«Barocco globale» alle Scuderie del Quirinale
- Postato il 5 maggio 2025
- Di Panorama
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Barocco internazionale, universale. Così ci eravamo abituati a considerarlo, nella sua lingua adottata, innanzitutto, della Chiesa cattolica controriformata, vogliosa di vincere la competizione col Protestantesimo. Una battaglia ingaggiata sul piano di un nuovo modo di raccontare che faceva leva sulla componente più emotiva dei fedeli, fossero quelli della vecchia Europa o quelli delle terre colonizzate da poco e portate a conversione. Barocco globale, titolo di una mostra alle Scuderie del Quirinale (a cura di Francesco Freddolini e Francesca Cappelletti, fino al prossimo 13 luglio), è una definizione da lancio, proprio in un momento storico in cui, sotto i colpi dei dazi americani, il concetto odierno di globalizzazione è caduto in crisi come mai era successo prima dal momento della sua affermazione. È una delle esposizioni artistiche pensate per il Giubileo, che con l’evento stabilisce un rapporto più diretto di altre, riportando l’ambizione attuale della Roma cattolica di porsi, almeno nel corso dell’Anno Santo, quale renovatus caput mundi. Per ritrovare precedenti a questa ambizione si deve risalire, in prima istanza, quando ancora il Barocco artistico poteva considerarsi solo in mente Dei, al pontificato di Paolo V Borghese (1605-1621).
Fu lui il primo papa a comprendere che lo sforzo primario per l’evangelizzazione del mondo non poteva più essere posto nei termini della guerra santa (culminata con la battaglia di Lepanto, nel 1571), ma che doveva rivolgersi all’immenso potenziale di proseliti prospettato dalle colonizzazioni di Americhe, Estremo Oriente e Africa. Fu proprio Paolo V, dunque, a promuovere molteplici missioni religiose e iniziative diplomatiche, in questa direzione. Non a caso il simbolo della mostra è un’opera finora poco considerata, il busto funebre di Antonio Manuel Ne Vunda detto Negrita, dovuto al quasi ignoto Francesco Caporale, forse collaboratore di Stefano Maderno. Ambasciatore del Regno del Congo, Negrita giunse a Roma nel gennaio del 1608 dopo un viaggio talmente lungo e stancante da condurlo subito alla morte. Paolo V volle che le sue spoglie fossero celebrate in un monumento parietale a Santa Maria Maggiore, una delle quattro basiliche maggiori con la Porta Santa. La scultura rappresenta Negrita in un aspetto stereotipato che rimanda all’antico Bruto capitolino, in pietra scura, secondo caratteristiche che precorrono l’estetica barocca, come la varietà dei marmi colorati, in contrasto col principio classico della monocromia. Mai prima di allora era stata concesso tanto in una chiesa a un africano che non fosse santo.
L’idea di una geografia e di una natura nuova, così come introdotta dalla colonizzazione delle terre extra-europee (si pensi solo a tutte le piante, le colture e gli animali che vengono importati in Europa durante quell’epoca, alcuni dei quali tanto assimilati nelle nostre abitudini da dimenticarci della loro provenienza) è certo una componente che favorisce lo sviluppo del gusto barocco, interessato a rappresentare aspetti molteplici del mondo per i quali i modelli mediterranei della tradizione classica si dimostrano insufficienti. L’africanità, trattata ovviamente anche in passato, conosce nuovo vigore attraverso la rievocazione non solo di eroi della storia, come l’Annibale di Tommaso della Porta il Giovane, 1600 circa. Ma vengono recuperate anche figure più o meno assoggettate che diventano di casa fra gli europei: il Giovane di colore di Nicolas Cordier, 1610 circa; i vari «schiavi» che compaiono in quadri di natura addomesticata, dalle Stagioni di Karel van Vogelaer alla strabocchevole Natura morta di David de Coninck, entrambe del 1680 circa, simboli di una plutocrazia a cui le novità provenienti da lontano hanno fatto aggiornare i propri status symbol.
In quanto al Barocco, è lecito considerarlo tale a partire dal papato di Urbano VIII (1623-1644), quando la mariniana meraviglia, come fine per antonomasia dell’espressione artistica esonda dagli affreschi Barberini di Pietro da Cortona per coinvolgere l’intera strategia mediatica che viene fatta propria dalla Chiesa vaticana.
Appaiono i lavori di Gian Lorenzo Bernini per la Fontana dei Fiumi di Piazza Navona, nuovo affaccio della residenza di famiglia del pontefice seguente, Innocenzo X Pamphilj (1644-1655), una scultura che certifica quanto fosse forte al tempo dell’Anno Santo 1650 il fascino per l’esotico all’interno di una visione unitaria del globo civilizzato. Da una parte ci sono l’obelisco e la personificazione del Nilo e l’Egitto antico, dall’altra ci sono i fiumi dei continenti extraeuropei: il Rio de la Plata e il Gange, accanto al vecchio Danubio blu. L’esotico extraeuropeo come nuovo orizzonte della cristianità diventa di moda, ispira nuovi moti di conoscenza così come modi aggiornati di vestirsi. Si collezionano testimonianze di civiltà altre, come possono essere quelle pagane del Centro America, nello spirito delle wunderkammer, i gabinetti delle meraviglie che esistevano già prima dell’epoca barocca: il culturalmente diverso non è più ritenuto inammissibile, anche se interpretato mediante mentalità che implicitamente ribadiscono la superiorità dell’uomo cattolico ed europeo. Il tutto mentre è ormai nel pieno del suo irrefrenabile divampare, al tempo di Alessandro VII Chigi (1655-1667) e dei suoi successori, un’arte che vuole darsi intenzionalmente come spettacolo, festa permanente, perché è spettacolo e festa l’intero mondo, proponendosi di suscitare stupore costante nei confronti delle creazioni di Dio così come in quelle con cui l’uomo rispecchia la loro grandezza. Sono i Gesuiti, l’ordine religioso dell’intellettualità militante, lo stesso del pontefice appena scomparso, lo stesso dell’attuale pontefice, a sancire con più convinzione che il pauperismo non è più una strada maestra obbligata, e a perseguire la ricerca dello splendore non è più un peccato se può essere un mezzo attraverso cui conseguire la maggior gloria di Dio. Si veda in questa luce il bozzetto di Andrea Pozzo, bozzetto per la Gloria di sant’Ignazio nel soffitto della chiesa omonima, prima del 1691, al principio del papato dell’unico pontefice morto nel corso di un Anno Santo prima di Bergoglio, Innocenzo XI Pignatelli. Talmente ricercato, lo stupore per lo splendore, che nei fedeli può determinare anche atterrimento, senso di impotente smarrimento, come se si stesse percependo l’odore del caos, perfino dell’abisso. Niente paura, ci pensa la Chiesa, a indicare la retta via alle anime turbate dopo averle provocate.