“Accordi stracciati con una mail e zero confronto sindacale. La vendita del Beauty? L’abbiamo scoperta sui giornali”: da Gucci a Saint Laurent, sciopero di 4 ore dei dipendenti di Kering Italia
- Postato il 21 ottobre 2025
- Lavoro
- Di Il Fatto Quotidiano
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Un fronte compatto che non si vedeva da un quarto di secolo. Stamattina, i dipendenti di tutti i marchi del Gruppo Kering in Italia – da Gucci a Bottega Veneta, da Yves Saint Laurent a Balenciaga – hanno scioperato per le prime quattro ore, con presidi a Milano e Scandicci. È il primo grande scontro sociale dell’era di Luca De Meo, il top manager chiamato a risanare i conti del gruppo, ed è reso ancora più significativo da fatto che ad incrociare le braccia sono tanti ‘colletti bianchi’, evento assai raro nel mondo della moda. A Scandicci, cuore della pelletteria di lusso, sono scesi in piazza non solo gli operai, ma soprattutto gli impiegati della progettazione, sviluppo e industrializzazione. Una mobilitazione storica, condivisa “a larga maggioranza” e sostenuta “con circa il 90% dei voti favorevoli in assemblea“, che segna la fine di un’era di relazioni industriali pacifiche e l’inizio di uno scontro frontale con la nuova dirigenza del gruppo. Siamo in attesa dei dati sull’adesione, ma parliamo di 1.200 dipendenti da Gucci, 250 da Balenciaga (con logistica e parte produzione), 30 in Alexander McQueen e 200 in Ginori 1735.
Ma cosa ha spinto allo sciopero lavoratori del colosso del lusso francese che, per 25 anni, non avevano mai protestato? “Di solito è più difficile far scioperare chi sta in un ufficio, specie nel mondo della moda, ma siamo arrivati allo sciopero perché questo gruppo, che storicamente ha sempre messo al centro le relazioni e l’attenzione ai propri dipendenti, ormai da circa un anno ha abbandonato le politiche abituali”, spiega al Fatto.it Massimo Bollini, segretario della Filctem Cgil di Firenze. “Hanno cominciato ad avere atteggiamenti molto autoritari e unilaterali. Quando ci coinvolgono, sostanzialmente, entrano in una posizione e vogliono uscire esattamente con la stessa posizione. In generale, la logica è: o si accetta la richiesta aziendale, o non si fa nulla. Non c’è più confronto. La filiera è già provata: il nostro mandato allo sciopero è passato col 90% di sì”.
Il “casus belli” che ha infiammato la protesta è stata la gestione dello smartworking. Kering ha minimizzato la questione, parlando di una divergenza sulla riduzione da otto a quattro giorni al mese di lavoro da remoto. Ma per i sindacati, è il metodo ad essere inaccettabile: “Lo smart working è semplicemente la prima cosa che è stata attaccata”, chiarisce Bollini. “A novembre 2024 è uscita una comunicazione a doppia firma di Francesca Bellettini e Jean-Marc Duplaix in cui, con una mail a tutti i dipendenti a livello mondo, hanno annunciato il taglio a un giorno settimanale, stracciando accordi sindacali vigenti che ne prevedevano di più. Dopo le nostre rimostranze, hanno aperto a una discussione per accordi individuali, ma la posizione è rimasta esattamente quella della comunicazione”. Questo, sottolinea il sindacalista, è diventato un modus operandi. Dal rinnovo dei contratti integrativi con proposte “involutive”, fino a veri e propri “ricatti” nel settore retail, dove è stato negato un premio welfare fisso che veniva erogato ogni anno, con la motivazione della scadenza dell’integrativo. L’ultimo episodio è stata la notizia della cessione di Kering Beauté a L’Oréal: “Abbiamo appreso dalla stampa che sono stati venduti gli asset del Beauty. Ma nei vari brand ci sono decine di lavoratori che si occupano di quel segmento. Apprendere le notizie dalla stampa, senza averne discusso prima, fa paura, soprattutto in un gruppo abituato fino a pochi mesi fa a condividere preventivamente con le rappresentanze”.











Da parte sua, Kering Italia ha chiarito in una nota che la riduzione del lavoro da remoto è stata comunicata a novembre 2024, in coerenza con la strategia globale volta a “promuovere coesione, collaborazione e sviluppo professionale“, allineandosi “all’approccio di molte aziende del settore”. L’azienda ricorda due proroghe dell’accordo precedente (fino al 30 maggio e poi al 30 settembre 2025), con implementazione da ottobre: “Continuiamo a riconoscere l’importanza della flessibilità a supporto delle esigenze individuali, all’interno di una policy ritenuta necessaria per garantire le priorità aziendali e corrette dinamiche di collaborazione”.
Il vero, grande timore dei lavoratori è ciò che ancora non è stato annunciato. La protesta di oggi arriva in un contesto di crisi profonda per il gruppo, che dopo un 2024 in frenata ha chiuso il primo semestre 2025 con ricavi in calo del 16% (e Gucci a -25%). Dal 15 settembre è operativo il nuovo Ceo Luca De Meo, che ha introdotto una “organizzazione più snella” e avviato un piano per risanare i conti del gruppo o, quantomeno, contenerne le perdite. Mercoledì 22 ottobre, a mercati chiusi, arriveranno i dati del terzo trimestre. “È evidente che ci sia la crisi”, conclude Bollini. “Ma i nostri timori sono legati a quello che può capitare domani. Le difficoltà vanno gestite insieme, non con imposizioni—dice Bollini—. L’obiettivo è comune: rilanciare i brand senza scaricare i costi sociali sui lavoratori e senza lacerare la filiera e l’indotto. Vogliamo solo riconquistare quello che è sempre stato: un confronto“. Se prevarrà la linea del dialogo o quella delle determinazioni unilaterali dirà molto non solo del futuro di Kering in Italia, ma della tenuta sociale di uno dei distretti moda più importanti d’Europa.
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