Alzheimer, ripristinata la memoria: svolta storica, la scoperta che potrebbe cambiare il destino della malattia
- Postato il 3 settembre 2025
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Alzheimer, questa scoperta potrebbe rappresentare una svolta molta significativa nella lotta contro questa patologia neurodegenerativa.
Una recente scoperta scientifica ha riacceso le speranze nella lotta contro l’Alzheimer e le demenze correlate, dimostrando che è possibile ripristinare la memoria in modelli murini attraverso il potenziamento dell’attività mitocondriale cerebrale.
Questa innovazione, frutto della collaborazione internazionale tra INSERM, Università di Bordeaux e altre prestigiose istituzioni europee e canadesi, apre la strada a potenziali terapie rivoluzionarie.
La ricerca, pubblicata su Nature Neuroscience, è stata condotta da un team di neuroscienziati guidati da Giovanni Marsicano e Luigi Bellocchio presso l’INSERM e il NeuroCentre Magendie di Bordeaux.
Gli scienziati hanno sviluppato un recettore artificiale denominato mitoDREADD-Gs (Designer Receptor Exclusively Activated by Designer Drugs, accoppiato alla proteina Gₛ), capace di attivare proteine G all’interno dei mitocondri, aumentandone il potenziale di membrana e il consumo di ossigeno.
Attraverso la somministrazione di farmaci specifici che stimolano questo recettore, è stato possibile potenziare l’attività mitocondriale in topi affetti da forme murine di Alzheimer, demenza frontotemporale e deterioramento cognitivo indotto da cannabinoidi. Questo intervento ha prodotto un significativo ripristino delle capacità mnemoniche e un miglioramento dell’attività energetica cerebrale, segnalando un possibile meccanismo d’azione contro le anomalie neurodegenerative.
Il legame causa-effetto tra disfunzione mitocondriale e Alzheimer
Per la prima volta, lo studio ha stabilito un legame diretto di causa-effetto tra la disfunzione mitocondriale e i sintomi neurodegenerativi, suggerendo che un’attività mitocondriale compromessa potrebbe essere all’origine della degenerazione neuronale.

Questa scoperta è particolarmente rilevante perché mette in discussione l’attuale paradigma che vede le proteine beta-amiloidi come unico fattore causale.
Infatti, mentre farmaci sperimentali come il Donanemab, un anticorpo monoclonale diretto contro le placche di beta-amiloide, hanno dimostrato di rallentare il declino cognitivo fino al 35%, la combinazione con strategie di potenziamento mitocondriale potrebbe aumentare ulteriormente l’efficacia terapeutica.
Tuttavia, gli autori sottolineano che l’Alzheimer rappresenta ancora una sfida complessa e multifattoriale. L’attività mitocondriale alterata potrebbe non essere l’unica causa, ma parte di un insieme di meccanismi patologici da approfondire.
Nuove prospettive e cautela per la ricerca futura
Il team di ricerca si propone ora di indagare se la stimolazione prolungata dell’attività mitocondriale possa non solo alleviare i sintomi cognitivi, ma anche ritardare o prevenire la perdita neuronale. Gli studi attuali, tuttavia, sono ancora in fase preclinica e condotti su modelli animali e colture cellulari umane, rendendo prematuro parlare di applicazioni cliniche immediate.
Il cervello, organo con il più alto fabbisogno energetico del corpo umano (circa il 20% del consumo totale), dipende in maniera cruciale dalla funzionalità mitocondriale. La domanda centrale rimane se le anomalie mitocondriali osservate nei pazienti siano causa o conseguenza del processo neurodegenerativo. Questo interrogativo ha guidato l’idea innovativa del team di rafforzare artificialmente i mitocondri per verificare il recupero della memoria e delle funzioni cognitive.
Parallelamente a questa linea di ricerca, un altro importante filone è stato esplorato dal gruppo della Knight Initiative for Brain Resilience presso il Wu Tsai Neurosciences Institute di Stanford. Qui, è stato dimostrato che bloccare la via metabolica della chinurenina, sovraattivata negli astrociti a causa delle placche di beta-amiloide, può ripristinare la memoria nei topi affetti da Alzheimer, migliorando il metabolismo del glucosio e la funzione sinaptica.
Gli scienziati stanno ora valutando l’utilizzo di farmaci oncologici già noti per inibire questa via metabolica, con l’obiettivo di avviare sperimentazioni cliniche sull’uomo.
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