Arriva la “patente del piacere”: ecco quando e cosa cambia per siti porno, gioco e alcol

  • Postato il 1 novembre 2025
  • Di Panorama
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È un conto alla rovescia silenzioso, ma destinato a cambiare le abitudini di milioni di utenti italiani. Dal 12 novembre chi tenterà di accedere a piattaforme come Pornhub, OnlyFans, siti di scommesse, di vendita di alcolici o sigarette, dovrà prima dimostrare di essere maggiorenne. Non più un click impulsivo, ma un passaggio certificato, quasi rituale. L’Agcom, l’Autorità per le comunicazioni, ha scelto di introdurre un sistema di verifica dell’età obbligatorio che trasforma l’anonimato del web in una nuova forma di identità controllata.

È la prima volta che accade in Italia e non è un esperimento di poco conto. La norma — approvata in primavera e pronta ad entrare in vigore dopo sei mesi di adeguamento — segna una svolta politica, culturale e tecnologica: quella che qualcuno già chiama “la patente digitale del piacere”.

La “patente del piacere” e l’Italia che cambia

L’obiettivo dichiarato è chiaro: proteggere i minori. Ma il linguaggio con cui lo si fa racconta qualcosa di più profondo. La società che fino a ieri si indignava per un bacio queer in prima serata ora chiede che ogni clic sia certificato, schedato, verificato. Una rivoluzione che si traveste da tutela, ma che in realtà ridefinisce il concetto stesso di libertà online.

Il sistema previsto dall’Agcom si basa sull’intervento di soggetti terzi indipendenti e certificati, che dovranno fornire la prova della maggiore età senza però rivelare chi si nasconde dietro lo schermo. Due passaggi per ogni accesso: identificazione e autenticazione. Prima si dimostra di avere più di diciotto anni; poi si conferma di essere davvero chi si dichiara. Tutto attraverso app dedicate o wallet digitali, simili a quelli usati per SPID o CIE.

Come funziona la “patente digitale del piacere”

In apparenza, è un meccanismo semplice. In realtà, è una delle architetture digitali più complesse mai introdotte in Italia. Il sistema messo a punto dall’Agcom prevede due fasi obbligatorie e distinte: identificazione e autenticazione.
Nel primo passaggio, l’utente deve dimostrare di essere maggiorenne tramite soggetti terzi indipendenti e certificati, che fungono da garanti della legittimità del processo. Non è il sito a controllare l’età del visitatore, ma un ente esterno accreditato che fornisce una prova digitale della maggiore età. È una sorta di notaio del piacere, incaricato di dire “sì, questa persona può entrare”.

La seconda fase, quella dell’autenticazione, serve invece a confermare che chi sta accedendo in quel momento sia davvero la stessa persona che ha superato il controllo iniziale. Un doppio passaggio pensato per impedire l’uso improprio di profili altrui, ma che trasforma l’accesso a un sito adulto in un piccolo percorso a ostacoli digitale.

Tutto avviene attraverso app dedicate, wallet digitali o sistemi di identità elettronica collegati a SPID o CIE. Alcune piattaforme, in futuro, potranno integrare direttamente la verifica all’interno del browser o del sistema operativo. Altre, invece, richiederanno la connessione a un portale esterno: una finestra che si apre, chiede conferma, verifica l’età e autorizza l’ingresso. Un rituale tecnologico che unisce burocrazia e desiderio, in un paradosso quasi poetico.

In teoria, è un sistema blindato: i siti non sapranno chi siete, e chi verifica la vostra età non saprà dove state entrando. È il cosiddetto principio del “doppio anonimato”, la formula su cui si regge l’intera impalcatura della riforma. Una promessa di privacy assoluta che, almeno sulla carta, dovrebbe rassicurare anche i più diffidenti.
In pratica, però, la questione è più sottile. Perché se da un lato l’anonimato è garantito, dall’altro si apre un tema nuovo: quello della fiducia tecnologica. Chi custodisce i dati? Dove finiscono le tracce digitali lasciate durante la procedura? E cosa accadrà se, un giorno, quel sistema verrà esteso ad altri ambiti – dai videogiochi all’e-commerce, fino ai social network?

