Black Friday, l’indagine di Greenpeace: “Un terzo degli abiti Shein contiene sostanze tossiche”

  • Postato il 26 novembre 2025
  • Moda E Stile
  • Di Il Fatto Quotidiano
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Il gigante cinese del fast fashion Shein, accusato di concorrenza sleale e sfruttamento del lavoro, si prepara al Black Friday tappezzando le città con manifesti che invitano al consumismo sfrenato di abiti di bassa qualità che, in molti casi, continuano a risultare contaminati da sostanze chimiche pericolose che violano i limiti imposti dall’Unione Europea. Tre anni dopo la sua ultima indagine condotta su 47 prodotti acquistati in Italia, Austria, Germania, Spagna e Svizzera, Greenpeace Germania è tornata ad analizzare 56 capi venduti dal colosso cinese del fast fashion. E, a pochi giorni dal Black Friday, pubblica l’inchiesta ‘Shame on you, Shein!’, nel corso della quale ha scoperto che circa un terzo degli indumenti testati (18 su 56) contiene sostanze pericolose oltre i limiti stabiliti dal Regolamento europeo per le sostanze chimiche (REACH), inclusi vestiti per bambini. Il tutto, tra l’altro, avviene a poche settimana, dalla contestatissima apertura del primo negozio fisico di Shein a Parigi, nei grandi magazzini BHV, nel cuore del quartiere centrale di Marais. Nello stesso giorno in cui, tra l’altro, il governo francese aveva annunciato il blocco del sito di fast fashion dopo le polemiche per la vendita di bambole gonfiabili dalle sembianze infantili e giocattoli a forma di armi destinati ai minori.

L’indagine rivela anche la presenza di Pfas

Nei prodotti acquistati e analizzati da Greenpeace sono stati trovati plastificanti ftalati e Pfas, i cosiddetti inquinanti eterni dalle proprietà idrorepellenti e antimacchia, noti per la loro correlazione con cancro, disturbi riproduttivi e della crescita, ed effetti sul sistema immunitario (Guarda l’approfondimento). Sono esposti al rischio i lavoratori e l’ambiente nei Paesi di produzione, ma anche i consumatori finali attraverso il contatto con la pelle, il sudore o l’inalazione delle fibre degli indumenti che, una volta lavati o gettati via, possono inoltre contaminare il suolo e i fiumi ed entrare nella catena alimentare. Già nel 2022, Greenpeace aveva trovato sostanze chimiche pericolose oltre i limiti legali stabiliti dall’Unione europea nei prodotti Shein. E l’azienda, dopo l’indagine, aveva ritirato gli articoli, impegnandosi a migliorare la gestione delle sostanze chimiche. Ma le nuove analisi dimostrano che il problema permane.

Greenpeace: “Dopo le promesse non è cambiato nulla. Una follia”

“Shein rappresenta un sistema guasto di sovrapproduzione, avidità e inquinamento. Il gigante del fast fashion – racconta Moritz Jäger-Roschko, esperto di Greenpeace sull’economia circolare – inonda il pianeta di abiti di bassa qualità che, nonostante le promesse, continuano a risultare contaminati da sostanze chimiche pericolose. E l’imminente Black Friday porterà ancora una volta questa follia della moda veloce all’estremo”. Il colosso cinese ha già tappezzato le città con i suoi manifesti che invitano all’acquisto di prodotti di bassa qualità per pochi euro. “L’azienda sembra disposta ad accettare danni alle persone e all’ambiente: i prodotti segnalati nei test precedenti riappaiono in forma quasi identica, con le stesse sostanze pericolose” spiega Jäger-Roschko. Ergo: rispetto al 2022 non è cambiato nulla. E aggiunge: “Questi risultati dimostrano chiaramente che l’autoregolamentazione volontaria è inutile. Per responsabilizzare davvero i produttori, abbiamo bisogno di leggi anti-fast fashion vincolanti”.

I numeri del colosso volano (ma anche le emissioni)

Al momento, infatti, l’azienda e la sua politica sembrano irrefrenabili. Con 363 milioni di visite mensili, Shein.com è il sito di moda più visitato al mondo, con un traffico superiore a quello di Nike, Myntra e H&M messi insieme. In qualsiasi momento, la piattaforma offre oltre mezzo milione di modelli, venti volte la gamma di H&M. Il colosso cinese continua a crescere, con un fatturato passato da 23 miliardi di dollari nel 2022 a 38 miliardi nel 2024. “Parallelamente, però, le sue emissioni sono quadruplicate negli ultimi tre anni, e il poliestere (una plastica derivante dai combustibili fossili) rappresenta l’82% delle fibre utilizzate da Shein” si ricorda nel report. Nonostante ripetute multe da milioni di euro, l’azienda continua a sfruttare scappatoie doganali e a violare le norme per la tutela dei consumatori e dell’ambiente, eludendo i controlli sulle sostanze chimiche e contribuendo a generare enormi quantità di rifiuti tessili.

La legge francese e il braccio di ferro tra il colosso cinese e Parigi

Secondo Greenpeace, una legge ispirata alla normativa entrata in vigore in Francia potrebbe frenare questa sovrapproduzione e mitigare gli impatti dannosi dell’industria. Parigi, infatti “ha recentemente introdotto una tassa sul fast fashion, promosso l’economia tessile circolare e vietato la pubblicità della moda ultraveloce (compresa quella sui social)”. L’associazione ambientalista chiede di seguire l’esempio e di applicare la legislazione europea sulle sostanze chimiche a tutti i prodotti venduti nell’Unione europea, compresi quelli online, rendendo le piattaforme legalmente responsabili di eventuali violazioni e consentendo alle autorità la loro sospensione in caso di ripetute inosservanze.

Fotocredits: Florian Manz/Greenpeace

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Il Fatto Quotidiano

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