Caldo estremo, l’appello di Luca Mercalli: “Invece di costruire bombe, si applichi l’accordo di Parigi nella sua forma più drastica”

  • Postato il 2 luglio 2025
  • