Addio al Doge. E il dipartimento dell’efficienza ammette: tagli di spesa per meno di un quarto rispetto alle promesse di Musk

  • Postato il 26 novembre 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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“Il Doge non esiste più”. Lo dice a Reuters Scott Kupor, direttore dell’Office of Personnel Management (OPM). Il Dipartimento all’efficienza governativa, lanciato lo scorso gennaio da Donald Trump ed Elon Musk per ridurre la spesa pubblica e razionalizzare la macchina amministrativa, doveva restare operativo fino al luglio 2026. Chiude, piuttosto in sordina, otto mesi prima. La giustificazione ufficiale è che molte delle sue funzioni sono state assorbite proprio dall’OPM. In realtà, soprattutto dopo l’abbandono di Musk, il Doge era diventato una sigla, senza più molto a spartire con le idee, e le ambizioni, che ne avevano accompagnato la nascita.

“Al presidente Trump è stato dato chiaro mandato per ridurre gli sprechi, le frodi e gli abusi in tutto il governo federale. Lui continua a rispettare attivamente tale impegno”, afferma in una nota la portavoce della Casa Bianca, Liz Huston. Trump e collaboratori cercano dunque di mostrare che nulla è cambiato dopo la chiusura del Doge, che i principi e gli obiettivi che ne hanno accompagnato l’istituzione restano di ispirazione per l’amministrazione Usa. In realtà, non è così. Qualcosa è profondamente cambiato, da quando lo scorso febbraio Musk impugnò una sega elettrica sul podio della Conservative Political Action Conference e urlò: “Questa è la sega della burocrazia”. Il Doge ha infatti sollevato un fiume di polemiche e scontento, nelle migliaia di dipendenti federali che sono stati allontanati ma anche in vasti settori di opinione pubblica che non hanno gradito un’azione così radicale. Lo dimostra, tra le altre cose, il voto del 4 novembre scorso per il governatore della Virginia, dove risiedono molti dipendenti federali e dove i repubblicani hanno incassato una decisa sconfitta elettorale. Di fronte a costi politici e sociali così alti, non sembra poi che i benefici siano stati quelli sperati dall’amministrazione Trump.

Ma vediamo proprio qualche numero. Secondo un centro studi indipendente, “Partnership for Public Service”, al 18 novembre scorso 211mila dipendenti federali avevano perso il loro lavoro nell’amministrazione pubblica. Il massiccio piano di licenziamenti e dimissioni ha suscitato proteste e manifestazioni in tutti gli Stati Uniti, oltre all’apertura di molti contenziosi legali. Lo scorso maggio, la Corte Suprema a maggioranza conservatrice è dovuta venire in aiuto del Doge, che chiedeva di non essere costretto a rivelare le proprie strategie, sulla base del “Freedom of Information Act”. In effetti la segretezza, la scarsa chiarezza, sono state sin dall’inizio caratteristiche connaturate all’attività del Doge. L’agenzia non ha infatti mai fornito accesso ai suoi metodi contabili e non è quindi stato possibile verificare in modo indipendente le sue stime. Al momento della sua istituzione, Musk affermò comunque di voler tagliare 2mila miliardi di dollari entro il primo anno. La cifra venne poi rivista dallo stesso Musk a mille miliardi. Secondo i calcoli pubblicati sul suo sito web, il Doge non ha raggiunto tale obiettivo. Al 23 novembre, l’agenzia afferma di aver realizzato 214 miliardi di dollari di risparmi, meno di un quarto delle promesse più prudenti di Musk.

Si tratta di numeri appunto molto lontani dalle ambizioni e dall’ottimismo sfrenato con cui il Doge era stato annunciato. La sua ideazione risale agli ultimi mesi di campagna elettorale 2024, quando l’impegno di Musk per eleggere Trump alla Casa Bianca si fece più deciso, con un investimento finale pari a oltre 250 milioni di dollari. Trump propose per la prima volta una commissione per l’efficienza governativa nel settembre 2024 all’Economic Club di New York. Nelle intenzioni del presidente, quella commissione avrebbe dovuto condurre “un audit finanziario e di performance completo dell’intero governo federale”. È con lo stringersi dell’alleanza tra Trump e Musk che quella commissione si trasforma in un vero e proprio dipartimento, e Musk ne diventa la guida naturale. I mesi a cavallo tra la vittoria del novembre 2024 e l’entrata alla Casa Bianca di Trump, nel gennaio 2025, sono del resto quelli in cui l’imprenditore sudafricano si sistema in una stanza a Mar-a-Lago e diventa il principale collaboratore del presidente eletto. Abbagliato dalla sua immensa fortuna, da quanto fatto nella ristrutturazione di Twitter, Trump dà a Musk mandato e poteri pressoché totali. A Musk si deve la scelta di diversi membri dell’amministrazione. A Musk si deve soprattutto la stesura delle linee guida in tema di burocrazia e programmi federali.

Il Doge viene creato con un ordine esecutivo a fine gennaio 2025. Musk è designato “impiegato governativo speciale”. Cominciano a partire migliaia di mail dirette ai dipendenti pubblici, in cui si annuncia il loro licenziamento o si chiede loro di precisare le mansioni. I collaboratori di Musk lanciano una serie di raid nelle varie agenzie e dipartimenti del governo, alla ricerca di dati su individui e aziende (non sono mai state davvero spiegate le ragioni di questa raccolta così capillare, anche se alcuni ritengono che sia servita al lavoro sul Grok, il progetto di intelligenza artificiale di Musk). Con le migliaia di licenziamenti, la chiusura di centinaia di contratti, la presa di controllo dell’infrastruttura informatica, iniziano anche le cause e le proteste per le strade di mezza America. La scure di Musk è guidata dai suoi orientamenti ideologici. Vengono presi di mira, in particolare, gli aiuti esteri e lo Usaid, l’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale. Il blocco dei programmi di assistenza, unito al licenziamento della quasi totalità del personale, avviene nel giro di qualche settimana ma avrà effetti disastrosi sul lungo periodo. Uno studio pubblicato su Lancet stima che i tagli agli aiuti sanitari e alimentari potrebbero causare 14 milioni di morti entro il 2030, di cui quattro milioni bambini.

Il resto è storia recente. Musk entra in rotta di collisione con Trump, che mostra di soffrirne sempre di più il protagonismo mediatico e politico. È il “Big, beautiful bill”, che Musk considera un salasso per le casse pubbliche, a decretare la rottura definitiva tra i due. Ci sono però anche ragioni personali nell’addio dell’imprenditore al DOGE, lo scorso maggio. Un movimento di consumatori, il “Tesla Takedown” si diffonde negli Stati Uniti e in Europa e chiede il boicottaggio dei veicoli Tesla in risposta all’attività politica di Musk. Ma ci sono anche alcuni azionisti della casa automobilistica, tra cui alcuni fondi pensione, che cominciano a guardare con preoccupazione all’impegno politico del loro numero uno. Un calo del 71% degli utili trimestrali e del 13% delle vendite delle auto Tesla è visto come un campanello d’allarme che non può essere trascurato. Gli investitori chiedono a Musk di dedicare almeno 40 ore a settimana a Tesla o di farsi da parte. Musk si fa da parte, ma è l’amministrazione Trump che abbandona. Da quel momento lasciano il Doge, e passano ad altre mansioni, anche i principali collaboratori di Musk: Joe Gebbia, Edward Coristine, Zachary Terrell. L’annuncio di queste ore – “il Doge non esiste più” – è dunque il sigillo formale che pone fine a una storia già conclusa di enormi ambizioni, polemiche laceranti e sofferenze non indifferenti per milioni di americani.

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