Caccia agli evasori, il contributo dei Comuni resta minimo: solo 502 accertamenti. Ma la colpa non è tutta dei sindaci
- Postato il 9 luglio 2025
- Economia
- Di Il Fatto Quotidiano
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Resta del tutto residuale il contributo dei Comuni alla lotta all’evasione. Nel 2024 sono stati solo 502 gli accertamenti dell’Agenzia delle Entrate realizzati su input degli enti locali grazie alle informazioni su utenze e iscrizioni anagrafiche, catasto, contratti di locazione, licenze commerciali. E nel 2023, ultimo anno per cui sono disponibili dati, le somme tornate nelle loro casse per effetto di quelle segnalazioni si sono fermate a circa 10 milioni di cui 3,2 andati a una manciata di Comuni molto attivi. Si potrebbe sperare che la situazione migliori perché il recente decreto legislativo sui tributi regionali e locali e il federalismo fiscale regionale riporta al 100%, per il triennio 2025-2027, la quota di somme riscosse in seguito alle loro segnalazioni che viene girata ai sindaci. Insomma: chi contribuisce a far cassa si prende tutto il bottino (dal 2022 la quota riconosciuta era scesa al 50%). Ma la verità è che non è quello l’unico motivo per cui i funzionari comunali sono poco propensi a esporsi segnalando i concittadini al fisco.
A fornire numeri aggiornati è la Corte dei conti, che nell’ultima relazione sul rendiconto generale dello Stato fa il punto sui risultati della norma del 2025 che incentiva la partecipazione dei Comuni all’accertamento fiscale. Le tabelle confermano come a contribuire al maggior numero di accertamenti (158) siano stati ancora una volta gli enti locali della Lombardia seguiti da quelli della Liguria (97) e dell’Emilia-Romagna (88). Decisamente più attivi gli enti del Nord, che hanno dato impulso oltre l’80% di tutti i controlli realizzati a partire dal 2020 con il contributo comunale. E anche la classifica delle somme riconosciute è dominata dal Nord Italia.
Al primo posto torna con 800,5 milioni il Comune di Milano, che l’anno prima era stato sopravanzato da Genova, ora in seconda posizione con 765,9 milioni ricevuti dallo Stato a fronte di segnalazioni inviate all’amministrazione finanziaria. Seguono Prato con 369,6 milioni, Lodi con 314,9 e Cernusco sul Naviglio con 151,8. Sesta nella lista dei Comuni più attivi Torino con 248,3. Poi Brescia, Bologna e Bergamo. Ancora a zero la capitale, che ha sempre fatto registrare risultati poco significativi e anche nel decennio 2008-2017 – quando i più virtuosi sono stati Milano, Genova e Torino – si è piazzata quattordicesima. I risultati pro capite vedono ampiamente in testa il piccolo Comune di San Giovanni in Persiceto, 28mila abitanti, complice una segnalazione particolarmente proficua su una singola azienda che ha fruttato ben 4,2 milioni tra 2018 e 2023.
“Anche considerando l’intero quinquennio 2020-2024”, commentano i magistrati contabili, “è evidente la marginalità dell’apporto all’azione di controllo fiscale recato dai Comuni di gran parte delle regioni”. E invitano a “meglio valorizzare e condividere le esperienze degli enti, anche di contenute dimensioni, che hanno ottenuti i migliori risultati”. Sul perché del flop non si azzardano spiegazioni. Gli amministratori ammettono che l’attenzione degli enti tende a concentrarsi sulle tasse locali, mentre stanare chi non paga le imposte sui redditi e sul valore aggiunto o l’imposta di registro viene spesso ritenuto politicamente costoso e in più non è detto che il gioco valga la candela. Anche perché, nonostante un protocollo ad hoc tra Entrate, Guardia di Finanza, Anci e fondazione Ifel, i Comuni non vengono informati passo passo sull’avanzamento degli accertamenti avviati dopo le loro segnalazioni e scoprono con molto ritardo se hanno consentito di riscuotere qualcosa.
Non a caso l’Anci ha chiesto al governo di introdurre nel decreto legislativo sui tributi regionali e locali, ora alla Camera per i pareri delle Commissioni, un comma che imponga all’Agenzia di destinare almeno il 3% della capacità operativa degli uffici territoriali all’esame delle segnalazioni qualificate degli enti locali e individuare in ogni ufficio un funzionario che faccia da punto di riferimento per i Comuni. Oltre a sollecitare una modifica alla norma del 2005 per far rientrare sotto il cappello dei recuperi incentivati, accanto a quelli che passano per un formale avviso di accertamento, anche i casi di riscossione derivanti da lettere di compliance e solleciti. Il tutto dovrebbe confluire in un testo comunque duramente contestato – tanto che l’intesa in conferenza unificata è a rischio – perché abolisce gli attuali trasferimenti alle Regioni, parte dei quali arriva proprio ai Comuni, senza prevedere anche per loro una compartecipazione a tributi erariali.
Ultimo tasto dolente: il protocollo con le Entrate, nella versione firmata nel 2022, prevedeva la “condivisione delle informazioni presenti negli archivi dell’Anagrafe tributaria“, che raccoglie saldo iniziale e finale dei conti correnti e loro movimentazioni, per “consentire ai Comuni l’implementazione dei processi di analisi del rischio utili a individuare comportamenti evasivi ed elusivi di tributi statali e locali” è da anni solo sulla carta anche se le strutture comunali ne avrebbero molto bisogno in primo luogo per rafforzare la riscossione dei propri tributi, dall’Imu alla Tari. La cui debolezza mette a rischio i bilanci: negli ultimi dieci anni sono oltre 200 gli enti finiti in dissesto perché non più in grado di svolgere le proprie funzioni ed erogare servizi indispensabili ai cittadini.
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