Alessandro Beduschi: «Sradichiamo le bufale sull’agricoltura»
- Postato il 20 novembre 2025
- Di Panorama
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Il settore agroalimentare in Lombardia è rappresentato da quasi 7 mila imprese che trainano lo sviluppo di 46 mila aziende agricole fornitrici. Nella regione si produce la metà del latte italiano, consumato fresco o trasformato in formaggi. E si allevano la maggior parte dei maiali che alimentano le filiere dei più grandi salumi italiani. La Dop economy lombarda è la terza in Italia per valore, cresce più delle altre e oggi si attesta su 2,6 miliardi di euro, portando nel mondo prodotti di eccellenza a partire dal Grana Padano. Un comparto molto importante, dunque, ma messo in ombra dalla Milano della moda, della finanza e del design. Non solo. L’agricoltura è spesso trascinata sul banco degli imputati per l’impatto sull’ambiente. Un quadro che Alessandro Beduschi, assessore all’Agricoltura della giunta regionale lombarda, respinge con decisione.
Assessore, infiliamo subito il coltello nella ferita: l’agricoltura ci dà da mangiare ma è anche responsabile di emissioni di gas serra, più o meno il 7-8 per cento in Italia, di ammoniaca, di polveri sottili, di nitrati nonché di inquinamento delle acque. E in Lombardia, regione con il maggior numero di allevamenti intensivi del Paese, il problema con l’ambiente dovrebbe essere ancora più acuto. Quindi è giusto accusare l’agricoltura di essere sporca e cattiva?
Si parla spesso di agricoltura come di un settore responsabile di emissioni e mai del processo contrario. Un campo coltivato trattiene anidride carbonica, un prato la imprigiona nel suolo, una siepe o una piantumazione agricola creano biodiversità, un allevamento moderno produce non solo nutrimenti ma energia rinnovabile utilizzando gli scarti. Senza agricoltori non avremmo cibo, ma nemmeno paesaggio, boschi curati, canali puliti, argini mantenuti, terreni drenati. Quando un’azienda agricola chiude, non guadagna l’ambiente: arrivano incuria, frane, incendi e abbandono. L’agricoltura va vista per quello che è: non il problema, ma parte integrante di una soluzione complessa. Dare da mangiare cibo di qualità, sano e a un prezzo accessibile a un numero sempre più crescente di persone è un compito che grava sugli agricoltori e che troppo spesso viene dimenticato. Anche perché i detrattori del comparto dovrebbero spiegarci quale dovrebbe essere il modello alternativo alla chiusura o al forte ridimensionamento del settore in Italia. Importare prodotti da Paesi senza regole? Pensare che ciascuno di noi si possa autoprodurre il cibo sotto casa, come fa qualche sognatore con molto tempo libero? Credo che la miglior risposta sia quella data in questi anni da un settore che è apertissimo alle tecnologie per migliorare non solo le rese produttive, ma la qualità dei prodotti e la sostenibilità ambientale. In Lombardia lo stiamo dimostrando con investimenti e innovazioni che nessun comparto industriale ha adottato con la stessa velocità, proponendo con regolarità bandi per finanziare la riduzione delle emissioni, la gestione dei reflui zootecnici, il miglioramento della qualità dell’aria.
Che ruolo gioca la tecnologia nella riduzione dell’inquinamento nei campi?
Oggi un sistema di sensori in un campo ci può dire praticamente pianta per pianta quale sia il singolo fabbisogno d’acqua, o quale necessiti di trattamenti con fitofarmaci per evitare malattie. Due esempi che si traducono in risparmio idrico e minor utilizzo di sostanze chimiche. In Lombardia stiamo sperimentando i trattamenti con i droni proprio per avere risultati quasi chirurgici. Ma non solo: con le cosiddette Tea (Tecnologie di evoluzione assistita), riusciamo a rendere le piante più resistenti agli attacchi di malattie e parassiti migliorandone il Dna senza interventi esterni. Quelli che, per capirci, caratterizzavano gli Ogm. Abbiamo iniziato a sperimentarle sul riso, salvando il raccolto dalla furia stolta di qualche eco-deficiente che ha pensato di strapparci le piantine. I risultati sono talmente incoraggianti che presto la regione sarà pioniera anche di test sul mais e sulla vite. Crediamo che mettere in continua comunicazione le università e i centri di ricerca con il mondo produttivo sia uno dei nostri compiti principali e questo è uno degli esempi più concreti.
Costi dell’energia alti, lotta all’inquinamento, concorrenza internazionale: ma gli agricoltori ce la fanno a resistere?
