Buone notizie, come staremo (meglio) nel 2026
- Postato il 26 dicembre 2025
- Di Panorama
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Un giorno la medicina smetterà di essere confinata in un reparto d’ospedale. Sarà un algoritmo che aiuta il medico di Pronto soccorso a curarci, un vaccino contro il cancro disegnato in tre giorni a partire dal Dna umano, o un microchip che restituisce ai paraplegici la possibilità di correre. Quel giorno, però, è già adesso: nel 2026 saremo pronti per entrare in un nuovo “secolo biologico”, dove i confini tra prevenzione e terapia, tra umano e artificiale, clinica e ingegneria iniziano a dissolversi.
Il testimonial perfetto di questa realtà futuribile ma già tangibile è in piedi sulla neve (nella foto qui a lato), e porterà la fiamma olimpica di Milano-Cortina 2026. Si chiama Andrea Scotti, ha 34 anni e, nel 2019, dopo una lesione midollare a livello delle vertebre toraciche, si è ritrovato su una sedia a rotelle: con poche speranze di poter di nuovo camminare. La svolta è avvenuta quando è stato inserito in un trial clinico del MINELab dell’Irccs Ospedale San Raffaele di Milano e dell’Università Vita-Salute San Raffaele, in collaborazione con la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa: il protocollo studia gli effetti della stimolazione elettrica sul midollo spinale. Il team di neurochirurghi del centro milanese, guidato dal primario Pietro Mortini, gli ha impiantato nella schiena un neurostimolatore midollare, una sorta di “pacemaker” con 32 elettrodi: la stimolazione elettrica ha quindi permesso di “riaccendere” determinati circuiti nervosi. All’intervento è seguito un percorso di riabilitazione, e il risultato è che ora Andrea cammina, e sarà uno dei tedofori delle Olimpiadi invernali.
Dopo questo grande successo tutto italiano, nell’anno che verrà si potranno probabilmente offrire speranze ad altri pazienti con gravi lesioni midollari, con la possibilità di recuperi impensabili solo fino a pochi anni fa. Sempre nel campo dell’uomo bionico, a San Francisco la società Science Corp del bioingegnere Max Hodak, ha da poco impiantato un microchip con 400 elettrodi nella retina di persone con degenerazione maculare. I pazienti hanno, di fatto, riacquistato la vista.
Sui grandi numeri, però, il principale nemico di tutti noi è sempre il cancro. Secondo le previsioni di Annals of Oncology, nel 2025 il conteggio dei decessi per tumore in Italia potrebbe attestarsi a circa 176 mila individui.
Ma a nostra disposizione ci sono sempre più cure. E se conosciamo già le cellule Car-T, finora utilizzate solo per la cura dei tumori del sangue (ma in sperimentazione anche su alcuni tumori solidi), tra le novità più promettenti ci sono altre cellule, che “produciamo” proprio noi in Italia. «Stiamo sviluppando protocolli di terapia cellulare innovativa, utilizzando le cosiddette cellule Carcik “cytokine-induced killer cells”, modificate geneticamente per riconoscere un antigene espresso dalla cellula tumorale», spiega a Panorama il professor Federico Lussana, direttore facente funzione dell’ematologia dell’Asst Papa Giovanni XXIII di Bergamo. «La grande novità rispetto alle Car-T è che partiamo dal sangue di donatori sani, e non da quello del paziente: in questo modo otteniamo linfociti più efficienti. Abbiamo avuto risultati ottimi su malati con leucemia acuta linfoblastica che avevano già subito una ricaduta dopo un trapianto di midollo: pazienti senza altre opzioni terapeutiche. L’83 per cento ha risposto al trattamento, e dopo un anno la sopravvivenza complessiva è del 57 per cento». Inoltre, nel 2026 dovrebbe iniziare un nuovo studio clinico nella leucemia mieloide acuta grazie a una cellula Car-Cik che riconosce due recettori invece di uno. «La doppia attivazione dovrebbe minimizzare la tossicità e selezionare meglio la cellula leucemica rispetto a quella sana», continua Lussana. «E sempre nel 2026, nella leucemia linfoblastica acuta, potremo utilizzare un anticorpo bispecifico, in associazione alla chemioterapia: un approccio che migliora gli esiti e consente, in alcuni casi, di evitare il trapianto di midollo».
