Bibbiano, cadono quasi tutte le accuse sugli affidi, 3 condanne lievi e 11 assolti. Il Pd: “Ora Meloni chieda scusa”
- Postato il 10 luglio 2025
- Cronaca
- Di Blitz
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Dopo un’inchiesta che ha spaccato la politica, dopo tre anni di udienze e battaglie infuocate in aula tra Procura e difensori, il processo “Angeli e Demoni”, il cosiddetto caso Bibbiano sui presunti affidi illeciti, si riduce a tre condanne e con la pena sospesa.
A fronte di richieste della Procura fino a 15 anni e per tutti e 14 gli imputati, i giudici del tribunale di Reggio Emilia hanno deciso di condannare solo l’ex responsabile dei Servizi sociali della Unione Val d’Enza, Federica Anghinolfi, a due anni, l’assistente sociale Francesco Monopoli a un anno e otto mesi, entrambi per ipotesi di falso in atto pubblico, e la neuropsichiatra Floriana Murru a cinque mesi, per una rivelazione di segreto.
Cade tutto il resto: qualcosa per prescrizione, la maggior parte con assoluzioni. Erano oltre cento i capi di imputazione per reati come frode processuale, depistaggio, maltrattamento su minori, lesioni gravissime, falso in atto pubblico, violenza privata, tentata estorsione e peculato d’uso. L’accusa sosteneva che in Val d’Enza ci fosse un business sugli affidi dei minorenni, con relazioni che ingannavano i magistrati minorili, ma il tribunale collegiale non lo ha riconosciuto.
Già Claudio Foti, “il guru”, psicoterapeuta della onlus Hansel & Gretel, era stato assolto in via definitiva dalla Cassazione, dopo una condanna a quattro anni in primo grado e oggi anche l’ex moglie, Nadia Bolognini, per cui erano stati chiesti otto anni dalla pm Valentina Salvi, conclude il processo di primo grado senza alcun addebito.
Già un altro simbolo di questa storia, l’ex sindaco di Bibbiano Andrea Carletti, del Partito Democratico, finito inizialmente agli arresti domiciliari quando scattarono le misure cautelari dei carabinieri, era uscito dal processo in seguito all’abrogazione del reato di abuso di ufficio deciso dal Governo di centrodestra. Di recente il suo partito gli ha riconsegnato la tessera. Carletti, dopo la sentenza, ha postato sui social una foto che lo ritrae davanti al municipio del paese della bassa reggiana. La foto risale ad un anno fa e Carletti è insieme al successore, Stefano Marazzi.

La figura principale rimasta a giudizio era quella di Federica Anghinolfi, che rispondeva di una sessantina di imputazioni e che si è vista condannare per due. “Oggi sappiamo che non esistono demoni contrapposti agli angeli, che la nostra assistita non è una ‘ladra di bambini’ e che non ha mai agito per interessi diversi da quello superiore della tutela dei minori. Questa verità giudiziale ci ripaga degli sforzi compiuti, ma non cancella la distruzione mediatica dell’immagine della nostra assistita né i danni irreparabili e incalcolabili provocati al sistema della tutela dei minori”, hanno commentato a caldo i suoi difensori, gli avvocati Oliviero Mazza e Rossella Ognibene.
“Su Bibbiano servirebbero le scuse di Giorgia Meloni”
“Su Bibbiano ora servirebbe solo una cosa: le scuse di Giorgia Meloni. Cari Fratelli d’Italia: adesso sì, parlateci di Bibbiano. O non avete il coraggio di farlo?”, ha attaccato Maria Elena Boschi di Italia Viva, postando una vecchia foto della premier davanti al cartello stradale del paese.
Sulla stessa linea Marco Furfaro del Pd, che sui social ha scritto: “‘Siamo stati i primi ad arrivare, saremo gli ultimi ad andarcene’. Così diceva Giorgia Meloni davanti al cartello di Bibbiano. Ci si fece fotografare come in un pellegrinaggio. E con lei arrivarono Salvini, le fake news, l’odio, la gogna. Dicevano che a Bibbiano c’erano ‘ladri di bambini’. Che i servizi sociali strappavano figli per affidarli a coppie omosessuali. Che psicologi e assistenti sociali usavano gli elettroshock. Che c’era un sistema organizzato per fare soldi sulla pelle dei più fragili”.
Prosegue Furfaro: “Oggi, dopo sei anni, quel processo si è chiuso. Non c’erano ladri di bambini. Non c’era nessun sistema. Non c’era nulla di quello che Giorgia Meloni e Salvini hanno urlato ai quattro venti. Ma il danno resta. Resta un intero sistema di tutela dell’infanzia delegittimato. Tutto questo per cosa? Per lucrare qualche voto in più. Ora che il processo è finito, chi ha consensi sulla pelle dei bambini e sulla calunnia dei professionisti deve chiedere scusa. Giorgia Meloni deve chiedere scusa. Attendiamo fiduciosi”.
Alla fine del 2019, l’indagine diventò uno dei temi principali di contesa nella campagna elettorale per le elezioni regionali in Emilia-Romagna, con leader politici che si alternarono a fare comizi nel piccolo centro della bassa e indossarono magliette a tema in parlamento, con polemiche a non finire, strumentalizzazioni e scambio di querele.
Dal sindaco di Reggio Emilia, Marco Massari, arriva oggi una posizione di “vicinanza alle persone che oggi vedono finire, o quasi, un incubo processuale durato anni. Persone per cui, come purtroppo sempre più spesso accade, si sono formulati giudizi affrettati senza attendere la verità giudiziaria; persone contro cui certa politica ha dato il peggio di sé, creando mostri, cavalcando paure, fomentando odio”.
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