“Allenare questa nazionale è una forma di resistenza. Il mio vice ucciso mentre consegnava aiuti”: il racconto del ct della Palestina

  • Postato il 9 settembre 2025
  • Calcio
  • Di Il Fatto Quotidiano
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“Allenare la Palestina oggi è il mestiere più difficile del mondo del calcio”. Non ha dubbi Ihab Abu Jazar, ct della nazionale palestinese, intervistato da La Gazzetta dello Sport. La sua nazionale ha sfiorato a giugno una clamorosa qualificazione all’ultimo turno per andare ai Mondiali 2026. “Per pochi istanti abbiamo portato gioia nel cuore della gente. L’abbiamo ‘distratta’ dall’orrore”. Perché nella Striscia di Gaza continuano i bombardamenti da parte di Israele, con un numero crescente di vittime civili e una situazione umanitaria al collasso.

“La cosa che temiamo di più è il telefono. Una volta rientrati negli spogliatoi facciamo fatica a controllare le notifiche. Quell’avviso, ormai quotidianità per milioni di persone, è diventato una fonte d’ansia: potrebbe dirci che è morto un amico o un familiare”. Un genocidio in corso, una nazionale che non gioca in casa dal 2019, che non può allenarsi nel proprio territorio e che non può contare sul supporto dei propri tifosi. “Non possiamo nemmeno comunicare liberamente. Raccontiamo al mondo il nostro calvario e trasformiamo il dolore in forza. Allenare la Palestina è una forma di resistenza. Porti il peso della speranza e coltivi la resilienza di chi ne fa parte”.

Lo sport è ormai praticamente inesistente: “Più di 280 infrastrutture sportive sono state danneggiate o rase al suolo. Alcuni impianti sono stati usati come centri di detenzione per interrogare i prigionieri. Il campionato è sospeso da tre anni e non ci sono competizioni giovanili”. Tra i tantissimi morti durante i bombardamenti, ben 774 hanno legami con il mondo sportivo. “Tra questi ci sono giocatori, membri delle federazioni e così via. Quando c’è da fare le convocazioni attingo all’estero o agli svincolati che si allenano in altri paesi”.

Ma c’è una morte che ha segnato maggiormente Ihab Abu Jazar: “Quella di Hani Al-Masdar, il mio vice. È stato ucciso mentre consegnava aiuti, viaggiando da nord a sud per sostenere i bisognosi”. Una morte opposta a quella di Suleman Obeid, il Pelè palestinese, morto invece mentre era in coda per avere del cibo e sfamare i propri figli. “A quanta sofferenza deve ancora assistere il mondo prima che questi massacri vengano fermati?”.

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Il Fatto Quotidiano

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