Bruce Springsteen: adrenalina rock per sessantamila fan a San Siro
- Postato il 30 giugno 2025
- Di Panorama
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Erano previsti un anno fa i due concerti milanesi di Bruce Springsteen rimandati per un problema alle corde vocali. Tutto liscio invece ieri sera con la presenza sul palco di Little Steven, operato d’appendicite una manciata di giorni fa.
Quella tra Springsteen e lo stadio milanese è una love story iniziata nel giugno di quaranta anni fa con un leggendario e infuocato concerto durato tre ore e mezzo. Da allora ogni show nella Scala del calcio è sempre stato un evento, un bagno di folla con un potente scambio di adrenalina tra palco e pubblico.
Si parte qualche minuto prima delle 20 con No surrender ed è subito festa. Ovvio che a 75 anni la voce e l’energia non siano più le stesse dei tempi d’oro, ma Springsteen ha dalla sua il carisma, la determinazione e una band fortissima che sorregge tutto quanto. E poi, le canzoni, che sono sempre state il fulcro dei suoi spettacoli. Un repertorio infinito di successi da rileggere in versione live in tutte le chiavi possibili.
La scaletta non si differenzia da quella degli ultimi concerti in Germania, ma i pezzi che contano ci sono tutti, così come ci sono le critiche al presidente americano Donald Trump, già ribadite più volte nel corso del tour europeo. Con My love will not let you down l’empatia artista-fan diventa totale ancora una volta e lo sarà per tutta la durata del concerto.
È un crescendo senza sosta lo spettacolo di Springsteen: solo musica, niente effetti speciali. Il concerto (si replica il 3 luglio) è un viaggio nella discografia dell’artista (che ha da poco pubblicato sette album inediti nel cofanetto Tracks II – The Lost Albums): da Atlatic City a The promised land passando per Hungry heart, The river, The rising, Wrecking ball e Thunder road.
I bis sono un unico lungo fuoco d’artificio che mette in fila pezzi storici come Born in the U.S.A, Born to run, Bobby Jean, Dancing in the dark, Tenth Avenue Freeze-Out, l’immancabile versione di Twist and Shout e Chimes Of Freedom di Bob Dylan. Il rito è compiuto, le gente esce contenta dallo stadio e i più giovani, quelli che non lo hanno visto nelle decadi precedenti, si portano a casa la sensazione di aver assistito a qualcosa di unico, che appartiene a un’altra era della musica e a un altro modo di fare concerti. Non è poco.