Adolescenti senza filtri: la nuova generazione followers vive tra social, paure e un domani che mette ansia
- Postato il 9 settembre 2025
- Di Panorama
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L’immagine è perfetta, il sorriso calibrato, l’outfit studiato per sembrare casuale. Poi c’è il filtro giusto: perché la realtà, da sola, non basta. Questa è la Generazione Follower fotografata dall’indagine 2025 di Laboratorio Adolescenza e Istituto IARD su 3.160 studenti tra i 12 e i 19 anni. Un’indagine che, anno dopo anno, sembra sempre meno un report sociologico e sempre più un bollettino medico: diagnosi di fragilità cronica, con sintomi che vanno dall’insicurezza alla paura del futuro.
L’86,5% degli adolescenti posta foto e reel, e il 17,5% lo fa “spesso”, come un rituale. La metrica della felicità? Il numero di follower. Più ne hai, più vali. Poco importa se la popolarità è costruita su contenuti effimeri: l’obiettivo è accumulare cuori, anche a costo di inseguire il sogno da influencer per una crema gratis o un paio di sneakers “collaborative”.
La ricetta per essere visti: creatività e bellezza (ma tanta)
Nel manuale non scritto della popolarità online, il primo capitolo è dedicato all’idea virale: il 32,1% degli adolescenti crede che la chiave del successo sia riuscire a inventare un contenuto capace di fare il giro del web. Ma, subito dopo, la classifica mette in chiaro una verità antica quanto Instagram: per emergere serve essere belli. Il 24,7% lo ammette senza esitazioni, confermando che la fotogenia resta un capitale sociale potentissimo, soprattutto in un ambiente dove l’immagine è tutto e la profondità si misura in pixel.
A completare la formula, l’80% confessa di imitare influencer coetanei: non le celebrity irraggiungibili, ma ragazzi e ragazze che vivono vite apparentemente “normali” e che, proprio per questo, sembrano più accessibili. Si copiano vestiti, acconciature, posture, perfino espressioni facciali. È una replicazione in serie che appiattisce le differenze e crea un effetto “vetrina” dove ogni profilo diventa la copia di un altro.
Il problema è che questa costruzione estetica non è mai neutra: più il sé online prende forma e si perfeziona, più aumenta la distanza dal sé reale. Una distanza che genera insicurezza, perché mantenere una versione di sé “curata” e sempre pronta alla pubblicazione è un lavoro a tempo pieno. E quando la vita offline non regge il confronto con quella patinata del feed, la frustrazione diventa inevitabile. In altre parole, nella Generazione Follower, il prezzo della visibilità è spesso la serenità.
Challenge estreme: l’adrenalina che uccide
Il lato oscuro del web non è un mistero, ma continua a mietere adepti. Il 13% ha già partecipato a una challenge e il 9,5% è pronto a rifarla. Sfide pericolose che, come dimostra la cronaca recente, possono diventare letali. E mentre i ragazzi rischiano, genitori e insegnanti restano all’oscuro: troppi non sanno nemmeno cosa sia una challenge. Un vuoto di conoscenza che rende la prevenzione un’illusione.
Futuro grigio, presente fragile
Solo il 37% guarda al domani con fiducia, contro un 62,4% che vede il futuro nero. Le paure cambiano con le stagioni: il Covid è già dimenticato, ora in cima alla lista c’è la guerra (53,6%), seguita dal degrado ambientale (48,7%) e dalle catastrofi naturali (38%). Le ragazze sono più pessimiste dei ragazzi e meno propense a restare ferme: il 37% sogna una vita fuori dall’Italia. La mobilità è vista come una via di fuga, più che come un’opportunità.
Intelligenza artificiale: più minaccia che alleata
È già sul banco di scuola, anche se nessuno l’ha ufficialmente invitata. L’IA è lo strumento che molti adolescenti usano per fare i compiti, trovare risposte veloci e, talvolta, aggirare lo studio tradizionale. Ma se nel quotidiano è un aiuto silenzioso, nella percezione collettiva resta un ospite inquietante. Il 34,3% degli intervistati la vede come una minaccia, contro il 31,1% che la considera un’opportunità.
Il dato più interessante è di genere: tra le ragazze, la percentuale di chi diffida supera il 42%. Forse perché, a quell’età, sviluppano una capacità critica più rapida e si interrogano sugli effetti a lungo termine di una tecnologia che non si limita a sostituire compiti ripetitivi, ma può cambiare il modo di vivere, lavorare, perfino pensare.
E qui entra in gioco la grande contraddizione: l’IA è temuta ma non conosciuta a fondo. Viene usata senza consapevolezza, sfruttata per comodità ma percepita come pericolosa per il futuro. È un po’ come avere in tasca un coltellino svizzero e usarlo solo per aprire pacchetti, ignorando che, nelle mani giuste (o sbagliate), può fare molto di più.
