Bombe sull’Iran, la “pace” di Trump
- Postato il 23 giugno 2025
- Notizie
- Di Quotidiano del Sud
- 2 Visualizzazioni

Il Quotidiano del Sud
Bombe sull’Iran, la “pace” di Trump
LA NOTTE tra il 21 e il 22 giugno 2025 sarà ricordata come uno dei momenti più drammatici e controversi della presidenza Trump: un attacco militare lampo contro tre centrali nucleari dell’Iran – Fordow, Natanz, Esfahan – pianificato in totale segretezza e rivelato al mondo con un post di poche righe su Truth Social, la piattaforma social personale dell’ex e attuale presidente degli Stati Uniti. L’operazione – nome in codice “Martello di mezzanotte” – ha visto la partecipazione dei bombardieri strategici B-2 delle temibili bombe MOP da 13.6 tonnellate di peso, utilizzate per colpire le strutture sotterranee degli impianti di Teheran. Il post presidenziale, pubblicato intorno all’una e cinquanta, ora italiana, firmato semplicemente “DJT”, contiene in sé tutto lo stile trumpiano: diretto, celebrativo, teatrale.
«Abbiamo completato con successo il nostro attacco ai tre siti nucleari in Iran… Tutti gli aerei stanno rientrando sani e salvi… Nessun altro esercito al mondo avrebbe potuto fare questo. Ora è il momento della pace!», ha scritto Trump, alternando toni trionfalistici a un appello alla distensione che è suonato più come un ultimatum che un vero invito al dialogo. Dopo il post, è iniziato un flusso ininterrotto di messaggi e rilanci sui social, tra cui spicca il messaggio “Fordow is gone” – “Fordow è andata” -, in riferimento alla più protetta tra le installazioni nucleari iraniane, scavata all’interno di una montagna. Per il presidente l’operazione è stata «un incredibile successo» che ha «annichilito il programma nucleare iraniano».
Una narrazione trionfalista che si è poi formalizzata nel discorso televisivo tenuto da Trump attorno alle 4 del mattino italiane, in diretta dalla Casa Bianca con il vicepresidente J.D. Vance al fianco. Tre minuti di oratoria in cui il presidente ha ribadito la sua versione dei fatti: «L’attacco è stato un successo spettacolare», ha detto. «L’obiettivo era porre fine alla minaccia nucleare del primo Stato che sponsorizza il terrorismo». Con tono misurato ma deciso, ha offerto una chiara alternativa: «O la pace o attaccheremo ancora».
Il discorso di Trump sembra seguire una logica ben precisa: trasformare una prova di forza in una leva diplomatica, ma la proposta di “pace” fatta poche ore dopo l’attacco militare massiccio in Iran, suona inevitabilmente ambigua. Soprattutto considerando le parole successive: «Ci sono ancora molti obiettivi da colpire… e gran parte possono essere distrutti in pochi minuti». Per il ministro degli Esteri Abbas Araghchi l’attacco di sabato notte ha dimostrato chiaramente che un negoziato con gli Stati Uniti non è possibile, a causa delle loro intenzioni ostili contro l’Iran. Nonostante i toni vittoriosi del presidente degli Stati Uniti, va comunque notato che la valutazione dei danni inflitti al programma nucleare iraniano è ancora in corso e probabilmente richiederà tempo. Secondo esponenti politici e militari israeliani e americani, la versione più plausibile è che il programma iraniano sia stato danneggiato gravemente, ma non distrutto. Si parlerebbe più di un rallentamento che di un arresto del nucleare iraniano. Nel resto del discorso, Trump ha poi ringraziato l’esercito americano, i «grandi patrioti» che hanno sorvolato i cieli dell’Iran con «macchine magnifiche», e l’alleato Benjamin Netanyahu, primo ministro di Israele.
«Abbiamo lavorato come una squadra», ha affermato, riconoscendo il ruolo decisivo israeliano, che secondo numerose fonti ha fornito intelligence, supporto logistico e probabilmente copertura aerea. L’operazione ha però diviso profondamente l’opinione pubblica e il mondo politico americano. A poche ore dall’annuncio, il deputato repubblicano del Kentucky Thomas Massie ha scritto su X: «Questo non è costituzionale», riferendosi alla decisione unilaterale dell’esecutivo di lanciare un attacco militare senza il consenso del Congresso. Lo stesso punto è stato sollevato dal senatore democratico Bernie Sanders, che ha parlato di «grave violazione delle prerogative parlamentari».
Per i critici, l’azione di Trump rappresenta un pericoloso precedente: una guerra annunciata sui social, senza dibattito, senza trasparenza. In rete, il dibattito è feroce. C’è chi esalta il gesto come un atto di forza necessario e chi lo condanna come un’azione sconsiderata che rischia di incendiare l’intero Medio Oriente. In risposta all’attacco, le autorità iraniane hanno denunciato l’aggressione subita e promesso una pesante rappresaglia. Nel pomeriggio di ieri il parlamento iraniano ha approvato a larghissima maggioranza la chiusura dello Stretto di Hormuz, passaggio obbligato per oltre il 20% del petrolio mondiale. Una scelta che il vicepresidente americano Vance ha definito «un suicidio».
C’è infine un aspetto da non sottovalutare: il modo in cui Trump ha scelto di comunicare: la guerra in Iran, per la prima volta, è stata annunciata in diretta su un social network personale, con un linguaggio che ricorda più uno slogan pubblicitario che un bollettino militare. In un’epoca in cui l’informazione viaggia alla velocità dei like, anche la guerra diventa “condivisibile”, perfino virale. Il che riflette una visione del potere profondamente mediatica: Trump non vuole solo vincere sui campi di battaglia, ma soprattutto nello spazio della percezione pubblica.
Forse questo bisogno spasmodico di attenzione pubblica influirà sugli attori coinvolti in maniera negativa oppure il timore di qualche cattiva ricaduta d’immagine potrebbe indurli a comportamenti più moderati. In attesa del prossimo tweet – o del prossimo missile.