Auto europee a rischio stop: troppe regole, pochi risultati
- Postato il 24 maggio 2025
- Di Panorama
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Quando l’Agenzia europea per le sostanze chimiche ha dichiarato guerra ai Pfas, un gruppo di circa 10 mila composti molto diffusi ma che possono contaminare acqua, suolo e alimenti, forse non si è resa conto dell’impatto che le restrizioni proposte avrebbe avuto sul settore automobilistico: uno tsunami. Perché i Pfas sono utilizzati, grazie alle loro proprietà tecniche uniche, in tantissime parti di una vettura: nei rivestimenti per i sedili, nelle guarnizioni, nelle vernici, nelle batterie. Potenzialmente milioni di componenti auto rientrerebbero nel divieto e attualmente, sostengono i produttori, non esistono alternative valide per molte applicazioni chiave.
Inoltre, questa proposta, che deve essere ancora approvata, si scontra con le direttive a favore delle emissioni zero: «A Bruxelles almeno cinque direzioni generali si occupano di automobili, e talvolta hanno strategie contraddittorie. Quando uno chiede l’eliminazione dei Pfas, gli inquinanti eterni, che è legittimo, l’altro ci chiede auto a batteria. Tuttavia, non ci sono batterie senza Pfas» ha sottolineato Luca De Meo, amministratore delegato di Renault, nel corso di una singolare doppia intervista al quotidiano francese Le Figaro: accanto a lui c’era John Elkann, presidente di Stellantis, il gruppo formato dalla fusione tra la ex-Fiat, la Psa (Peugeot) e la Chrysler.
Due agguerriti concorrenti nel mercato delle auto di massa uniti, in via eccezionale, per accusare l’Europa di aver distrutto con la sua bulimia normativa il segmento delle utilitarie: «Le regole europee significano che le nostre auto sono sempre più complesse, sempre più pesanti, sempre più costose e che le persone, per la maggior parte, non possono più permettersele» sostengono i due top manager. «Tra il 2015 e il 2030» ha aggiunto De Meo, «il costo di una Clio sarà aumentato del 40 per cento. Questo aumento è del 92,5 per cento attribuibile ai regolamenti».
Sorvolando sul fatto che proporre al mercato tanti Suv e prodotti più cari ha permesso alle loro società di accumulare utili a palate, De Meo ed Elkann hanno lanciato l’allarme sul gigantesco volume di nuove normative che investiranno l’auto europea entro il 2030: sarebbero più di 100. L’Associazione europea del settore (Acea) indica invece in 150 i regolamenti Ue e in 30 le direttive che riguardano l’industria automobilistica europea, «uno dei settori più pesantemente regolamentati». L’ondata di norme è guidata dalle ambizioni climatiche dell’Unione europea, incapsulate nel Green deal e nel pacchetto Fit for 55, ma anche da obiettivi di miglioramento della sicurezza stradale, di promozione dell’economia circolare e di gestione della transizione digitale.
Prendiamo il nuovo standard Euro 7 che, pur essendo stato ammorbidito in seguito alle richieste dei costruttori, introduce alcune importanti novità espandendo il focus oltre la CO2 emessa dal tubo di scappamento per includere impatti ambientali e sanitari più ampi, anche per i veicoli elettrici: impone infatti limiti più stringenti per le particelle solide (come quelle prodotte dall’usura dei freni e degli pneumatici) e prescrizioni più rigorose sulla durata delle batterie per i modelli elettrici e sulla durata dei sistemi di controllo delle emissioni.
