Calabresi nel mondo, «ho scelto l’Australia per tornare a vivere»

  • Postato il 3 giugno 2025
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Calabresi nel mondo, «ho scelto l’Australia per tornare a vivere»

Clorinda Sgromo, social media strategist calabrese

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Calabresi nel mondo, la storia di Clorinda Sgromo, social media strategist di 32 anni, che ha lasciato una posizione da manager per trasferirsi in Australia: «Il modello “Milano” ti valuta solo per il prestigio del tuo ruolo o dell’azienda per cui lavori. Ma non è quello a dirmi il tuo valore, come persona. Una persona di successo, per me , è una persona che vive in equilibrio con se stessa»

A 32 anni lascia il suo lavoro di manager in un’azienda di moda, con sede in Svizzera, per trasferirsi in Australia. Un salto nel vuoto, ma ponderato, con la consapevolezza – come vedremo – di avere delle competenze e delle abilità che l’avrebbero aiutata a rimettersi in gioco e ripartire.

La storia di Clorinda Sgromo, calabrese originaria di Curinga, un piccolo comune in provincia di Catanzaro, rientra nel filone delle cosiddette ‘grandi dimissioni’, la fuga dalle corporate iniziata dopo il Covid. Ma con qualcosa in più. Perché la sua storia lascia un particolare messaggio su cui riflettere. E cioè che non esiste nel mondo aziendale un modello unico – un modello corretto e giusto a cui uniformarsi – e che, soprattutto, noi non siamo il nostro lavoro.

La storia che segue, quindi, non è la storia di una privilegiata. Né di chi vuol dispensare ricette facili, ché, certo, di facile nel trasferirsi in altro continente ed emisfero non c’è nulla. Ma è una storia che consegna più significati, non ultimo – anzi – quello di scardinare il senso di colpa che un certo modello ipercompetitivo ha inculcato in tanti, quello del non essere o del non fare abbastanza, se non si lavora anche fuori orario o se non si arriva al top.

Quando raggiungiamo Clorinda, via Meet, sono le 10 e 30 in Italia e le 18 e 30 a Sidney. Alle sue spalle lo skyline illuminato della città, con i suoi simboli, l’Opera House e l’Harbour Bridge. Perché Clorinda, che ha vissuto in Calabria fino a 18 anni e poi si è trasferita a Milano per studiare e raggiungere la famiglia, porta con sé una caratteristica tutta calabrese. Il piacere della condivisione: ci tiene a mostrarci quelli che sono i simboli di Sidney.

CALABRESI NEL MONDO: DA BASILEA ALL’AUSTRALIA PER RITROVARE SE STESSA

Inizierei da qui. Perché l’Australia?

«Per lunghi anni il mio lavoro è stata la mia vita, tutto il mio microcosmo. Più andavo avanti con la carriere, più crescevo in ruolo e in responsabilità, più mi accorgevo però che la vita che conducevo non rispecchiava me stessa e i miei valori. Ripartire dopo i 30 anni non è facile, naturalmente, né è possibile farlo in qualunque Paese. Le soluzioni migliori per me erano Canada e Australia, perché avrei potuto ottenere un working holiday visa, un visto provvisorio per vivere e lavorare in quei Paesi. La scelta finale è stata l’Australia per il clima! Sole, mare… del resto sono calabrese».

Un grande salto. Hai detto che il lavoro, lo stile di vita che conducevi prima non rispecchiava i tuoi valori. Mi spieghi meglio?

«Non è il lavoro – nella mia visione di vita – a fare di te una persona di successo. Non è il lavoro – il ruolo che raggiungi, per quanto di prestigio, l’azienda che ti ha assunto – a raccontarmi il tuo valore. Una persona di successo, per me, è una persona che vive in equilibrio con se stessa. O almeno questo è ciò a cui aspiro io, per la mia vita».

E a Milano – o a Basilea, dove ti eri trasferita negli ultimi anni – non era così?

«A Milano il tuo valore come persona viene valutato in base al lavoro che fai o, ancor meglio, all’azienda di cui sei dipendente. Quando conosci persone nuove ancor prima di chiederti il tuo nome potrebbero chiederti per chi lavori. E se l’azienda è importante, ti guardano ammirati e impressionati. Se poi non hai una vita fuori dal lavoro, se non hai amici, se non riesci a prenderti cura di te, non importa. Ecco, io preferisco avere un lavoro ‘meno affascinante’, ma vivere una vita piena».

Clorinda Sgromo nel suo ex ufficio a Basilea

«I MIEI GENITORI MI HANNO TRASMESSO QUESTO SPIRITO DI REINVENZIONE»

La tua famiglia come l’ha presa? In fondo lasciavi un lavoro a tempo indeterminato.

«Mi hanno dato sostegno e mi hanno incoraggiato. Loro per primi mi vedevano infelice. “E se non va bene, puoi sempre tornare indietro” mi hanno detto. Del resto, credo che proprio i miei genitori mi abbiano trasmesso questo spirito d’avventura. Mia madre, quando io avevo 16 anni, si è reinventata. Si è trasferita a Como, dove ha iniziato a insegnare. Motivo per cui a 18 anni l’ho seguita e sono andata a studiare a Milano. Mio papà è un geometra, ma si è trovato in Calabria senza lavoro a 50 anni. Anche lui si è reinventato: si è trasferito fuori per lavoro, ha vissuto a Reggio Emilia, Firenze, ora Milano. E io sono figlia di questo spirito di reinvenzione.

Una volta ho letto una frase che suonava più o meno così: prima crea la tua realtà, poi decorala. Ecco, io penso che se aspetti il momento perfetto per fare una cosa – quello in cui hai tempo, soldi, libertà – puoi star certo che non arriverà mai. Io ho 32 anni. La società a quest’età mi vorrebbe madre e moglie. Io penso invece che questa sia l’età giusta per sperimentare. Hai fatto le tue esperienze, hai iniziato a conoscere cosa ti fa stare bene. Se senti il bisogno di un cambiamento, puoi metterti in gioco».

