Affittopoli, 30 anni dopo: l’inchiesta (giornalistica) che fece tremare la Casta
- Postato il 14 agosto 2025
- Di Panorama
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Vittorio Feltri lo ha ricordato la scorsa settimana sul Giornale. Il 17 agosto di trent’anni fa scoppiò lo scandalo di Affittopoli. A dire il vero, all’inizio si trattò di uno scoppio poco rumoroso, che la maggior parte degli altri quotidiani ignorò. Tuttavia, con il passare dei giorni e con l’accumularsi di casi che suscitavano indignazione nell’opinione pubblica, alla fine l’inchiesta si impose perfino nei tg della sera, quelli più seguiti. E Affittopoli non solo entrò nel linguaggio comune per rappresentare i privilegi di una Casta politica che si era appropriata di case di lusso a spese dei pensionati, ma divenne un esempio formidabile di che cosa può fare un giornale quando decide di scavare a fondo nelle pieghe degli sprechi pubblici.
Un caso nato per caso
Tutto cominciò per caso, un po’ perché d’estate il Parlamento va in vacanza, e per un quotidiano che campa di politica le notizie scarseggiano, e un po’ perché gli anni trascorsi nella cucina delle redazioni mi avevano insegnato che qualche articolo nel cassetto pronto per ogni evenienza è sempre meglio averlo, onde evitare l’angoscia della prima pagina bianca. Così, quando nel mese di luglio mi arrivò sulla scrivania l’appunto di un collaboratore dell’allora presidente della Confedilizia Corrado Sforza Fogliani, mi incuriosii e decisi di approfondire. La nota inviatami riassumeva i risultati degli investimenti immobiliari fatti dagli enti previdenziali. Dovete sapere che all’epoca Inps, Inpdap, Enpas e Inadel, cioè i fondi pensione nel settore pubblico e privato, erano costretti per legge a investire nel mattone. Gli immobili con i loro affitti dovevano garantire un rendimento sicuro e assicurare dunque le pensioni dei lavoratori nonostante l’inflazione, che ai tempi galoppava a due cifre. Per questo, per rendere conto di come era gestito il patrimonio immobiliare di pensionati e lavoratori, gli enti previdenziali presentavano al Parlamento una relazione annuale.
Un rendimento da fame
E proprio questo segnalava l’appunto di poche righe del collaboratore del presidente di Confedilizia: in un anno, gli enti avevano ottenuto un rendimento minimo, pari all’1,65%. Considerando l’inflazione, pur disponendo di un patrimonio immobiliare fatto di decine di migliaia di appartamenti, l’Inps e gli altri enti erano riusciti a perdere soldi. La cosa attrasse la mia attenzione. All’epoca ero vicedirettore vicario, cioè il vicedirettore operativo che aveva l’incarico di organizzare il giornale. Dunque chiamai un collega e gli affidai quelle poche righe dicendogli: dobbiamo fare un’inchiesta per capire dove finiscano i soldi dei lavoratori. Devi farti spiegare tutto, come investono, quali sono i canoni e gli sprechi. Senti tutti. Così, quando dopo Ferragosto ci ritrovammo in redazione con le agenzie che centellinavano le notizie con il contagocce, l’inchiesta preparata nei giorni precedenti finì in pagina. Non senza qualche dubbio. Il primo a non essere convinto fu lo stesso Feltri: chi se ne frega ad agosto degli affitti dell’Inps? Ma di alternative non ce n’erano e dunque l’inchiesta fu pubblicata. Anche il secondo giorno, quando chiesi di fare ulteriori approfondimenti, calcolando che per ogni appartamento gli enti incassavano 69 mila lire al mese in media, mentre quella del mercato era di un milione, affiorò qualche dubbio sull’interesse dell’inchiesta: troppi numeri, troppi dati, troppe cose da economisti. Per fortuna l’assenza di un notiziario alternativo non lasciò scampo.
La svolta e il titolo che fece il botto
Il terzo giorno, Vittorio mi chiamò prima di arrivare in redazione e mi disse: sai che questa faccenda è interessante? Dobbiamo fare un gran titolo e stanare i vertici dell’ente e farci dire perché perdono soldi quando chiunque con il mattone li guadagna. Così nacque il titolo: Chi li ha visti?, con la faccia del ministro Tiziano Treu e del direttore generale dell’Inps, Gianni Billia. Erano tutti in vacanza e dunque l’avviso di ricerca era indispensabile. Nel frattempo, mentre gli inviati del Giornale se ne stavano in spiaggia, un gruppo di ragazzi, assunti a tempo determinato per coprire l’organico estivo, venne sguinzagliato per le vie deserte di Roma, alla ricerca dei palazzi di proprietà degli enti previdenziali e dei loro inquilini. A guidarli c’era Andrea Pucci, capo della redazione nella capitale, oggi direttore del Tg4 e del Tg di Italia 1, oltre che delle news di Mediaset. Del gruppo di cronisti invece faceva parte Gianmarco Chiocci, attuale direttore del Tg1. Furono loro, parlando con i portinai e con i vicini, a scovare i nomi illustri di chi occupava per poche migliaia di lire le case degli italiani.
La lista segreta e lo scandalo politico
Venne fuori che grazie alla gestione sindacale degli enti, la nomenclatura aveva requisito attici nel centro storico pagando cifre irrisorie. Nilde Iotti, l’ex moglie di Achille Occhetto, Walter Veltroni, Massimo D’Alema, Sergio D’Antoni, Ottaviano Del Turco, la figlia di Luciano Lama, il nipote di Andreotti, il fratello di Garavini, la mamma di D’Alema: l’elenco era lungo e alla fine pretendemmo che gli enti consegnassero la lista di tutti gli inquilini. Ricordo che mi venne consegnata in un bar da un dipendente dell’Inps, con il beneplacito del direttore generale, il quale aveva il terrore di essere scoperto. Ma ricordo anche che funzionari e semplici impiegati, che per anni avevano osservato lo scandalo senza poterlo denunciare, in forma anonima cominciarono a chiamare in redazione, per segnalare amiche e amici dei politici che avevano ottenuto le case scavalcando liste d’attesa e, soprattutto, a prezzi ridicoli. In particolare ricordo Tiziano Treu, ministro del Lavoro, che alla domanda se la sua segretaria godesse di un alloggio a canone agevolato di un ente cominciò a balbettare.
L’ipocrisia smascherata
Fu una grande inchiesta, che mise in luce l’ipocrisia della sinistra. Dopo Tangentopoli, gli esponenti dell’allora Pds salvati dai giudici esibivano le mani pulite come segno distintivo rispetto agli altri. Peccato che quelle stesse mani arraffassero soldi in altro modo, usando la cosa pubblica – ossia i contributi dei lavoratori – come se fosse cosa loro. Soprattutto fu un’inchiesta che dimostrò come i giornali, quando fanno il loro mestiere, sono davvero il cane da guardia dell’opinione pubblica.