Questo cortocircuito rischia di creare una generazione di “utenti passivi”: capaci di sfruttare l’IA per un compito urgente, ma non di governarne l’impatto sulla propria vita. In un’epoca in cui la tecnologia detta i tempi, non comprenderne il funzionamento significa consegnarsi, senza accorgersene, a un futuro che qualcun altro sta già scrivendo.
Offline: la popolarità si misura in simpatia
Nella vita reale, per essere popolari non serve sfoggiare l’ultima sneaker limited edition o un guardaroba da passerella. Conta di più far ridere (94%), ispirare fiducia (88%) e essere pronti ad aiutare gli amici (86%). La bellezza scende al 38%, la moda al 22%, la ricchezza al 14,8%: status symbol che online possono sembrare decisivi, offline diventano dettagli marginali.
Eppure, nonostante questa scala di valori più “umana”, il 55% ammette di non sentirsi popolare neppure tra i propri amici. Segno che l’insicurezza non vive solo sui social: si insinua nei corridoi della scuola, nelle uscite del sabato, nei silenzi di gruppo in chat. È una popolarità precaria, che oggi non si misura più solo nei like, ma anche nei messaggi lasciati senza risposta, negli inviti che non arrivano, nelle foto di gruppo in cui si viene taggati per ultimi.
La Generazione Follower vive una doppia pressione: online deve mantenere un’immagine curata e coinvolgente, offline deve risultare simpatica, affidabile e sempre presente. Due performance parallele che lasciano poco spazio alla spontaneità e molto all’ansia da prestazione sociale.
Cultura in crisi: il tempo libero si ferma al feed
Cinema e mostre resistono, salvati soprattutto dalle uscite scolastiche e dal fascino ancora integro di un grande schermo o di una sala espositiva. Ma appena si esce dal perimetro dell’obbligo didattico, la partecipazione crolla: solo il 48,9% legge libri per piacere, appena il 17,5% va a un concerto di musica leggera, percentuale che scende sotto il 10% per la musica classica.
Non è solo colpa dell’“effetto TikTok” o dell’attenzione ridotta a 30 secondi: dai focus qualitativi emerge una barriera economica pesante. Concerti, viaggi e attività artistiche restano un lusso, soprattutto per chi vive in famiglie che già fanno i conti con spese scolastiche e bollette in salita.
A questo si aggiunge un cambio di priorità: per molti adolescenti il tempo libero è ormai colonizzato dai social, più accessibili e immediati, dove “consumare” cultura significa scorrere reel di 15 secondi, ascoltare un estratto di una canzone su Spotify o visitare virtualmente un museo attraverso un influencer.
Il problema è che questa fruizione frammentata non costruisce un vero bagaglio culturale: è una collezione di stimoli veloci che non sedimentano. E così, la Generazione Follower rischia di crescere con un archivio di ricordi digitali enorme, ma con pochissime esperienze culturali vive da raccontare.
Sessualità: Google batte scuola e famiglia
Quando si tratta di sesso e contraccezione, internet è il primo “insegnante” della Generazione Follower. Il 39,6% degli adolescenti si informa online, spesso senza filtri e con il rischio di finire su fonti tutt’altro che affidabili. La scuola resta ferma al 17,1%, la madre scivola al 13,9%, il padre si perde in fondo alla classifica. Amici e medici, un tempo punti di riferimento, oggi giocano ruoli marginali.
Il dato più preoccupante è che questa alfabetizzazione sessuale digitale avviene proprio nella fase in cui la sessualità inizia a essere praticata: in un momento in cui la contraccezione non è un argomento “da adulti”, ma una necessità reale. In assenza di educazione strutturata, l’algoritmo decide cosa i ragazzi vedono: e tra un tutorial su YouTube e un video su Pornhub, il confine tra informazione e intrattenimento si fa sottilissimo.
Il 55% vorrebbe poter parlare in privato con il proprio pediatra, ma un terzo non ne ha la possibilità. E anche quando la possibilità c’è, subentra la paura di essere “traditi” con i genitori. Questo silenzio autoimposto chiude la porta a conversazioni fondamentali su fumo, alcol, droghe e comportamenti a rischio in rete.
Il risultato è una generazione che sa digitare “come si mette un preservativo” prima ancora di aver avuto un’educazione sessuale di base, che conosce la teoria attraverso gli schermi ma rischia di inciampare sulla pratica. Una sessualità costruita più sull’immaginario digitale che sull’esperienza consapevole, e che per questo resta fragile, vulnerabile e spesso distorta.
Un presente che somiglia a un feed infinito
La Generazione Follower è fragile, iperconnessa, più preoccupata che fiduciosa. Tiene all’ambiente, sogna di cambiare città o paese, ma non vede prospettive chiare. Nel frattempo, continua a raccontarsi attraverso schermi e filtri, cercando conferme a colpi di like. Il rischio? Che la vita vera diventi solo un’appendice di quella online. E quando il numero di cuori scende, resti un vuoto difficile da riempire.