Ansia, la nuova pandemia. Come affrontarla senza cadere negli psicofarmaci

  • Postato il 15 giugno 2025
  • Di Panorama
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Al lavoro, in famiglia, in strada, sui social. Proviamo ansia a stare in casa, ma anche a uscire, non parliamo poi di quella che ci assale quando vediamo i telegiornali tra dazi, guerre, eserciti, crollo delle Borse. Per colpa sua soffriamo di insonnia, cadiamo in depressione, diventiamo aggressivi o passivi al punto da rimanere paralizzati dalla paura del futuro o dalla sola idea di affrontare cambiamenti, viaggi, o qualsiasi elemento di novità.  

È la nuova crisi sanitaria, che ci sta spingendo verso una vita a metà, e inevitabilmente anche verso gli psicofarmaci. Non è un problema solo italiano, se è vero come è vero che due delle serie tv più viste a livello mondiale, The White Lotus e The Pitt (e questi prodotti, si sa, ormai sono lo specchio dei tempi) girano attorno all’uso e abuso delle benzodiazepine, e a quanti effetti, anche disastrosi, possano avere sulle nostre vite e sulle decisioni che prendiamo.  Del resto, i dati parlano chiaro: il rapporto Osmed sull’uso dei farmaci testimonia che gli ansiolitici sono i medicinali in fascia C (cioè pagati dai cittadini e non rimborsati dal Servizio sanitario nazionale) per cui gli italiani spendono di più: tra benzodiazepine e simili se ne vanno circa 617 milioni di euro in un anno, più di quanto si paghi per il paracetamolo contro la febbre o per i farmaci per le disfunzioni erettili. Una cifra-monstre, ma con grandi differenze a livello regionale: infatti, i consumatori più voraci sono i liguri, i veneti e, in generale, gli abitanti del Nord Italia, mentre quelli meno ansiosi sembrerebbero essere i siciliani e i lucani.

Occorre però riportare il fenomeno nel giusto alveo: quello clinico. «Per quanto riguarda il nostro Paese», spiega Andrea Fossati, preside della facoltà di psicologia dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, «l’ultima mappatura ufficiale, cioè il report ministeriale del 2022 sulla salute mentale, ci dice che gli accessi nei Pronto soccorso per motivi psichiatrici sono stati circa il 3 per cento del totale, cioè circa mezzo milione di casi. Il 39 per cento di questi erano per patologie correlate all’ansia: parliamo solo di adulti. È quindi un fenomeno importante anche a livello di emergenza medica, ma non così grave da farci pensare che la situazione possa sfuggire di mano: ricordiamo anche che l’ansia non è tanto il sintomo di una malattia, quando uno stato emotivo. Non va dunque eccessivamente medicalizzata». 

Se il ricorso agli ospedali in emergenza può essere visto come la punta dell’iceberg, esiste il sommerso. E lì, nella zona grigia di coloro sospesi in una sorta di «mezza vita», che spesso impedisce – tra le tante altre cose – anche solo di prendere l’aereo spingendo a rinunciare a viaggi, lavori ed esperienze appaganti, rimangono imbrigliate anche intere famiglie. Chiuse in un lockdown fisico e mentale: una recente indagine promossa da Quid+ (linea della casa editrice Gribaudo dedicata al tempo di qualità tra genitori e figli) su un campione di circa 500 nuclei italiani ha mostrato che l’86 per cento dei genitori percepisce nella propria quotidianità livelli significativi di ansia che, spesso senza rendersene conto, trasmette ai figli. I quali, a loro volta, sono costantemente esposti al mondo parallelo dei social, che non fa altro che esacerbare il problema. «In effetti l’ansia è un agente che spesso “contagia” a livello familiare», afferma Daniela Chieffo, direttore del reparto di psicologia clinica di IRCCS Fondazione Policlinico Gemelli di Roma. «Sono problemi che possono rimanere silenti per molto tempo e poi esplodere in determinati periodi della vita. I giovani adulti sono molto a rischio nei momenti di passaggio: di fronte a esami, colloqui di lavoro, la tensione si fa spesso patologica, evolve in psico-agitazione o crisi di panico. In quel momento diventa un forte segnale di allarme. E i social media, se non usati correttamente, influiscono sui più fragili: c’è sempre la paura di “perdersi qualcosa”, di non riuscire a fare tutto ciò che fanno gli altri, una continua rincorsa. A quel punto se non padroneggiata e canalizzata, l’ansia può diventare paralizzante e generare una condizione che influisce anche sul sistema immunitario e sulla somatizzazione». 

