Al Prado una grande mostra racconta la storia della Vergine di Guadalupe 

Farsi immagine. La storia dell’arte è costellata dei tentativi umani di dipingere il divino, ma in alcuni rari casi ci sono immagini che vengono reputate non frutto di mano d’artista, bensì acheropite, ovvero comparse per volontà stessa del sacro.  Se la maggior parte di queste hanno un peso più sulla sfera religiosa che sulla storia dell’arte, esiste senza dubbio un’icona il cui impatto sul Paese in cui è comparsa (e non solo lì, come vedremo) è stato tale da dover essere ascritta tra le immagini più significative mai rappresentate negli ultimi secoli, prescindendo dalla sua natura umana o divina. Si tratta della Madonna di Guadalupe, che è oggi protagonista di una grande mostra al Museo del Prado.

La mostra sulla Vergine di Guadalupe al Prado di Madrid

Questa mostra monografica raccoglie settanta opere – dipinti, incisioni, sculture, libri –  che seguono il viaggio e l’influenza dell’immagine apparsa a Juan Diego nel 1531 in Messico e che da lì ha attraversato oceani, vicereami, conventi, tipografie e botteghe. Curata dagli studiosi Jaime Cuadriello e Paula Mues Orts, l’esposizione ricostruisce la prima immagine mariana globalizzata e insieme la rete di interessi religiosi, economici e politici che l’ha resa tale, mettendo sul tavolo decenni di museologia eurocentrica e riallineando il racconto a una prospettiva transatlantica.

Tepeyac 1531: nascita dell’immagine della Vergine di Guadalupe

Secondo la tradizione, le apparizioni della Vergine di Guadalupe ebbero inizio la mattina del 9 dicembre 1531sul colle del Tepeyac, alle porte di Città del Messico. Protagonista dell’evento fu Juan Diego Cuauhtlatoatzin, un contadino di origini azteche recentemente convertito al cristianesimo. Mentre percorreva il sentiero che lo conduceva verso la capitale si trovò davanti una figura femminile avvolta in luce, che si esprimeva nella sua lingua nativa, che gli chiese di far erigere un santuario in suo onore ai piedi della collina. Juan Diego si affrettò a riferire l’accaduto al vescovo Juan de Zumárraga, il quale, diffidente, non gli prestò fede. Allora seguendo le istruzioni di una successiva apparizione Juan Diego trovò in cima alla collina delle rose di Castiglia, fiorite in pieno inverno su un terreno arido. Ne raccolse un mazzo e le avvolse nella sua tilma, il mantello di fibra d’agave che indossava. Presentatosi dal vescovo, aprì il tessuto per mostrare i fiori: in quell’istante sul mantello apparve impressa l’immagine della Vergine, cinta in vita da una fascia nera – segno di maternità nella cultura nahua – e circondata da raggi di luce. Di fronte al prodigio, Zumárraga e i presenti caddero in ginocchio. Il giorno seguente, Juan Diego guidò il vescovo fino al colle per indicare il luogo in cui Maria aveva chiesto fosse costruito il santuario. L’immagine miracolosa fu subito esposta nella cattedrale di Città del Messico, segnando l’inizio di una devozione destinata a diffondersi ben oltre i confini della Nuova Spagna. Questo episodio, fissato nel testo náhuatl del Nican Mopohua nella metà del XVI secolo, è considerato l’atto di nascita del culto guadalupano. Secoli più tardi, nel 2002, la Chiesa riconobbe ufficialmente Juan Diego come santo, proclamato da papa Giovanni Paolo II.

Tan lejos, tan cerca. Guadalupe de México en España, installation view at Museo del prado, MAdrid, 2025. Courtesy Museo del Prado
Tan lejos, tan cerca. Guadalupe de México en España, installation view at Museo del prado, MAdrid, 2025. Courtesy Museo del Prado

L’Immagine e la sua simbologia

L’icona originaria è impressa come detto su una tilma, un mantello composto da due teli di fibra d’agave cuciti insieme, alto circa 143 centimetri. La Vergine vi appare come una giovane donna meticcia, dalla pelle scura, con i tratti che richiamano la popolazione nata dall’incontro tra mondo indigeno e coloniale. È raffigurata avvolta da raggi solari, con la luna sotto i piedi e un nastro scuro annodato sopra il ventre, segno che nella tradizione nahua indicava la maternità. Sotto la luna un angelo, dalle ali tricolori – bianco, rosso e verde, gli stessi colori che diventeranno poi quelli della bandiera messicana – sostiene la figura mariana. Alcuni elementi iconografici rimandano direttamente all’universo religioso precolombiano: il manto verde-azzurro ricorda i colori associati a Ometeotl, divinità suprema azteca; il colle del Tepeyac, teatro delle apparizioni, era anticamente sede di un santuario dedicato alla dea madre Tonantzin, la cui pianta sacra era proprio l’agave. Al tempo stesso, la composizione della Vergine si richiama a simboli biblici: il sole, la luna e la corona di dodici stelle rimandano al passo dell’Apocalisse (12, 1-2), che descrive la “donna vestita di sole”. Il risultato è un’immagine capace di tenere insieme universi culturali diversi – quello cristiano e quello indigeno – diventando ponte visivo e spirituale tra due mondi.