Oggi l’agricoltore chiede regole giuste. Uscire da Milano, dalla Lombardia della moda, del design e della finanza e farsi un giro nelle province della cosiddetta “Bassa”, è utile per capire che qui l’agricoltura non è solo storia e tradizione, o semplicemente produzione quantitativa. È presidio anche sociale, è il lavoro quotidiano di migliaia di famiglie. Chiediamo agli operatori di investire milioni per ridurre le emissioni, e poi permettiamo l’ingresso sul mercato di cibi provenienti da Paesi extra UE che non rispettano gli stessi standard. Così li condanniamo. Non si può imporre al nostro allevatore di essere “verde” e poi metterlo in competizione con chi produce a basso costo e alto impatto. La sostenibilità o è anche sociale ed economica, o è solo ideologia.
In che modo Regione Lombardia aiuta i contadini, anche sul fronte ambientale?
Solo nell’ultimo anno abbiamo mobilitato oltre mezzo miliardo di euro tra fondi Psr, Pnrr e bandi regionali per innovazione, energie rinnovabili, benessere animale e agricoltura di precisione. Finanziamo impianti fotovoltaici, biogas e biometano, sosteniamo l’acquisto di macchine agricole a basse emissioni, premiamo chi adotta rotazioni colturali e tecniche conservative del suolo o adotta nelle proprie aziende i più moderni protocolli per favorire il benessere animale. L’approccio è semplice: non colpevolizzare ma accompagnare, rendendo la sostenibilità un’opportunità, non un peso.
A che punto è l’utilizzo degli scarti agricoli per produrre energia?
La Lombardia è un esempio europeo. Abbiamo quasi 600 impianti biogas, molti dei quali in allevamenti, e siamo tra le prime regioni in Italia per produzione di biometano agricolo. Quello che “rilasciano” ogni giorno i nostri animali nelle stalle è sempre stato un problema da gestire. Anzi: il problema da gestire quando si associa l’agricoltura all’impatto ambientale. Invece è una straordinaria risorsa per produrre energia pulita e quindi l’applicazione concreta dell’economia circolare. Ma non solo: ci stiamo battendo in Europa perché ciò che rimane negli impianti, il cosiddetto digestato, possa essere utilizzato come fertilizzante naturale.
Gli ultimi mesi sono stati segnati dalla peste suina. A che punto siamo?
Da poche settimane abbiamo ricevuto un’ottima notizia dall’Ue: le restrizioni agli allevamenti suinicoli lombardi colpiti dalla Peste suina africana (Psa) sono state sostanzialmente allentate. È un segnale importante che premia mesi di lavoro intenso e coordinato che ha permesso di tenere fuori dagli allevamenti un virus che nell’estate 2024 aveva colpito pesantemente. La Psa non è pericolosa per l’uomo, ma solo per dare l’idea di quanti danni possa creare al made in Italy, basti pensare che in Lombardia si allevano la maggior parte dei maiali che alimentano le filiere dei più grandi salumi italiani. La battaglia è ancora lunga ma oggi abbiamo un po’ più di fiducia e ciò che ci rende orgogliosi è sapere che in altri Paesi del mondo i risultati ottenuti qui stentano ad arrivare anche dopo anni di lotta a questo virus. La Cina, per fare un esempio, convive con la peste suina da anni e tutto possiamo dire di quel Paese tranne che non abbia strumenti o capacità di prendere decisioni drastiche senza andare troppo per il sottile. La nostra piccola grande vittoria è che oggi gli allevatori colpiti possono tornare gradualmente alla normalità.
Come sono i vostri rapporti con la Commissione europea? Ci sono punti critici?
Bruxelles ha sempre ragionato più per principi che con una visione concreta e aderente alla vita reale di chi lavora. Le politiche del Green deal sono condivisibili negli obiettivi, ma quasi mai nei tempi e negli strumenti. Noi siamo favorevoli alla transizione, ma chiediamo che sia graduale, basata su dati scientifici e non su pregiudizi. Un’altra grande battaglia sarà quella per scongiurare i tagli alla Politica agricola comune. In qualche ufficio Ue forse non è chiaro che se si vuole dare da mangiare cibo sano e controllato a un prezzo equo a 750 milioni di abitanti non c’è niente di peggio che minare o distruggere il nostro sistema agricolo. L’alternativa è quella di affidarsi a derrate alimentari provenienti da Paesi dove ancora si gettano gli antiparassitari dagli aerei o consegnare il monopolio della nostra alimentazione a pochi miliardari. Confidiamo che questa legislatura europea, nella quale gli equilibri precedenti sono un po’ cambiati, possa portare a decisioni più pragmatiche e di buon senso.