“Almasri liberato per evitare ritorsioni”, le parole dei giudici sui membri del governo e il vertice con i Servizi a Chigi
- Postato il 6 agosto 2025
- Politica
- Di Il Fatto Quotidiano
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I membri del governo italiano hanno deciso di scarcerare e riportare in patria con un volo di Stato il generale libico Osama Almasri Njeem per evitare “possibili ritorsioni per i cittadini e gli interessi italiani in Libia“. Lo scrivono, nero su bianco, i giudici del Tribunale dei ministri nella richiesta di autorizzazione per mandare a giudizio il Guardasigilli, Carlo Nordio, il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, e il sottosegretario delegato ai Servizi, Alfredo Mantovano, arrivata martedì alla Camera dei deputati. Rischio di “ritorsioni” basato sulle “preoccupazioni palesate” dal prefetto Giovanni Caravelli, direttore dell’Aise (il servizio segreto esterno), nel corso di “riunioni intercorse tra i vertici istituzionali”.
Per i giudici, che chiedono il processo per i tre componenti del governo (hanno archiviato invece la posizione della premier Giorgia Meloni), la decisione “di non dar corso alla richiesta di cooperazione” della Corte penale internazionale (che accusava il libico di torture, omicidi, crimini di guerra e contro l’umanità commessi nel carcere di Mitiga a Tripoli) non è scaturita dalle motivazioni illustrate da Nordio e Piantedosi nelle informative in Parlamento dello scorso febbraio: “Appare verosimile che l’effettiva e inespressa motivazione degli atti e delle condotte tenute tanto dal ministro Nordio – nel decidere di non dar corso alla richiesta di cooperazione della Cpi relativa sia all’arresto che al sequestro – quanto dal ministro Piantedosi – nel decretare l’espulsione dal territorio dello Stato – ed infine dall’Autorità delegata Mantovano – nel richiedere il volo Cai (la compagina aerea dei servizi segreti, ndr) per l’accompagnamento in patria – sia da rinvenirsi, piuttosto, nelle preoccupazioni palesate dal Prefetto Caravelli, nell’ambito delle riunioni intercorse tra i vertici istituzionali, riferite a possibili ritorsioni per i cittadini e gli interessi italiani in Libia derivanti dal mantenimento in vinculis di Almasri”.
Le preoccupazioni sulle possibili ritorsioni erano state fatte presenti da subito, sin dalla prima riunione in videoconferenza a Palazzo Chigi domenica 19 gennaio – cioè a poche ore dall’arresto di Almasri effettuato dalla Digos di Torino: a quella riunione hanno preso parte, tra gli altri, Mantovano, Piantedosi, il ministro degli Esteri Antonio Tajani, i capi di gabinetto di vari ministeri e responsabili della sicurezza e il capo dell’Aise. Caravelli comunque non aveva ricevuto notizie di “specifiche minacce di attentati o atti di rappresaglia nei confronti di cittadini italiani in Libia, ma c’era molta agitazione ed indicatori di possibili manifestazioni o possibili ritorsioni nei confronti dei circa cinquecento cittadini italiani che in qualche maniera vivono a Tripoli o arrivano a Tripoli o in Libia, nonché nei confronti degli interessi italiani“, si legge nell’atto. Su quest’ultimo aspetto si faceva riferimento allo “stabilimento gestito in comproprietà da Eni e dalla National Oil libica sito a Mellitah, vicino al confine con la Tunisia, sottolineando che la Rada Force (di cui faceva parte Almasri, ndr) aveva una collaborazione con le forze di sicurezza che operavano nell’area di quello stabilimento”. Quanto alla natura delle ritorsioni, si legge ancora, veniva ricordato “il recente precedente di Cecilia Sala arrestata in Iran” e si ipotizzava che “la Rada Force, gestendo l’attività di polizia giudiziaria, avrebbe potuto effettuare dei ‘fermi’ di nostri cittadini all’ingresso nel paese e sul territorio libico o perquisizioni negli uffici dell’Eni”.
Sulla decisione presa dai membri del governo i giudici quindi concludono che “è evidente che, così facendo, i citati, nelle rispettive qualità, hanno tutti concorso nell’aiutare l’Almasri a sottrarsi al mandato di arresto internazionale della Cpi ed a eludere le investigazioni della medesima Autorità”, scrivono i tre giudici. Per il Tribunale dei ministri, infatti. Almasri “doveva restare in carcere” e per questo chiedono l’autorizzazione a procedere per i tre: Nordio è accusato di rifiuto di atti d’ufficio e favoreggiamento, Mantovano e Piantedosi di favoreggiamento e peculato per l’espulsione e il volo di Stato che riportò a casa il generale libico. La Camera dei deputati, intanto, ha reso noto il cronoprogramma: almeno cinque sedute, i tre indagati verranno invitati “a fornire i loro chiarimenti” ed entro la fine di settembre sarà pronta la relazione della Giunta, mentre l’Aula voterà definitivamente entro ottobre. L’esito è, chiaramente, scontato: la maggioranza “salverà” i due ministri e il sottosegretario. E la linea del governo appare evidente: attaccare i magistrati e sfruttare vicenda anche come arma di propaganda per il referendum sulla separazione delle carriere.
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