Diffusione e codificazione in età barocca della Vergine di Guadalupe

La devozione guadalupana si diffuse ben presto oltre i confini della Nuova Spagna. Già nel 1571, durante la battaglia di Lepanto, l’ammiraglio genovese Gianandrea Doria custodiva a bordo della propria nave una copia dell’immagine,dono del re di Spagna Filippo II. Secoli dopo, negli anni Venti del Novecento, furono i Cristeros – i cattolici messicani insorti contro le leggi anticlericali del governo – a combattere portando la figura della Virgen morenita impressa sui loro stendardi. Il percorso espositivo spiega come, a metà Seicento, pittori novospagnoli come José Juárez e Juan Correa e l’incisore sivigliano Matías de Arteaga codifichino un modello rappresentativo delle quattro apparizioni: una sequenza narrativa che si diffonde su tele, rame, carte e reliquiari, sostenendo tre secoli di devozione. Tra XVII e XVIII Secolo, viceré, vescovi, ordini religiosi e famiglie legate al commercio transoceanico moltiplicano invii e committenze in direzione del Messico: prima dell’Indipendenza messicana del 1821, si contano nella Penisola Iberica quasi un migliaio di repliche di origine mesoamericana, distribuite in cattedrali, basiliche, collegi e santuari. La mostra propone una “cartografia guadalupana” della Spagna, a testimonianza di una geografia devozionale capillare. Ma anche il resto dell’Impero Spagnolo vide la diffusione del culto guadalupano che raggiunse la rotta transpacifica, come ad esempio le Filippine come testimoniano alcune delle opere più belle esposte al Prado, realizzate con la tecnica dell’enconchado, o intarsio con conchiglia sulla base delle lacche ornamentali giapponesi namban che consisteva nell’inserire scaglie di madreperla in un pannello ligneo che veniva poi dipinto con sottili strati di pigmento, lacca e vernici per esaltare la brillantezza delle conchiglie. Altri manufatti sono realizzati in avorio realizzati in Asia per il mercato della Nuova Spagna o della Penisola Iberica.

Dal simbolo religioso all’araldica politica

Per i sostenitori della sacralità della Vergine di Guadalupe c’è un elemento dell’immagine che profuma di preveggenza: la Madonna infatti si presenta con i tratti di una donna meticcia, una raffigurazione sorprendente per l’epoca, poiché nei decenni immediatamente successivi alla conquista spagnola il meticciato era ancora una realtà marginale, . L’immagine anticipa dunque un’identità nuova, che solo più tardi sarebbe diventata prevalente in Messico, facendone da subito un potente simbolo di inclusione e di sintesi culturale. Un’identità difficile da creare, a partire dallo stupro di un’altra figura femminile parte oramai del pantheon pagano messicano, la Malinche, donna indigena divenuta interprete e compagna di Hernán Cortés, la cui immagine è stata caricata di significati negativi, incarnando la sofferenza e il senso di colpa collettivo legato alla conquista. Questa eredità ha ostacolato la piena valorizzazione del mestizaje come fondamento identitario, poiché richiedeva il superamento di sentimenti profondi di umiliazione legata alla violenza e allo sfruttamento coloniale. La tensione ha iniziato a sciogliersi nel Novecento, quando intellettuali come José Vasconcelos hanno promosso il concetto della Raza Cósmica, un’idea di fusione delle razze – europea, asiatica, africana, indigena – in una nuova civiltà sincretica. Il mestizaje veniva così proposto come un anello positivo di unità nazionale, in grado di superare i retaggi delle caste e della gerarchia etnica, e ancora una volta la Madonna di Guadalupe era simbolo perfetto per incarnare questo neonato orgoglio. Col passare dei secoli, questa forza iconica ha travalicato i confini del culto religioso per entrare nella sfera pubblica e politica. Durante l’indipendenza messicana e nelle rivolte sociali del Novecento, la sua immagine venne issata su stendardi e processioni: da Miguel Hidalgo a Emiliano Zapata, fino agli zapatisti del Chiapas, la Guadalupana è diventata il volto visibile di battaglie collettive. Oggi la sua presenza accompagna anche la diaspora messicana, che l’ha portata in chiese e strade di città lontane. A New York, ogni 12 dicembre, migliaia di fedeli partecipano alla processione che dalla parrocchia di Our Lady of Guadalupe at St. Bernard percorre l’Ottava Avenue fino a St. Patrick’s Cathedral, tra musica mariachi e danze indigene, culminando in una Messa in spagnolo. Un rito che trasforma l’antico bastione dell’emigrazione irlandese (comunità ormai assimilata e sempre più secolarizzata) in spazio di un cattolicesimo ormai multiculturale e transnazionale. Il suo potere visivo – la tunica rosa, il manto turchese stellato, il sole, la luna e la fascia che indica la maternità – continua a parlare a immaginari diversi, indigeni, biblici e barocchi. Non a caso il Prado definisce la Guadalupana una “reliquia viva”: la sua riproduzione non indebolisce l’aura originaria, ma la moltiplica, estendendola nello spazio e nel tempo, dal mantello di un contadino náhuatl fino alle processioni urbane del XXI Secolo.Federico Silvio Bellanca
MADRID // Fino al 14 settembre
Tan lejos, tan cerca. Guadalupe de México en España
Museo del Prado, Madrid

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Autore
Artribune

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