Alemanno da Rebibbia: «in carcere si muore»
- Postato il 3 maggio 2025
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Alemanno da Rebibbia: «in carcere si muore»
L’ex sindaco di Roma e storico esponente della Destra sociale Gianni Alemanno, da Rebibbia dove è detenuto scrive a Nordio e denuncia sovraffollamento e morti in carcere. Appello: «Devono essere utilizzate tutte le misure alternative».
Gianni Alemanno dal carcere romano di Rebibbia, dove è rinchiuso nel braccio G8 da fine dicembre, scrive al ministro della Giustizia Carlo Nordio per denunciare da detenuto come si vive – ma soprattutto come si continua a morire – in carcere tra sovraffollamento, abuso della carcerazione preventiva, detenuti oltre i limiti d’età rinchiusi in cella e nessuna misura concreta per disinnescare una vera e propria bomba a orologeria. Alemanno, ex sindaco di Roma e storico esponente della Destra sociale scrive a Nordio, ma la risposta anche se non diretta e diversa dalle sue considerazioni gli arriva dalla Destra, con la premier Giorgia Meloni che conferma la linea finora seguita dal governo.
ALEMANNO DAL CARCERE DI REBIBBIA SCRIVE A NORDIO, LA RISPOSTA DEL GOVERNO: NO A MISURE SVUOTA-CARCERI
No all’indulto o ad altre misure svuota-carceri. L’ex sindaco di Roma mette nero su bianco con Fabio Falbo, «lo scrivano di Rebibbia» che nel frattempo si è laureato in Giurisprudenza, quella che è una esperienza «comunitaria» di cui fare tesoro per il sociale, come aveva raccontato in una precedente lettera. Nella missiva riconferma il suo impegno profuso nell’opera di solidarietà sociale e mette in fila le criticità del sistema, per «sensibilizzare le istituzioni e l’opinione pubblica sull’attuale situazione carceraria», che «a noi, e non solo a noi, appare insostenibile e contraria al dettato costituzionale».
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LA SALUTE IN CARCERE: UN’EMERGENZA TRASCURATA
Alemanno e Falbo parlano del carcere che deve essere extrema ratio, ecco perché «devono essere utilizzate tutte le misure alternative, che possono alleggerire la pressione delle presenze negli istituti penitenziari non rese obbligatorie dalla legge». Nella lettera si punta l’attenzione sul grande tema della salute in carcere. «Vogliamo ricordare – scrivono – che sulle morti in carcere per mancata sanità, già in occasione della presentazione del Docufilm “Viaggio in Italia della Corte Costituzionale nelle carceri” del 4 ottobre 2018, Giuliano Amato affermava che non si deve morire in carcere perché non ci sono state cure adeguate, ma perbacco questo è inammissibile. Ci battiamo perché questo non accada in Africa e l’Africa ce l’abbiamo nelle nostre carceri’».
DAL CARCERE DI REBIBBIA ALEMANNO SEGNALA LE CRITICITÀ DEL SISTEMA CARCERARIO
Ecco che a questo punto si snocciolano le priorità per combattere il sovraffollamento, le morti, i suicidi, l’assistenza sanitaria inadeguata, di tutti gli ultrasettantenni in carcere, ma anche l’affettività negata e mancata scindibilità dei cumuli e dell’accesso limitato al lavoro in aziende private attraverso l’art. 21 dell’ordinamento penitenziario e del principio di progressività trattamentale. Nella lettera si sottolinea che gli Uffici di sorveglianza non tengono conto della sentenza n. 56/2021 della Corte costituzionale che ha stabilito che i condannati che hanno più di settant’anni possono beneficiare della detenzione domiciliare.
LA DETENZIONE DOMICILIARE PER GLI ANZIANI: SENTENZE INASCOLTATE
Sulla detenzione domiciliare per gli anziani, Alemanno e Falbo fanno notare che gli Uffici di sorveglianza non tengono conto della sentenza. In realtà «qui a Rebibbia sono diversi gli ultra ottantenni, anche non recidivi, che continuano a vedersi rigettare le loro richieste di accedere alla misura». E ancora, il riferimento alla sentenza Torreggiani per ricordare l’emergenza sovraffollamento e il richiamo ai diritti della Corte Europea nel 2013, e i dati riconosciuti dal Guardasigilli «sulla crescita delle persone detenute, 5 volte di più rispetto all’aumento dei posti in carcere.
Le cifre diffuse dallo stesso ministero sono allarmanti, con picchi dal 150 al 200%». Nonostante ciò, scrivono ancora, gli Uffici di sorveglianza continuano a rigettare i reclami ex art. 35 ter ordinamento penitenziario per l’applicazione dello sconto del 10% di pena conseguente alla violazione dell’art. 3 della Convenzione Ue per la salvaguardia dei diritti dell’uomo come risarcimento per le condizioni di detenzione contrarie al senso di umanità. Un intervento legislativo potrebbe rendere automatico questo sconto di pena per tutte le persone detenute recluse in carceri dove si registra un sovraffollamento superiore al 100% dei posti disponibili».
PERMESSI PREMIO E TRATTAMENTALI: UNA RIFORMA NECESSARIA
Anche sui permessi premio, secondo Alemanno e Falbo viene ignorata dalla magistratura di sorveglianza una sentenza della Corte costituzionale (n. 253/1919). Sentenza che «potrebbe essere recepita da una norma di legge tale da risolvere ogni problema interpretativo. Inoltre si potrebbe introdurre per legge un ‘permesso trattamentale’ che superi i limiti di applicazione del ‘permesso premio’ che oggi non può essere concesso a chi ha pene brevi». «Che i detenuti facciano sentire la propria voce è sempre auspicabile.
In particolare, Gianni Alemanno e Fabio Falbo interpretano i disagi che vivono molti dei loro compagni di detenzione, la loro lettera è un contributo significativo sulla situazione carceraria in Italia», sottolinea il Garante dei detenuti del Lazio, Stefano Anastasia, che ribadisce: «Serve un indulto di due anni, una misura che sarebbe sufficiente a cancellare il sovraffollamento e di conseguenza consentire al personale di polizia ealle figure professionali di lavorare meglio. Solo così il sistema ricomincerebbe a funzionare come si deve».
NUOVO SUICIDIO IN CARCERE A TERNI
Intanto il primo maggio un nuovo suicidio in carcere. A darne notizia è Fabrizio Bonino, segretario per l’Umbria del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria. Si tratta di un detenuto italiano, in carcere a Terni per reati contro la famiglia e in cella con un connazionale.
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