Auto diesel Euro 5: “Il rinvio dello stop è l’ennesima misura populista”. E l’Italia arranca tra ritardi e condanne

  • Postato il 10 luglio 2025
  • Economia
  • Di Il Fatto Quotidiano
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“È l’ennesima misura dilatoria populista. Si finge di voler tutelare chi guida mezzi altamente inquinanti, e oramai vecchi anche di quindici anni, ma non si dice che i costi stimati dell’inquinamento atmosferico, in Italia, tra il 2024 e il 2030, sono il 6% del Pil nazionale”. Con queste parole Transport & Environment, Clean Cities Campaign, Cittadini per l’Aria e Comitato Torino Respira hanno commentato il posticipo di un anno al blocco degli Euro 5 adottato con un emendamento al decreto Infrastrutture, ricordando anche le tre condanne a carico dell’Italia, da parte della Corte di Giustizia Europea, per il sistematico superamento delle concentrazioni di inquinanti atmosferici. Dietro il rinvio, l’opera del ministro dei Trasporti, Matteo Salvini, contro ciò che rimane delle ambizioni europee. “È l’ennesimo tentativo, purtroppo questa volta riuscito, da parte del governo e in modo particolare del ministro Salvini, di affossare ancora di più il Green Deal, già in una fase precaria, con la nuova Commissione che lo sta smantellando” racconta a ilfattoquotidiano.it Federico Spadini della campagna clima di Greenpeace Italia. Nelle stesse ore, tra l’altro, Transport & Environment pubblica a livello europeo un report dal quale emerge che mantenendo l’obiettivo 2035 per le auto a emissioni zero e una strategia industriale, il settore automobilistico europeo potrebbe tornare ai livelli massimi di produzione post-crisi del 2008 e aumentare dell’11% il proprio contributo all’economia, salvando un milione di posti di lavoro. “È un momento decisivo per l’industria automobilistica europea, poiché la competizione globale per la leadership nella produzione di auto elettriche, batterie e infrastrutture di ricarica è altissima. Il successo dell’Europa dipende dalle scelte che i suoi politici faranno oggi” commenta Esther Marchetti, responsabile Clean Transport Advocacy di T&E Italia.

La reazione al rinvio dello stop alle auto diesel nel Nord Italia – Nel frattempo, però, quanto accade in Italia sta andando in direzione opposta. Dura la reazione delle associazioni ambientaliste. “Non è bastato al ministro dei Trasporti lo scandalo Dieselgate, probabilmente la più grave truffa industriale mai operata, col fine di occultare le emissioni reali di una tecnologia estremamente inquinante – hanno commentato – e non sono bastate tre condanne a carico dell’Italia, da parte della Corte di Giustizia Europea, per il sistematico superamento delle concentrazioni di inquinanti atmosferici, quali il biossido di azoto, che viene in gran parte proprio dai mezzi diesel”. Le associazioni ricordano, inoltre, “le oltre 50mila morti premature per inquinamento atmosferico registrate annualmente nel nostro Paese, con la Pianura Padana maglia nera, in Europa, di una crisi sanitaria enorme”. Federico Spadini di Greenpeace ricorda che il governo italiano ha sempre spinto contro l’accordo sul phase out dei motori endotermici al 2035 ed ora “forte di un vento politico che è cambiato in Europa, sceglie per il rinvio, che è una scelta sbagliata, soprattutto nelle regioni italiane della Pianura Padana, le più colpite dall’inquinamento atmosferico”. Questo “apre la pista a decisioni simili di altri governi europei e si rischia di arrivare il prossimo anno, alla revisione in itinere prevista nell’ambito dell’Ue sull’impegno del 2035, mettendo in discussione quanto raggiunto finora”.

Come in Europa mantenere target ambiziosi potrebbe salvare il settore – E mentre l’Italia fa dietrofront, un nuovo studio pubblicato da Transport & Environment mostra come il comparto automobilistico europeo potrebbe salvare gli attuali livelli di occupazione e tornare a produrre 16.8 milioni di auto all’anno (pari al picco raggiunto dopo la crisi del 2008) mantenendo intatto l’obiettivo di sole auto a zero emissioni dal 2035. Lo studio, infatti, ha simulato l’impatto del target 2035 dell’Ue per le auto a zero emissioni, unito a nuove politiche industriali per stimolare la produzione nazionale di veicoli elettrici, come un target di elettrificazione per le flotte aziendali e misure di sostegno a favore di auto e batterie prodotte in Ue. In questo scenario, il contributo della filiera automobilistica al Pil europeo aumenterebbe dell’11% nel 2035 rispetto a oggi.

Nuovi posti nella produzione di batterie e nel settore della ricarica – Lo studio rileva che la perdita di posti di lavoro nella produzione di veicoli (e componenti) a combustione interna potrebbe essere compensata dalla creazione di centinaia di migliaia di posti di lavoro nell’ecosistema dell’auto elettrica: oltre 100mila nuovi impieghi nella produzione di batterie entro il 2030 e 120mila nel settore della ricarica entro il 2035. “L’Ue potrebbe produrre fino a 900 GWh di batterie all’anno (attualmente è quota 187 GWh) entro il 2030 – si legge nel report – se rispettasse l’obiettivo di zero emissioni per nuove auto e adottasse strategie industriali di supporto alle proprie aziende. Il valore della produzione del settore della ricarica potrebbe quasi quintuplicarsi, raggiungendo i 79 miliardi di euro entro il 2035”.

Senza target 2035 in fumo 90 miliardi di euro – Indebolire invece l’obiettivo zero emissioni, come le lobby cercano di spingere i legislatori europei a fare, e non adottare politiche industriali efficaci, secondo l’analisi comporterebbe una riduzione del contributo del settore auto al Pil europeo di 90 miliardi di euro entro il 2035 e una perdita di fino a un milione di posti di lavoro nella filiera. Inoltre, fino a due terzi degli investimenti previsti nelle batterie potrebbero andare persi, mentre l’industria della ricarica verrebbe privata di 120 miliardi di euro di entrate potenziali nei prossimi 10 anni.

Investimento nell’elettrico: Italia fanalino di coda – In questo scenario hanno un ruolo importante gli investimenti pianificati sull’elettrico. E l’Italia è fanalino di coda. Emblematica, a riguardo, anche la posizione espressa sul tema dal ministro dell’Ambiente Pichetto Fratin. Tra i principali paesi europei costruttori di auto, infatti, l’Italia registra il minor numero di investimenti pianificati nella produzione di veicoli elettrici, batterie e componenti: appena 570 milioni di euro, a fronte del valore massimo di 28 miliardi della Spagna. “Questo divario – sottolinea T&E – evidenzia una ridotta capacità di attrazione degli investimenti rispetto agli altri principali mercati europei, attribuibile anche alla mancanza di una strategia definita per la transizione e di politiche innovative”.

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