«NON MI RICONOSCEVO PIÙ: HO INIZIATO A PENSARE A UN PIANO B DAL COVID»

La tua storia rientra nel fenomeno delle ‘grandi dimissioni’, la fuga dal proprio impiego per cercare condizioni migliori di lavoro e, soprattutto, di vita. Mi sono imbattuta in obiezioni, rispetto a questi racconti, che suonavano così: questa narrazione rischia di incoraggiare all’abbandono del posto di lavoro anche in assenza di alternativa.

Non mi sembra sia il messaggio della tua storia, vero? Hai fatto un salto nel vuoto – verso un continente nuovo, un posto in cui non avevi amici né familiari – ma con delle basi di partenza: conoscevi la lingua e avevi competenze forti nel tuo campo professionale, il social media e influencer marketing.

«Assolutamente sì. Questa scelta l’ho ragionata molto. Non mi sono dimessa perché avevo avuto una giornata no. È dal Covid che ho iniziato a pensare a un ‘piano B’. Durante la pandemia per me, e per tanti altri, si è rotto l’incantesimo del mondo ‘corporate’. Io ho vissuto tutta la vita avendo un piano prestabilito. Prima l’università: ottimi voti, borsa di studio vinta ogni anno, laurea con il massimo. Poi l’esperienza all’estero, la formazione continua: perché il nostro mondo del lavoro ti chiede di essere super qualificato, di rincorrere l’eccellenza.

È una competizione continua. Poi, però, quando raggiungi l’obiettivo, entri in azienda, ti accorgi che il mondo corporate non ti restituisce quel ‘quid’ in più. E finisci per chiederti se è quella la vita per cui hai faticato negli anni. Io non mi riconoscevo più. Così, nel 2021 ho cambiato azienda, mi sono trasferita a Basilea. Ma ho iniziato a risparmiare, per il mio piano ‘di liberazione’. Poter contare sui miei sacrifici e sui miei risparmi, per compiere questo salto, mi ha dato la libertà di farlo. Conoscere la lingua, è stato un altro vantaggio. Da questo punto di vista ambientarsi in Australia è stato più semplice rispetto a Basilea. Lì la prima lingua è il tedesco e questo rappresentava comunque una barriera.

La cultura australiana è anche più aperta di quella svizzera, qui la vita che conducono i local è esattamente la stessa che fanno i visitatori. Quindi sono arrivata qui sì senza sicurezze, ma con delle basi: la lingua, una professione che mi permetteva di lavorare anche come freelance e, aggiungo, una buona flessibilità».

Clorinda Sgromo
Clorinda Sgromo a Sydney

I PRIMI MESI TRA VITA D’OSTELLO E CASUAL JOBS

Per adattarti al contesto?

«Sì. Nella vita che ho scelto di fare qui non c’è nulla di scontato. All’inizio sono stata a Melbourne, poi mi sono trasferita a Sidney. Sono qui da due mesi ormai ed è una città che mi rispecchia di più, solare e sportiva. Magari tra qualche mese cambierò idea: qui è un continuo reinventarsi e ogni giorno quello che compi è un grande atto di fede in te stesso. Anche la vita d’ostello richiede una grande capacità di adattamento».

C’è stato un momento in cui hai pensato “ora mollo”?

 «All’inizio non avevo considerato i limiti del mio visto. Con il working holiday visa non puoi lavorare per più di sei mesi per lo stesso datore di lavoro. Se questo volesse assumerti, dovrebbe sobbarcarsi un iter burocratico un po’ farraginoso. Io ho iniziato a inviare il mio curriculum alle aziende, una volta qui, e a candidarmi per delle posizioni. Venivo sempre scartata: non arrivavo mai al colloquio.

Questa cosa mi ha spiazzata e non riuscivo a spiegarmela. Così ho parlato con dei recruiter e con l’ufficio immigrazione e mi hanno spiegato che con il mio visto venivo scartata automaticamente dai tool di Intelligenza artificiale che ormai si occupano della prima fase di selezione in un’azienda. Lì ho capito che dovevo cambiare piano e ho iniziato a candidarmi per i casual job – occasioni di lavoro temporanee – nel mio campo, marketing ed eventi. Ho lavorato ad esempio per il Gran Premio di Melbourne di Formula 1 e per Nike. Nel frattempo fai amicizie, crei il tuo network, inizi a farti conoscere. È un sistema del tutto diverso rispetto all’Europa e questo all’inizio non me lo aspettavo».

«TERRA DELLA CONDIVISIONE E DELLO SLOW LIVING: ECCO IL MODELLO CALABRIA»

Hai vissuto quasi più a Milano che in Calabria, ma le radici sono qui, è qui che ti sei formata. Prima abbiamo parlato del modello Milano. Esiste un modello ‘Calabria’, che ti sei portata dietro?

«Io sono cresciuta in una terra che fa i conti con servizi spesso inefficienti, al confronto con altre zone del Paese, ma che ha nella sua cultura, per me, due punti di forza. È una terra che fa dell’accoglienza, della condivisione e della generosità i suoi valori, un luogo in cui la comunità viene prima dell’individuo. È una cultura che al nord mi è mancata – lì è il singolo che si sforza di prevalere, in ogni contesto – e che invece sto ritrovando in Australia. La Calabria, e il Sud, sono poi la terra dello slow living, che per me non è la vita lenta, ma è vivere in equilibrio. E nella vita puoi essere straricco, ma se non sai prenderti cura di te stesso, per me non hai nulla».

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