In un Paese in cui ogni documento digitale scatena diffidenza e ogni QR code viene percepito come una minaccia alla libertà, è facile immaginare che anche il piacere finisca per diventare materia di certificazione. La curiosità dovrà essere dichiarata, l’accesso giustificato, il desiderio verificato. E forse è proprio qui che la “patente digitale del piacere” smette di essere solo un esperimento tecnico e diventa il simbolo di un’epoca in cui anche l’intimità ha bisogno di un timbro.

Tra privacy e paradossi

Sulla carta, il sistema è sicuro e rispettoso dei dati personali. Nella pratica, apre una serie di paradossi. Chi garantirà che i soggetti terzi siano davvero “indipendenti”? E soprattutto: fino a che punto siamo disposti a cedere pezzi di intimità in nome della sicurezza digitale?

La linea è sottile. Da una parte, c’è la necessità di proteggere i minori dai contenuti espliciti o dalle piattaforme di gioco d’azzardo. Dall’altra, si affaccia la paura di un futuro in cui ogni desiderio dovrà essere autorizzato da un algoritmo. È la fine dell’anonimato romantico del web, quello che negli anni Duemila aveva trasformato la rete in un laboratorio di libertà personale e di trasgressione.

Oggi tutto passa dal filtro dell’identità digitale. E con la verifica dell’età, anche la curiosità, la sessualità e il consumo diventano dati certificati.

L’Europa osserva (e giudica)

L’Italia arriva per ultima, ma arriva nel momento più caldo. In Francia, il mancato rispetto della verifica dell’età è già motivo di blocco totale dei siti porno, una misura tanto drastica quanto inefficace: i più giovani hanno semplicemente imparato a usare VPN o browser stranieri.

A Bruxelles, la Commissione Europea osserva il caso italiano come un test politico: può la tutela diventare un modello di controllo? L’Agcom lo chiama “sperimentazione”, ma di fatto è una prova generale per un futuro regolato in cui ogni accesso, ogni click, ogni forma di piacere sarà mediata da un certificato digitale.

Il Regno Unito ci è già passato (e non senza polemiche)

Non è un esperimento isolato. Nel Regno Unito la misura è già attiva, introdotta nell’ambito dell’Online Safety Act, la legge che ha imposto ai siti pornografici la verifica dell’età dei visitatori. Oggi per accedere a piattaforme come Pornhub o RedTube gli utenti britannici devono dimostrare di avere almeno diciotto anni attraverso un provider certificato o un documento digitale.

L’obiettivo è lo stesso dell’Italia: proteggere i minori, ma l’esito ha aperto un dibattito feroce. Molti siti hanno temporaneamente oscurato i contenuti nel Regno Unito, mentre diversi esperti hanno denunciato il rischio di una “schedatura del desiderio”, con database in grado di incrociare dati sensibili e abitudini di consumo.

Eppure Londra ha tirato dritto, trasformando l’accesso al piacere in un gesto regolato e tracciabile. Un esperimento che Roma ha deciso di seguire, adattandolo al modello europeo e presentandolo come “sperimentazione controllata”. Ma i confini, come spesso accade, sono labili: quando una regola funziona, diventa presto legge.

Il futuro del piacere (e del potere)

Quello che si apre il 12 novembre non è un dibattito tecnico, ma un passaggio epocale: chi controlla l’accesso, controlla il desiderio. Il web era nato come territorio di libertà assoluta, oggi diventa uno spazio sorvegliato, dove la fiducia è sostituita da codici di accesso e prove digitali di maggiore età.

In fondo, il piacere resta un linguaggio universale, ma da oggi dovrà imparare a parlare il lessico della burocrazia: PIN, QR code, SPID, CIE. E forse, proprio lì, in quella nuova grammatica del desiderio, si misura la trasformazione più profonda della nostra epoca: non si tratta più solo di navigare, ma di essere autorizzati a farlo.

Dal 12 novembre, il piacere sarà ancora un diritto. Ma servirà un documento per provarlo.

Autore
Panorama

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