Assenteista non ti temo: l’arte di non lavorare è diventata un fenomeno globale

  • Postato il 18 ottobre 2025
  • Di Panorama
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C’era una volta l’assenteismo italiano guardato, a seconda dei punti di vista, con preoccupazione o ironia. L’Italia spesso è stata rappresentata come il Paese della dolce vita, bacchettata dalle istituzioni europee perché poco produttiva, con i suoi abitanti esperti nell’arte di allungare le ferie, tra ponti e festività, professionisti nel trovare escamotage di ogni tipo per inventarsi inesistenti infermità o parenti da accudire. Così come i casi dell’impiegato che timbra il cartellino e poi passa la giornata in spiaggia, ha valicato i confini nazionali rimbalzando sui media globali come esempio dell’italica disaffezione alla carriera.

Oggi, invece, scopriamo che il fenomeno è diventato comune alle principali economie sviluppate con evidenti segnali d’allarme a partire dai nostri cugini francesi e tedeschi. L’agenzia di stampa Reuters, in un dettagliato reportage, riferisce che in Francia gli investigatori privati sono tra le professionalità più ricercate e non per “questioni di letto”. Anziché pedinare il coniuge fedifrago, sono sguinzagliati dalle aziende per scovare l’assenteismo fraudolento da parte dei dipendenti. E la posta in gioco è alta perché gli esperti confermano che il fenomeno è in aumento.

Dal 2012, i costi dei congedi per malattia sono aumentati del 60 per cento Oltralpe. Assenze che impattano sui conti dello Stato per oltre 10 miliardi di euro all’anno, una somma che il Paese in crisi non può permettersi. Tant’è che l’ex primo ministro Michel Barnier aveva annunciato per il 2025 un giro di vite nei servizi pubblici, nell’ambito della manovra di bilancio. Con un obiettivo dichiarato: un risparmio di circa 1,2 miliardi di euro. Una sforbiciata nemmeno enorme per un problema che sembra costare all’economia d’oltralpe qualcosa come 15 miliardi di euro all’anno. Nel solo settore pubblico francese – così come riportato da Fortune.com – il tasso di assenteismo è aumentato dell’80 per cento dal 2014 al 2022, raggiungendo i 77 milioni di giorni.

Ma il fenomeno dilaga anche nelle aziende private. L’investigatore Fabrice Lehmann ha raccontato a Reuters di aver seguito i dipendenti in congedo per malattia che usavano il tempo libero retribuito per vari scopi. Alcuni per avviare propri business, altri addirittura collaborano con i competitor del proprio datore di lavoro. Ma molti, più semplicemente, approfittano del congedo per andare in vacanza.

Patrice Le Bec, un collaboratore di Lehmann, ha raccontato di aver visto persone assentarsi per malattia e «dirigersi direttamente all’aeroporto per andare in vacanza». L’Assicurazione sanitaria nazionale transalpina ha riferito di aver sventato frodi sui congedi per 42 milioni di euro lo scorso anno, oltre il doppio rispetto al 2023. Ma sanzionare le irregolarità è una battaglia difficile. In Francia, il welfare è particolarmente munifico: la previdenza sociale versa fino a 41,47 euro al giorno ai dipendenti in malattia e il beneficio può durare fino a tre anni.

Un altro investigatore, Bruno Boivin, sentito da Reuters, ingaggiato da una grande azienda di trasporti pubblici, si è trovato di fronte al 30 per cento del personale in malattia. «Abbiamo scoperto che le persone assenti lavoravano altrove, ma nessuno è stato punito», ha spiegato Boivin che per questo ha declinato l’incarico. La sua agenzia ha cercato anche di rintracciare un sospettato assente dal lavoro da dieci anni, che si presentava al datore solo una volta ogni 3 anni per rinnovare l’auto aziendale. La conclusione? «È inutile, non possono licenziarli». Inoltre, i dati mostrano che le assenze sono più diffuse tra i giovani sotto i 30 anni, con motivi che vanno dalle minori aspirazioni di carriera – e dalle minori opportunità rispetto a generazioni precedenti – fino ai problemi psicologici emersi o aggravatisi dopo il Covid.

E se Parigi piange, Berlino non ride. Quest’anno in Germania si toccheranno i 17 giorni medi di assenza pro capite (escluse le ferie), con un peso crescente dei fattori mentali e di stress e un aumento dei casi di depressione e di disturbi patologici legati all’ansia. Anche qui, come in Francia, non mancano le proposte di intervento, dalle visite di controllo senza preavviso al mancato pagamento del primo giorno di malattia. I problemi legati all’equilibrio e alla salute mentale sono un elemento  importante anche nella crescita delle ore lavorative perse nel Regno Unito, dove il tasso di assenza per malattia ha toccato il 3,6 per cento nel settore pubblico e il 2,3 in quello privato.

Ma torniamo da dove eravamo partiti, ovvero dall’Italia. Un punto di osservazione di grande interesse è quello di Confindustria. L’indagine più recente riguarda il 2023, quando le ore teoricamente lavorabili pro capite, al netto delle ore di cassa integrazione, sono state mediamente pari a 1.701. Di queste, 111,9 sono “saltate” a causa delle assenze dal lavoro retribuite e non. Il tasso di assenteismo, calcolato come il rapporto tra le ore di assenza e le ore lavorabili, si è attestato al 6,6 per cento. Il peso delle assenze è stato più alto nei servizi (7,2 per cento) e più basso nell’industria in senso stretto (6,2).

E qui arriva un dato assai interessante per la peculiarità del sistema produttivo italiano che ha, come noto, un forte peso della piccola e media industria. Lo studio citato, infatti, dimostra come il tasso di assenteismo aumenta con il crescere della dimensione dell’impresa. È infatti pari al 4,5 per cento nelle aziende da uno a 15 addetti; del 5,5 in quelle che hanno tra 16 e 99 addetti; del 7,3 nelle aziende con più di 100 addetti. La malattia non professionale si conferma essere la causa più frequente di assenza (3,5 per cento delle ore lavorabili di un addetto medio), mentre la voce permessi (legge 104 o altri permessi retribuiti) rappresentano ciascuna lo 0,7 per cento delle ore di assenza nell’anno. La loro incidenza è stata del 5,8 per cento tra gli uomini e dell’8,3 tra le donne, ma attenti a non trarre conclusioni affrettate: i congedi parentali spiegano la quasi totalità della differenza. Sono infatti pari al 2,6 per cento delle ore lavorabili delle donne e solo lo 0,5 per gli uomini, il che conferma come il carico educativo-familiare continui a ricadere prevalentemente sul mondo femminile.

«Le assenze per malattia rappresentano la componente più significativa, ma nel calcolo rientrano anche i congedi parentali, i permessi legati alla legge 104/1992 e le altre forme di assenza previste dalla normativa e dai contratti di lavoro. Nel contesto europeo, l’Italia presenta livelli di assenteismo in linea con la media, senza evidenze di scostamenti significativi rispetto ad altri Paesi» afferma Matilde Marandola, presidente Aidp, l’Associazione italiana direzione del personale. E precisa che le aziende «adottano approcci diversificati per monitorare e gestire le assenze, in base alle proprie dimensioni, al settore di appartenenza e alla struttura interna. Gli strumenti utilizzati vanno dalla rilevazione sistematica dei dati, alla definizione di politiche di gestione delle presenze, fino all’implementazione di iniziative legate al benessere organizzativo e alla conciliazione del work-life balance». Ed è proprio cercare di conciliare al meglio le esigenze delle aziende con quelle delle persone la sfida futura.

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Panorama

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