“A house of dynamite” a Venezia 2025: la paura di una nuova guerra nucleare nel thriller adrenalico di Kathryn Bigelow
- Postato il 2 settembre 2025
- Cinema
- Di Il Fatto Quotidiano
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Un missile nucleare, proveniente da non si sa bene dove, distruggerà tra 18 minuti la città di Chicago. Svolgimento cinematografico esemplare, tra le raccolte segrete stanze del potere militare e politico statunitense: A house of Dynamite di Kathryn Bigelow, film in Concorso a Venezia 2025. La paura dell’atomica torna a correre sul filo del thriller geopolitico. Soprattutto in un’epoca storica in cui la minaccia del nucleare sembra come passata politicamente in secondo piano. Le scritte che aprono il film ricordano che pur essendo finita la “guerra fredda”, e annessa vertigine della fine del mondo dietro l’angolo, milioni di testate nucleari appartenenti ad una decina di paesi nel mondo sono pronte ad essere sganciate per una guerra lampo da milioni di morti in pochi secondi.
“La traiettoria si appiattisce” è il titoletto del primo capitolo di A house of dynamite con il casuale rintracciamento radar, in una base militare dell’Alaska, di un missile nucleare proveniente dal Pacifico e diretto verso gli Stati Uniti. Nella Security Room della Casa Bianca tra personale civile, generali dell’esercito, segretario di stato e presidente Usa inizia con urgenza un briefing video che si fa immediatamente drammatico: la testata in viaggio suborbitale e supersonico non riesce ad essere intercettata dai missili di annientamento e difesa, puntando dritto nel Midwest americano. Bisogna decidere come reagire in oramai nemmeno un quarto d’ora. L’allerta si alza fino a livello 1. Tra concitate telefonate ad esperti nordcoreani e ministri russi, disperati messaggi ai familiari, evacuazioni improvvise, il panico si allarga a macchia d’olio tra funzionari ed esercito. Secondo protocollo tocca al presidente sfogliare il quadernetto con le opzioni di risposta nucleare: gialla, arancione o rossa, ma il presidente afroamericano che ricorda un narcisistico impacciato Obama (Idris Elba) non riesce a prendere una decisione definitiva. Bigelow, premio Oscar nel 2008 per The hurt locker, torna in forma smagliante dopo otto anni alla regia con il suo tradizionale approccio muscolare, ruvido e spettacolare alla narrazione, allo scolpire dei caratteri, allo scandire del tempo.
A house of dynamite è suddiviso in tre capitoli, slittamento e compenetrazione l’uno nell’altro, a rivisitare per tre volte quei 18 minuti da angolazioni leggermente differenti. Intanto, per rimanere nella colonna dei pregi, ad ogni sfogliare di capitolo l’escalation ansiogena si rinnova identica. Complice un cast all star che viene svelato con arguta gradualità (il presidente non si vede se non su schermo nero fino al terzo capitolo). Nella Security Room è Olivia (Rebecca Ferguson) la più alta in grado ad avere nervi d’acciaio, come del resto nella base dell’Alaska è una soldatessa al radar a inseguire il missile di morte quando sono i colleghi maschi a scappare fuori e vomitare. Mentre quando tocca al Segretario di Stato (Jared Harris) intento a giocare a golf, e al Presidente travolto nel solito bagno di folla pop in un campo da basket, il potere decisionale traballa, sfuma, sembra quasi tremare, nel suo inutile progressismo di facciata, incapace a reagire. Del resto in quei pochi minuti è impossibile risalire all’origine “nazionale” del lancio nucleare e qualunque risposta farà da innesco all’annientamento di mezzo pianeta.
La forza di A house of dynamite sta tutta nella rappresentazione brulicante, iperattiva e ultrarealistica degli strumenti di difesa (e guerra), nella progressiva compatta amalgama di schermi, telefoni e primi piani di terrore. Come in questo impellente, inesausto interrogativo che Bigelow ti sbatte addosso senza possibilità di fuga: e tu come reagiresti? Nel 1964 Sidney Lumet con A prova di errore aveva raccontato la stessa storia ma al contrario: con gli americani a far partire inavvertitamente il missile nucleare verso la Russia. Altri tempi. Altre paure. Altri Stati Uniti.
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