Il ghiacciaio del Morteratsch, sulla Alpi Svizzere, è arretrato di oltre 3 km da fine '800. Si arriva ai suoi piedi percorrendo un sentiero che parte dalla piccola stazione della ferrovia, poco lontana da Pontresina: una volta il ghiacciaio arrivava piuttosto vicino alla stazione, oggi si è ritirato e continua a perdere massa. Si capisce davvero quanto continuando a camminare lungo il sentiero e incontrando i cartelli che segnalano la passata posizione della fronte del ghiacciaio. Il caso del Morteratsch è emblematico della situazione dei ghiacciai alpini, che si squagliano come ghiaccioli durante le estati sempre più calde e sono uno dei simboli più evidenti delle conseguenze della crisi climatica. Si prevede che quelli alle quote più basse, ormai, siano destinati a scomparire.
Ludwig Berger, artista che lavora sui suoni dell'ambiente, registra da anni la "voce" del ghiacciaio del Morteratsch: il suo progetto è stato protagonista del documentario Crying glacier, "Il ghiacciaio che piange", filmato nel 2023 con il regista Lutz Stautner e con Philipp Becker. Crying Glacier è anche il titolo del disco con le registrazioni originali (per l'etichetta Forms of Minutiae). Al progetto di Ludwig Berger è dedicato un articolo su Focus n° 395. Come è nata l'idea? E che "voce" ha un ghiacciaio? Lo raccontano le parole di Berger, nell'intervista qui sotto.
Quando è iniziato il progetto di registrazione del Morteratsch?
Tutto è iniziato nel 2016 durante un corso per studenti dell'Istituto di Architettura del Paesaggio, tenuto da Christophe Girot al Politecnico Federale di Zurigo. All'epoca, io e i miei colleghi portavamo gli studenti sul ghiacciaio. Mentre loro si concentravano sulla fotografia, io iniziavo a registrare insieme agli studenti i suoni, usando microfoni subacquei autocostruiti. Siamo tornati regolarmente, in estate e in inverno, per due anni. Dopo quella fase iniziale, ho continuato da solo e ho gradualmente ampliato le registrazioni. È diventato un progetto a lungo termine per me, che abbraccia quasi un decennio di ascolto di un paesaggio in continua evoluzione.
Che tipo di suoni si ascoltano, sul ghiacciaio?
Si può udire una vasta gamma di fenomeni acustici: tonfi profondi e brontolii causati dai movimenti del ghiaccio, rotture dovute a improvvise fratture da stress, gocciolamenti d'acqua dall'interno di crepacci e, soprattutto, il suono delle bolle d'aria che fuoriescono. Queste bolle, intrappolate nel ghiaccio per secoli, vengono rilasciate con la fusione. Le loro qualità acustiche sono sorprendentemente ricche: alcune sono irregolari, altre pulsano con precisione ritmica. Quando vengono rilasciate in rapida successione, possono persino dare suoni acuti che ricordano i richiami degli uccelli o le melodie di un sintetizzatore. Le registrazioni presentano anche una strana profondità spaziale: alcuni suoni sembrano vicini, altri sembrano emergere da vaste e oscure cavità sotto il ghiaccio.
Come vengono registrati i suoni?
Uso principalmente microfoni subacquei, collocati nei crepacci pieni d'acqua. Attraverso l'acqua, è possibile udire suoni molto distanti che viaggiano attraverso il ghiaccio. Registro anche con microfoni standard, ma molti dei suoni più interessanti non sono udibili nell'aria, ma solo in acqua o attraverso il contatto con il ghiaccio. Ecco perché le tecniche di registrazione subacquea sono essenziali in questo tipo di lavoro.
Perché il Morteratsch?
A dire il vero, all'inizio è stato per motivi pratici. Il ghiacciaio del Morteratsch è facilmente raggiungibile in treno e dalla stazione c'è un sentiero che porta direttamente ai piedi del ghiacciaio, o, meglio, dove un tempo si trovava. Ma col tempo, attraverso numerose visite ripetute, ho sviluppato un rapporto personale con questo ghiacciaio. Sono arrivato a considerarlo una "persona": non un essere umano, ovviamente, ma un essere con una propria presenza e condizione. Mi piace tornarci regolarmente, per ascoltarlo e controllare come sta andando. Purtroppo, i cambiamenti sono drastici. Ogni volta si è ritirato ulteriormente, a volte di decine di metri. Si percepisce davvero l'urgenza e la fragilità del luogo.
Cosa vuole documentare la registrazione?
Voglio dimostrare che il cambiamento climatico è reale e sta avvenendo ora. E che c'è ancora una finestra temporale in cui possiamo agire. Allo stesso tempo, spero di aiutare le persone a sviluppare un rapporto emotivo e personale con il ghiacciaio, non solo vedendolo come materia passiva o risorsa. Ascoltare è un modo potente per connettersi con la bellezza del ghiacciaio e con la sua sofferenza. Infine, voglio anche preservare i suoni del ghiacciaio, che probabilmente scompariranno entro i prossimi 100 anni. Registrarli è un modo per conservare la memoria di un mondo che sta scomparendo. In una parte estesa del progetto, faremo un ulteriore passo avanti: usando un metodo di archiviazione dati sviluppato dai ricercatori del Politecnico Federale di Zurigo, le registrazioni verranno sigillate in un contenitore inserito in una roccia vicino al ghiacciaio, una capsula del tempo a lungo termine progettata per durare secoli. L'idea è di rendere nuovamente udibili i suoni del ghiacciaio in futuro, anche se il ghiacciaio non ci sarà più.
Dal progetto sono nati dischi, spettacoli, un documentario...
Al Politecnico federale di Zurigo abbiamo pubblicato un disco in vinile accompagnato da un libro fotografico, Melting Landscapes. Abbiamo anche organizzato mostre. Collaboro anche, in performance dal vivo, con musicisti che reagiscono ai suoni del ghiacciaio. E infine ho pubblicato il mio album, Crying Glacier, pubblicato dall'etichetta Forms of Minutiae. È la colonna sonora del film Crying Glacier, con montaggi più lunghi delle registrazioni sul campo originali: il regista Lutz Stautner mi ha contattato e abbiamo girato il film insieme a Philipp Becker..