Sempre nella lotta al cancro, i vaccini a mRNA sono già una realtà che nei prossimi mesi potrebbe ulteriormente consolidarsi. «Sono stati testati nei melanomi, in uno studio di fase 2 randomizzato nel quale sono stati costruiti dei vaccini che possiamo definire personalizzati», ci spiega Giuseppe Curigliano, ordinario di oncologia medica dell’Università di Milano e vicedirettore scientifico dello Ieo, Istituto europeo di oncologia. «Si parte dall’asportazione del tumore primitivo del paziente, poi si procede al sequenziamento massivo del Dna, si identificano i geni più rappresentativi e su questa base viene allestito un vaccino a mRNA che replica esattamente quei geni: di fatto si costruisce un identikit genetico del tumore del paziente». Inoltre, al momento sono in corso tre grandi studi randomizzati su melanoma, tumori polmonari e tumori renali, concepiti come terapie precauzionali dove il vaccino non serve a curare i pazienti metastatici, ma a ridurre il rischio di recidiva. Nell’ultimo anno è stato avviato anche un lavoro importante sul tumore del pancreas. Ci sono poi le grandi speranze legate agli anticorpi bispecifici, cioè il risultato dell’ingegnerizzazione di anticorpi capaci di legarsi a un antigene tumorale e di attivare il sistema immunitario. «Sono tecniche molto promettenti, tanto che in alcuni tumori, come quelli del polmone, sono già arrivati in prima linea», conclude il professore. «Ci sono molti studi nei tumori solidi in cui questo approccio sta diventando sempre più importante, e prevedo che nel giro di qualche anno questi farmaci diventeranno uno standard of care. Alcuni anticorpi bispecifici possono anche essere coniugati con la chemioterapia: in questo modo non solo si legano alla cellula tumorale e attivano il sistema immunitario, ma trasportano selettivamente un carico chemioterapico, come un cavallo di Troia».
Ma nel 2026 potrebbero verificarsi decise svolte anche nel campo degli xenotrapianti, cioè il trapianto nell’essere umano di organi provenienti da animali geneticamente modificati. «Grazie alle tecniche di editing genetico, stiamo creando animali “umanizzati”» dice a Panorama il professor Luca Lorini, direttore del reparto di anestesia e rianimazione 2 dell’Asst Papa Giovanni XXIII di Bergamo. «Il maiale è quello che si è dimostrato più adatto, perché permette di ridurre le due principali complicanze dei trapianti, il rigetto e il rischio infettivo. In soli tre anni abbiamo fatto il 30 per cento del percorso verso un risultato ottimale. Alcuni centri potrebbero essere pronti a operare molto presto».
Anche per quanto riguarda i problemi legati all’obesità, al diabete e quindi anche al cuore, la ricerca corre verso alcuni traguardi già quest’anno. «L’innovazione più rilevante riguarda i nuovi farmaci anti obesità chiamati tripli agonisti: non intervengono solo sul recettore GLP-1 come quelli che già conosciamo (e che sono anche molto di moda tra chi vuole perdere solo qualche chilo, ndr), ma anche sul glucagone e sul GIP» spiega Alberto Benetti, direttore del reparto di medicina interna – Alta complessità dell’Ospedale Niguarda di Milano. «Tra questi spicca il Retatrutide: siamo in trial di fase 3 e i dati sull’obesità sono molto promettenti. Poi seguiranno anche quelli sul rischio cardiovascolare e sul diabete. Io ho già pazienti che li utilizzano, acquistandoli negli Stati Uniti». E per quanto riguarda il colesterolo, si ripongono grandi speranze anche in un nuovo farmaco: si chiama Enlicitide ed è stato presentato durante l’ultimo congresso dell’American heart association, con uno studio di fase III che ha dimostrato ottimi risultati per chi soffre di ipercolesterolemia familiare.
Sui terreni “minati” dei Pronto soccorso fare ricerca clinica sembra un’utopia: troppi pazienti, poco tempo. Invece, anche qui, arriveranno belle sorprese grazie al progetto eCREAM. «La pandemia ha ricordato a tutti quanto sia fondamentale poter contare su Pronto soccorso efficienti», dice a Panorama Guido Bertolini, responsabile del dipartimento di epidemiologia medica del’Irccs Istituto Mario Negri di Milano. «In Ps, però, fare ricerca è difficilissimo: il ritmo è troppo serrato per permettere le raccolte dei dati. L’unica strada è sfruttare i dati che già esistono, soprattutto nelle cartelle cliniche». È qui che entra in gioco eCREAM, portato avanti dal Gruppo italiano per la ricerca clinica in medicina d’urgenza “Fenice”, che creerà strumenti in grado di estrarre informazioni cliniche da fonti diverse. «Usiamo l’Ia, e in particolare i modelli di linguaggio, per riuscire a interpretare ciò che è scritto e detto dai medici del Pronto soccorso che visitano i pazienti», continua Bertolini. «Stiamo progettando una nuova cartella clinica strutturata, con poco testo libero e compilabile con click intuitivi. Aiuterà i medici a non dimenticare nulla: è uno strumento innovativo che aumenterà la sicurezza dei pazienti, e che vogliamo mettere presto a disposizione dei reparti».
Il 2026 forse non cambierà la medicina in un solo colpo, ma ne mostrerà la traiettoria: innovazioni diverse, che oggi sembrano isolate, compongono un’unica linea di avanzamento. Il futuro si troverà a fare passi indietro ed errori, tra ripensamenti e stop improvvisi, ma sta a noi aver fiducia, perché il progresso «ha sempre ragione anche quando ha torto», come diceva Filippo Tommaso Marinetti. E ci permette, oggi, di intravedere l’orizzonte: la nostra nuova salute che verrà.