per le proprie idee e la propria ideologia quasi si invoca un ritorno al passato, cioè a quando la gente moriva sotto le bombe o letteralmente di fame.
Oggi invece, i camion con gli aiuti alimentari possono entrare nella Striscia per dare almeno un pezzo di pane a quelle migliaia di famiglie che rischiavano di farsi ammazzare pur di riportare a casa un qualcosa che avrebbe potuto salvare i bambini e le bambine che della guerra non sapevano nemmeno che cosa fosse. Finalmente la pace, dunque. A chi la dobbiamo? Certamente ai protagonisti dell’ncontro di Sharm el Sheik.
La sinistra è di avviso contrario: la si deve a quelle centinaia di migliaia di persone che hanno sfilato per le vie del mondo per far sentire la loro voce. Senza la protesta di massa non sarebbe successo nulla e lo gridano ai quattro venti come se fosse la realtà.
“Esulta chi si dovrebbe invece vergognare” scrive stamane un giornale. Maurizio Landini è stato l’artefice in Italia di una marcia che ha fatto paura a chi comanda. A parte il fatto che la fiumana che ha invaso Roma non aveva per padrino il segretario della Cgil, ma il sindacato che gli fa ombra (cosiddetto di base); è assurdo che si voglia innescare una polemica quando abbiamo tratto tutti insieme un respiro di sollievo.
Destra scatenata
“Quella gente non era pro Pal, ma pro Hamas”, sostengono a destra. “La pace non è stata raggiunta da chi oggi ancora tuona, ma da quanti hanno saputo con diplomazia affrontare un grande problema”.
Chi è contro l’accordo o meglio contro una tregua che dimostrerà presto la sua debolezza? Le solite prefiche che muoiono di rabbia quando si accorgono che la loro ideologia va in frantumi. Eppure non si dicono convinti, sono per “Il si, ma”, scopiazzando i francesi con il loro slogan: “Oui mais”.
Vanno alla ricerca di un appiglio per dimostrare che il futuro darà loro ragione. Per quale motivo tanta acredine? Per il semplice fatto che non si guarda al Paese (e di conseguenza all’Europa), ma solo al proprio orto che comincia a non avere più acqua morendo dissetato.
La delusione di Trump per il Nobel mancato per Gaza
Anche un premio di grande prestigio come il Nobel viene aggredito nemmeno fosse un nemico armato. Donald Trump non gliel’ha fatta a vincere. “È stata una scelta politica”, dice una parte che fa dell’ideologia il suo credo. “Assolutamente no. È la destra ad aver messo il cappello sul riconoscimento più famoso al mondo”, replicano i gemelli Fratoianni e Bonelli.
La realtà è diversa perchè la premiata, Maria Colina Machado (una venezuelana che vive all’estero per volere di Nicolas Maduro) ha voluto telefonare subito a Trump per congratularsi con lui e lo stesso ha fatto il presidente degli Stati Uniti.
In attesa del voto in Toscana
Qualsiasi motivo è buono per mettere all’angolo l’avversario. Le elezioni di domani e lunedì in Toscana rappresentano una occasione da non farsi sfuggire. Dopo le due batoste nelle Marche e in Calabria, Elly Schlein cerca la rivincita. È la favorita della contesa essendo quella regione tinta da sempre di rosso.
“Però, non è detto”, replicano gli avversari che presentano come candidato il sindaco di Pistoia Alessandro Tomasi. Certo, se la segretaria del Pd dovesse andare incontro ad un nuovo flop per lei sarebbero guai seri. Ma i suoi fedelissimi giurano che in Toscana nessuno li tradirà.
I riformisti dei dem si siedono sulla riva del fiume ed aspettano che qualche franco tiratore la faccia pagare a chi è contro la rivoluzione a sinistra: un progressismo che è andato al di là di un qualsiasi progetto.
A piangere lacrime amare in Europa c’è un solo grande vincitore. Si chiama Emmanuel Macron ed è il primo inquilino dell’Eliseo. Non sa più che santo pregare per trovare un nuovo premier. Si è rivolto ad un suo pupillo, Sebastien Lecornu, quello che dopo una notte ha rassegnato le dimissioni. In preda ad un attacco di nervosismo, ha provato con altri politici. Tutti gli hanno risposto picche.
Allora il presidente ha tirato fuori l’asso dalla manica richiamando ancora uno spaesato giovanotto, proprio Lecornu. Ci sarebbe un solo modo di superare la crisi: dimettersi. Nemmeno per sogno. Aveva ragione Giulio Andreotti quando sosteneva che “il potere logora soltanto chi non lo ha”.
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