Di tensione, alla fine, ci si può davvero ammalare. Ma per evitare di trovarci in balìa di pensieri negativi che possono sfociare in atti di autolesionismo sociale o fisico, o di impossibilità a svolgere le normali attività quotidiane, occorre rivolgersi ai medici. Perché i rimedi, per fortuna, ci sono. Ma è fondamentale saperli usare, andando alla ricerca delle vere radici del disturbo.  «Purtroppo viviamo in un momento storico in cui tutta la pubblicità portata avanti sulle benzodiazepine spinge ad assumerle in maniera compulsiva alla prima manifestazione di ansia, anche solo per riuscire a prendere un aereo o affrontare un colloquio di lavoro», avverte Giampaolo Perna, ordinario di psichiatria all’Humanitas University e direttore del Mental Health Center del gruppo Humanitas. «Tutto ciò è profondamente sbagliato: anche perché l’ansia è un’importante funzione del cervello, che permette di superare con successo le sfide che la vita ci impone. Se la spengo e gioco in difesa viene a mancarmi un’arma molto potente». 

Il primo passo è quindi sempre quello di andare a esaminare le vere ragioni del problema, per capire se sia meglio iniziare a trattarla con sedute cognitivo-comportamentali dallo psicologo o se invece rivolgersi ai farmaci. In quest’ultimo caso, abbiamo diverse opzioni. «Se l’ansia è prolungata e legata a qualcosa che non possiamo controllare, allora può portarci all’esaurimento e causare una sindrome da distress, perché il cortisolo – a lungo termine – non aiuta il sistema immunitario e nemmeno il benessere mentale», continua Perna. «In questo caso, quando diventa patologica, ha senso ridurla farmacologicamente. Di solito i farmaci di prima scelta sono quelli che agiscono sul sistema della serotonina e della noradrenalina, gli antidepressivi SSRI e SNRI: hanno effetti meno immediati delle benzodiazepine e si tende a non usarli troppo nei giovani perché possono dare problemi di aumento di peso e difficoltà sessuali. Le benzodiazepine agiscono invece sul sistema inibitorio GABA, quindi riducono l’ansia “sedando” un po’ le reazioni». 

Riguardo proprio alle benzodiazepine, occorre sfatare il mito della dipendenza: uno studio del 2024, pubblicato sull’American journal of psychiatry ed effettuato su oltre un milione di persone, ha dimostrato che il 15 per cento di chi era in cura con questi farmaci dopo un anno non lo assumeva più, e dopo sette anni addirittura il 97 per cento dei pazienti aveva smesso di prenderle.  «Non è detto che se inizi con questi medicinali il tuo destino sia assumerli a vita», conclude Perna. «Identico discorso per le “nuove” Z-drugs: lo stesso studio ci dice che solo lo 0,35 per cento di chi le assume ha dovuto aumentare i dosaggi. Ovviamente, la cura va sempre portata avanti sotto stretto controllo medico, quindi no a passaparola e automedicazione». Anche perché non stiamo parlando di farmaci immuni da rischi. «Tutte le benzodiazepine, se usate per periodi molto lunghi, aumentano il rischio di compromissione cognitiva, riduzione della vigilanza e disturbi dell’equilibrio, con conseguente rischi di cadute e fratture», afferma Luca Pasina, responsabile del Laboratorio di farmacologia clinica e appropriatezza prescrittiva dell’Istituto Mario Negri di Milano. «Dovrebbero essere prese in considerazione solo quando l’ansia è grave e compromette significativamente la vita quotidiana». 

Per non rischiare di cercare a tutti i costi di «curare» qualcosa che non è una malattia ma uno stato emotivo, provocandoci magari guai fisici anche più gravi, che alternative possiamo prendere in considerazione se non vogliamo passare le notti fissando il soffitto a pensare ai problemi del giorno dopo ma vorremmo anche evitare di giocarci i neuroni rimasti buttandoli in pasto agli psicofarmaci? «C’è tutto un mondo di rimedi alternativi ai farmaci», conclude Chieffo. «Sono molto efficaci, per esempio, le tecniche di mindfulness e di respiro che possono pian piano aiutare a controllare l’alterazione emotiva anche senza arrivare alle sedute di psicoterapia. Molte persone trovano grande giovamento nel cantare, e riescono a tenere sotto controllo i sintomi più impattanti iscrivendosi a un coro. Non dimentichiamo poi l’importanza dello sport o anche solo del camminare in mezzo alla natura. Libera la mente dai pensieri negativi e non costa nulla». 

Oltre ad aiutarci ad affrontare la vita con (si spera) una serenità ritrovata, i passi quotidiani in più potrebbero anche farci arrivare in spiaggia in forma invidiabile. Altro che psicofarmaci.  

Autore
Panorama

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