Arresto dell’imam a Torino: cresce la saldatura tra filopalestinesi radicali ed estrema sinistra
- Postato il 25 novembre 2025
- Di Panorama
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La città di Torino è tornata al centro di tensioni e contestazioni dopo il fermo di Sheikh Shahin, figura molto conosciuta nelle manifestazioni filopalestinesi e da tempo punto di riferimento per una parte della comunità islamica locale. Secondo quanto diffuso dai collettivi antagonisti, il religioso sarebbe stato arrestato, privato della cittadinanza italiana e trasferito in un Centro di permanenza per il rimpatrio, con l’obiettivo di predisporre il suo rientro forzato in Egitto. La notizia, rilanciata inizialmente da «Torino per Gaza», si è rapidamente propagata nell’area radicale, che ha convocato nell’immediato una conferenza stampa e un presidio di protesta di fronte alla prefettura. Benché il fermo risalga alla mattinata di ieri, le polemiche sono esplose soltanto in serata, quando diversi gruppi hanno denunciato pubblicamente la misura adottata contro Shahin, descrivendola come «un provvedimento politico camuffato da operazione di sicurezza». Una dinamica che rievoca precedenti già registrati in città: nel 2005, infatti, anche l’allora imam torinese Bouiriqi Bouchta fu espulso dal territorio nazionale per questioni simili. Nei volantini apparsi durante la notte si afferma che il sedicente religioso sarebbe «collocato in un Cpr in attesa del rimpatrio verso un Paese nel quale è considerato un oppositore del regime». Secondo le realtà antagoniste, la magistratura avrebbe «trascurato documenti e testimonianze che segnalavano un rischio concreto per la sua incolumità». Le accuse mosse nei suoi confronti — «utilizzo di un megafono durante una manifestazione e presunta interruzione di pubblico servizio» — vengono definite dagli attivisti come «comportamenti comuni a milioni di manifestanti e mai oggetto di conseguenze penali».
Sheikh Shahin, residente in Italia da circa vent’anni, è stato già in passato al centro delle cronache. Il 9 ottobre scorso aveva definito l’assalto di Hamas a Israele come «una reazione comprensibile dopo anni di soprusi», un’uscita che aveva provocato dure reazioni politiche e numerose segnalazioni alle forze dell’ordine. All’epoca durissima fu la posizione di Augusta Montaruli, vicecapogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera: «Le dichiarazioni dell’imam in favore dell’attacco del 7 ottobre sono di una gravità assoluta e non lasciano spazio a interpretazioni. Sostenere che quel giorno non vi sia stata violenza equivale ad appoggiare il terrorismo, e questo non può essere tollerato né a Torino né altrove in Italia». L’esponente di FdI sollecitò anche un intervento diretto del Viminale: «Il ministero dell’Interno verifichi i presupposti per la sua espulsione e per la sospensione temporanea dell’attività del centro in cui opera, già noto per le posizioni estremiste espresse in passato. Nessuno dei suoi seguaci ha preso le distanze da quelle parole e ciò dimostra come il sostegno alla violenza dell’attentato continui a diffondersi in modo allarmante». Montaruli rivolse infine un appello alla comunità islamica torinese: «È necessario che si dissoci da atteggiamenti che rientrano in una visione giustificazionista inammissibile, soprattutto ora che siamo a un passo da un possibile percorso di pace». Alla luce di quanto accaduto nelle scorse ora abbiamo raggiunto l’On Augusta Montaruli ( sotto nella foto), che a Panorama.it afferma: « Il ministro Piantedosi dà seguito anche ad una richiesta di Fratelli d’Italia ma anche dettata dal buon senso a tutela della sicurezza. Chi si oppone evidentemente appoggia atteggiamenti violenti e minacciosi che non possono trovare spazio in Italia. Ora andremo avanti per sapere chi ha finanziato il sedicente imam e il suo circuito che ha abusato dei diritti riconosciuti dal nostro ordinamento per diffondere posizioni incompatibili con esso.»

La pericolosa convergenza tra i gruppi pro-Palestina più radicalizzati e le sigle dell’estrema sinistra antagonista sta ridefinendo la geografia del dissenso urbano in Europa. In molte città italiane, dai centri sociali alle reti studentesche, si sta consolidando una saldatura sempre più evidente: iniziative congiunte, slogan sovrapponibili e una maggiore propensione a pratiche di piazza aggressive. Questa fusione ideologica non nasce unicamente dall’opposizione alla guerra a Gaza, ma da un terreno comune caratterizzato da anti-sionismo militante, retorica anti-occidentale e diffidenza verso le istituzioni. Un insieme di elementi che desta preoccupazione negli apparati di sicurezza, poiché rischia di trasformare proteste politiche in piattaforme capaci di legittimare derive estremiste e potenzialmente violente. Il caso dell’imam Shahin non rappresenta un episodio isolato. Negli ultimi anni le autorità italiane hanno disposto più volte l’allontanamento di predicatori accusati di diffondere contenuti ritenuti incompatibili con la sicurezza pubblica o con i principi costituzionali. Si tratta di misure amministrative, spesso applicate con procedura d’urgenza, pensate per prevenire fenomeni di radicalizzazione all’interno delle comunità islamiche presenti sul territorio nazionale.