Restando in ambito «green», il Regolamento sui veicoli fuori uso si propone di migliorare la circolarità del settore automobilistico aggiornando le norme sulla progettazione delle vetture e dei camion, e sulla raccolta, il trattamento e il riciclaggio dei mezzi rottamati. In pratica, le case automobilistiche dovranno progressivamente far salire al 25 per cento la plastica riciclata utilizzata nei nuovi veicoli ed essere soggette allo smantellamento obbligatorio e più esteso di componenti. Ci sono poi i regolamenti sulle batterie che si concentrano sulla loro sostenibilità, durabilità e riciclabilità. Per quanto riguarda la sicurezza, la normativa Gsr2 (General safety regulation 2), ha introdotto una serie di nuovi requisiti per tutte le auto di nuova immatricolazione a partire da luglio 2024: rende obbligatori sistemi avanzati di frenata d’emergenza, mantenimento della corsia, rilevamento della sonnolenza e dell’attenzione, assistenza intelligente alla velocità, telecamera per la retromarcia, segnalazione di arresto di emergenza, registratori di dati di evento (la «scatola nera») utili per ricostruire la dinamica di un incidente. Obblighi contro cui si scaglia De Meo: «Serve davvero un sistema di mantenimento corsia in auto che passano il 95 per cento del tempo in città?». Nei crash-test, «la mia R5 deve comportarsi come una berlina di lusso con un cofano tre volte più lungo. È fisica! Dovrei usare il tungsteno? Chiediamo regole differenziate per le piccole auto. È inaccettabile trattare un veicolo da 3,80 metri come una berlina da 5,5 metri». Posizione comprensibile, perché i sistemi di sicurezza costano, però difficile da condividere: seguendo questo ragionamento una utilitaria che si scontra con un grande Suv non avrebbe scampo… Ma andiamo avanti.
Oltre a occuparsi di inquinamento, di sicurezza, di riciclo, i regolamenti europei per l’auto estendono la loro azione in molti altri campi. Per esempio, il digital. La crescente connettività dei veicoli genera enormi quantità di dati. Questo ha portato all’adozione di regole come l’Eu Data Act per disciplinare l’accesso, l’uso e la condivisione dei dati generati all’interno dei veicoli, con l’obiettivo di promuovere l’innovazione tutelando al contempo i diritti degli utenti. Risultato: nuovi quadri normativi per l’omologazione, la sicurezza e la cybersicurezza. Previsto, per esempio, l’obbligo per chi conserva i dati (cioè le case automobilistiche) di rendere queste informazioni disposibili per gli utenti o per terze parti designate da questi, a condizioni eque, ragionevoli e non discriminatorie. Oppure una prescrizione richiede ai costruttori di mettere a punto un sistema di gestione della cybersicurezza. E l’omologazione di un’auto prevede di dimostrare che siano in atto misure di questo genere che coprono il ciclo di vita del veicolo. Insomma, tanti obblighi, norme, regolamenti e aggiornamenti burocratiche che costano e che soffocherebbero l’industria europea dell’auto.
Non è che nelle altre aree avanzate del pianeta non ci siano raffiche di prescrizioni sui veicoli. La stessa Acea in un documento del 2023 contava 195 regolamenti introdotti dagli Usa dal 1992 con una punta di una quarantina di norme solo nel 2022. Mentre la Cina ne ha approvate 337 sempre nello stesso periodo.
Commenta un manager che lavora presso un grande gruppo cinese: «In generale qui sono leggermente più indietro sul contenimento della CO2 e su alcune norme ambientali. Su omologazioni, sicurezza, cybersecurity direi siano molto simili». È del resto inevitabile che un prodotto così complesso, che ha impatti rilevanti sull’ambiente e sulla sicurezza sia nel mirino dei legislatori, soprattutto in una fase di rapido sviluppo delle tecnologie. Ma forse l’Europa, famosa per la sua mania per le discipline di legge, sta esagerando. «Un quarto della nostra ingegneria è dedicato esclusivamente alla regolamentazione» si lamenta Elkann.
L’Acea ha invocato un «quadro normativo semplificato» e «una legislazione più intelligente anziché più numerosa». Tra le proposte avanzate ci sono il raggruppamento dei requisiti normativi, l’attenzione alle nuove omologazioni (regolare il futuro, non il passato imponendo aggiornamenti a vetture già sul mercato) e la creazione di uno sportello unico o una task force per condurre valutazioni d’impatto specifiche per il settore e test di coerenza delle nuove leggi. Commenta Roberto Vavassori, presidente dell’Anfia, l’associazione italiana dell’automotive: «A livello Ue, occorre fermare la bulimia regolatoria che investe il nostro comparto e, al contempo, invertire la rotta eliminando i provvedimenti che risultino controproducenti. Ogni nuova norma deve dimostrare preventivamente di aumentare la competitività delle imprese».
Conclusione lapidaria: «Oggi, la maggior parte delle norme non favorisce una maggiore agilità sul mercato, ma comporta soltanto costi e confusione».