Berlino vuole divorziare da Pechino: la Germania scopre di esserne dipendente
- Postato il 8 novembre 2025
- Di Panorama
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La cancellazione del viaggio in Cina del ministro degli Esteri Johann Wadephul segna uno spartiacque nei rapporti tra Berlino e Pechino. Quando le autorità cinesi hanno confermato solo un incontro con l’omologo Wang Yi, rifiutandosi di organizzare ulteriori colloqui ad alto livello, il governo tedesco ha preso una decisione senza precedenti: rinviare la visita del capo delle feluche in programma a fine ottobre. A ben vedere, non si è trattato di un semplice intoppo diplomatico, ma della manifestazione di una trasformazione profonda che sta ridefinendo decenni di relazioni economiche e politiche tra Berlino e Pechino.
Il peso dell’industria tedesca e la dipendenza da Pechino
Come il mercantilismo energetico con la Russia ha caratterizzato il settennato di Gerhard Schröder e soprattutto i 16 anni di Angela Merkel, così l’industria pesante tedesca ha costruito negli ultimi vent’anni un vincolo fortissimo con il mercato cinese. L’industria chimica teutonica ha addirittura aumentato la propria dipendenza dalla Cina negli ultimi anni, con il 46 per cento delle aziende del settore che nel 2024 dichiaravano di dipendere da input intermedi cinesi, in crescita di cinque punti percentuali rispetto al 2022. Giganti come Basf hanno rappresentato da soli il 34 per cento degli investimenti diretti europei nel Dragone nel periodo 2018-2021. Nel settore dell’automazione industriale, Siemens ha intrecciato i propri sistemi di controllo con le infrastrutture critiche comuniste, mentre nell’automotive Volkswagen, Bmw e Mercedes-Benz hanno continuato ad aumentare la propria esposizione nel mercato locale nonostante i rischi geopolitici crescenti.
Questa dipendenza reciproca, che per anni è stata presentata come garanzia di stabilità, si è trasformata in una vulnerabilità strategica. Le élites industriali della “Deutschland Ag” (l’intreccio storico tra banche, grandi imprese e assicurazioni, ndr) non hanno solo condizionato la politica industriale tedesca, ma hanno esercitato un’influenza determinante sull’intera politica europea nei confronti di Pechino.
Wadephul nella scia di Baerbock
Torniamo a bomba: Wadephul non rappresenta una rottura con la linea della sua predecessora Annalena Baerbock che, durante il governo Scholz, si era distinta per posizioni nette e senza precedenti. Wadephul ha proseguito su questa linea, sollevando le questioni delle restrizioni all’esportazione cinesi di terre rare e semiconduttori, criticando le attività di Pechino nel Mar Cinese Meridionale come minacce all’ordine globale basato sulle regole, e rigettando le richieste cinesi di una «partnership strategica globale». Quando Pechino ha protestato contro il suo linguaggio, il ministro ha ribadito le proprie posizioni.
Merz contro l’“asse delle autocrazie”
Anche il cancelliere Friedrich Merz, che dovrebbe visitare la Cina dopo Wadephul, pur dovendosi barcamenare con un partner di coalizione come l’Spd che mantiene tradizionalmente posizioni più morbide verso Xi Jinping, non sembra disposto a mollare il punto. Merz ha descritto la Cina come parte di un «asse di autocrazie» insieme a Russia, Iran e Corea del Nord, ha avvertito le imprese tedesche sui rischi degli investimenti nel Paese e ha offerto un chiaro supporto a Taiwan, inquadrando l’approccio della Germania nel contesto di «un nuovo conflitto sistemico» tra democrazie liberali e regimi autoritari.
Eppure la tensione all’interno della coalizione è palpabile. Mentre Wadephul cancellava il suo viaggio previsto per i prossimi giorni, il vicecancelliere socialista Lars Klingbeil confermava la propria visita in Cina programmata per metà novembre. L’Sps, pur avendo preso posizioni critiche sui diritti umani e sulla sicurezza delle infrastrutture, mantiene un approccio che privilegia il dialogo e gli interessi economici.
Fine dell’ingenuità tedesca
La realtà è che la Germania si trova intrappolata tra imperativi geopolitici e dipendenze economiche strutturali che richiederebbero decenni per essere ridotte. Le esportazioni tedesche verso la Cina, corrette per l’inflazione, sono in calo dal 2018, e nel 2024 Pechino è scivolata al quinto posto tra le destinazioni dell’export tedesco. Ma la produzione tedesca sotto la Grande muraglia sta sostituendo le esportazioni dalla Repubblica federale, creando una forma di dipendenza ancora più profonda e difficile da recidere.
L’inasprimento dei rapporti tra i due Paesi è dunque la presa di coscienza tardiva di una realtà che altri partner occidentali hanno già compreso. Anche in Germania, insomma, è arrivata la fine dell’ingenuità nel rapporto con Pechino, ma il prezzo di decenni di dipendenza sarà salato e lungo da pagare.