Bambini-killer senza conseguenze: a 11 anni uccidono e tornano a casa impuniti
- Postato il 13 agosto 2025
- Di Panorama
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Uno degli aspetti più drammatici di questa storia mostruosa è che si sarebbe potuta evitare. Un altro è che anche gli assassini, da certi punti di vista, sono vittime. Certo, la prima vittima è lei, Cecilia De Astis, 71 anni, originaria di Ruvo di Puglia, una donna che nella vita aveva faticato tanto. Emigrata dal Sud, aveva lavorato per anni in un cotonificio, un impiego da gente semplice, gente che suda per guadagnarsi il pane. Viveva al Gratosoglio, lo stesso quartiere di Milano in cui è morta. E non sarebbe dovuta morire, non così almeno, falciata da una macchina impazzita mentre usciva dalla Casa della solidarietà dei fratelli di San Francesco.
Dentro l’auto che l’ha ammazzata c’erano quattro bambini. E loro sono al contempo gli assassini e le vittime secondarie di questa tragedia. Tutti di origine bosniaca, con tutta probabilità nati in italia. Il più grande – quello che guidava – ha 13 anni, altri due hanno 11 e 12 anni, la bambina che era con loro ne ha appena 10. Non avrebbero dovuto trovarsi a bordo di quel veicolo e se ci sono finiti è per via di una lunga serie di assurdità di cui la politica è in larga parte responsabile. Per prima cosa, quei bambini non avrebbero dovuto crescere nelle bicocche del campo rom abusivo di via Selvanesco, in condizioni igieniche vomitevoli, immersi nel degrado. Invece sono rimasti lì e lì hanno imparato a rubare le auto. In che tipo di mondo un bambino sa aprire una macchina chiusa, metterla in moto e guidarla? La risposta è: in un mondo che non dovrebbe esistere. Purtroppo, però, quel mondo esiste eccome sotto i nostri occhi e quei bambini sono stati abbandonati lì, in mezzo ai rifiuti e a persone che insegnano loro come rapinare, fare l’elemosina e delinquere fin dall’infanzia. In che modo questi piccoli avrebbero potuto fare qualcosa di diverso da ciò che hanno fatto? Come avrebbero potuto evitare di mettersi in guai terribili visto che sono stati cresciuti in questa maniera?
A pensarci è grottesco: la sinistra italiana è ossessionata dai vari tipi di educazione collaterale nelle scuole, dagli abusi che si commettono in famiglia (e sostiene che i minori vadano tolti ai genitori al primo sospetto, persino quando il sospetto è immotivato). Poi, però, consente da anni e anni che intere famiglie sguazzino nel disagio, sopravvivano ai margini della dignità.
Dice il sindaco di Milano, Beppe Sala, che «sulla morte di una persona in circostanze così terribili è vergognoso speculare, soprattutto da parte di alti rappresentanti del governo». Sala punta il dito contro la prefettura, dice che sarebbe compito del ministero degli Interni gestire i campi rom. Ma le cose stanno in maniera diversa. Il campo di via Selvanesco, al Gratosoglio, esiste da più di un decennio. Il terreno è di proprietà di un privato (probabilmente rom) che, nel corso degli anni, lo ha messo a disposizione di varie famiglie perché vi costruissero le loro baracche abusive. Nel 2013 fu il Comune di Milano a sgomberarlo. I rom fecero ricorso al Tar contro l’ordinanza, ma il tribunale stabilì che il contesto ambientale era malsano, che venivano appiccati incendi e c’erano materiali pericolosi, dunque si doveva procedere alla demolizione delle abitazioni di fortuna. Tradotto: se avesse voluto, il Comune avrebbe potuto agire. Ma non lo ha fatto.
Del resto, quando ci sono di mezzo i rom emergono ogni volta assurde questioni di correttezza politica. Pure per il campo di via Chiesa Rossa, sempre al Gratosoglio, sono in corso estenuanti trattative e se gli abusivi verranno cacciati, è facile che venga loro gentilmente concessa una casa popolare, alla faccia di chi la attende da anni.
La morte di Cecilia De Astis è, quindi, il risultato di decenni di scelte politiche scriteriate, modulate su un buonismo incomprensibile e dannoso. I campi rom vanno aboliti: lo chiedono persino le autorità europee da fin troppo tempo, lo chiedono intellettuali rom come Santino Spinelli, persino i progressisti in campagna elettorale spesso promettono sgomberi e rimozioni. Poi, però, ogni volta accade la stessa cosa: l’attenzione cala, si lascia correre, si tollera che qualcuno continui a vivere in condizioni pietose perché si ritiene che quella sia «la sua cultura». Ecco gli esiti: dei bambini vengono cresciuti come malviventi, rubano un’auto a turisti francesi, scorazzano senza controllo e ammazzano una brava donna che aveva la sola colpa di trovarsi nel posto sbagliato.
Oltre al dramma, c’è pure la intollerabile beffa. I bambini – anche giustamente, non essendo in grado di regolarsi da soli ed essendo per di più figli del disagio sopra descritto – non sono perseguibili penalmente. Potrebbero esserlo, sul piano civile, i loro genitori. Si può immaginare quanto sarà facile, dopo averli individuati, costringerli a risarcire la famiglia della vittima. Comunque si concluda, insomma, questa è destinata a essere una storia di clamorosa ingiustizia su più livelli. Una ingiustizia prodotta dalla mancanza di coraggio, dalle infinite scuse che si accampano ogni volta per tollerare gli insediamenti abusivi. Ci sono tante vittime, in questa storia, ma anche molti colpevoli. Questi ultimi sanno di esserlo e, infatti, si affannano nel tentativo patetico di scaricare le colpe. Che però, purtroppo per loro, restano lampanti.