Attrarre ricercatori? L’Italia offre fondi insufficienti e non a chi lavora negli Usa. “Il governo non capisce che è un’occasione irripetibile”
- Postato il 20 maggio 2025
- Scuola
- Di Il Fatto Quotidiano
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Mentre l’Europa si mobilita per attrarre i ricercatori in fuga da Donald Trump, il governo italiano si gira dall’altra parte, e anzi pubblica un piano da 50 milioni per il rientro dei cervelli rivolto a tutti quelli che scelgono l’Italia ma non a chi lavora negli Usa. Ancor prima che Ursula von der Leyen annunciasse da Parigi uno stanziamento di 500 milioni di euro in tre anni nel programma Choose Europe, l’Ue si muoveva in ordine sparso ma sempre nella stessa direzione: trovare fondi per attrarre le menti migliori degli istituti americani. Ma l’Italia no. “Il nostro Paese non capisce che è un’occasione irripetibile, il governo italiano dovrebbe cogliere l’opportunità di riportare a casa le competenze fuggite negli Usa e attrarre le menti migliori – dicono a più voci alcuni dei ricercatori italiani negli Usa intervistati negli anni nella sezione Cervelli in fuga de ilfattoquotidiano.it – Vogliamo lanciare un appello affinché ci riportino a casa”. Il governo però non sembra ascoltare. “Quello che manca è un progetto serio – spiega a ilfattoquotidiano.it il presidente dell’Associazione dottorandi e dottori di ricerca italiani Davide Clementi -. Come si può pensare che uno studioso sia incentivato a lavorare in Italia se non vede nessun orizzonte oltre i finanziamenti europei?”.
Il piano Choose Europe e i finanziamenti nei Paesi Ue – I 500 milioni di euro previsti dal Choose Europe tra il 2025 e il 2027 sono pensati per chi ha un lavoro nella ricerca o frequenti un dottorato con agevolazioni nelle condizioni di ottenimento di visto e ingresso. In particolare, per attrarre i ricercatori americani, l’Ue ha messo in campo la blue card, un permesso di soggiorno e di lavoro attivo in 25 dei Paesi membri, e ogni Paese decide in base alle regole nazionali come concedere visti superiori ai tre mesi. I 500 milioni dovrebbero essere attivati tramite contratti di hosting, cioè convenzioni stilate tra il ricercatore straniero e il singolo Stato membro, e “super borse” con una durata fino a sette anni in grado di garantire stabilità finanziaria a chi decida di trasferirsi. Prima che questi fondi fossero attivati, però, molti governi e atenei europei si erano già attivati in modo indipendente per dare asilo agli scienziati dagli Usa. Tra gli esempi più eclatanti, l’Università di Aix-Marseilles, nel Sud della Francia, con il programma “Safe place for Science”, con contratti fino a tre anni e un budget da 300mila euro per ogni progetto, con l’obiettivo dichiarato dal presidente dell’Università marsigliese, Eric Berton, di “accogliere minimo 15 ricercatori con 15 milioni di euro”. A Parigi, la Scuola di Ingegneria Centrale Supélec e la fondazione sul cancro Arc di Francia hanno stanziato circa tre milioni di euro ciascuno per accogliere accademici con progetti interrotti da Trump. In Belgio, a marzo, la Vrije Universiteit di Bruxelles ha aperto 12 posizioni post-doc per ricercatori di tutto il mondo con un focus specifico per chi viene dagli Usa. In Germania, la Max Planck Society ha annunciato la creazione del Max Planck Transatlantic Program per creare laboratori congiunti con gli Stati Uniti. La Spagna ha potenziato il programma Atrae da 45 milioni di euro rivolto agli scienziati internazionali con un fondo da 200 mila euro solo per gli accademici dagli Usa.
Cosa ha fatto l’Italia per il rientro dei cervelli dagli Usa – L’Italia invece non sembra interessata a cogliere questa opportunità per far tornare gli scienziati emigrati negli Stati Uniti. Anche per questa mancanza di visione forse la ministra Anna Maria Bernini ha reagito con irritazione all’annuncio dell’iniziativa da parte di Ursula von der Leyen durante un evento, quello della Sorbona, a cui il ministero dell’Università e ricerca italiano era stato invitato ma non riteneva importante. Il piano da 50 milioni aperto dal governo a inizio aprile si rivolge esclusivamente a chi, di qualunque nazionalità, sia vincitore di bandi Erc starting grants o Erc consolidator grants e scelga l’Italia come ateneo “nido” tra tutti quelli possibili in cui svolgere il progetto che si è aggiudicato il premio. Un’iniziativa comunque lodevole ma con due mancanze di visione segnalate dai ricercatori. La più evidente: pur essendo stato pubblicato l’8 aprile, mentre tutta Europa diffondeva annunci per attrarre scienziati statunitensi, questo bando non si rivolge agli accademici minacciati da Trump. La seconda: queste risorse sono insufficienti per incentivare il rientro dei ricercatori italiani dall’estero. Iniziative simili al bando dei 50 milioni, per quanto rare, non sono mancate in passato, ma senza una pianificazione nel tempo si sono sempre rivelate un flop, come il fondo da 40 miliardi di lire avviato nel 2001 destinato ai rimpatri negli atenei. L’unica strategia riuscita finora è il programma Rita Levi Montalcini, avviato nel 2009 e tuttora attivo, che ha permesso il rientro di scienziati italiani all’estero con programmi comunque a tempo determinato ma per 54 posizioni nel solo 2024. “Che siano per il ritorno dagli Usa o da altri Paesi, le iniziative per riportare i cervelli in fuga in Italia sono sempre apprezzate – dice Clementi – ma non si può pensare di essere attrattivi senza offrire stabilità e salari dignitosi a ricercatori che guadagnano il triplo dei loro connazionali in strutture attrezzate e con continuità: serve un progetto di crescita“.
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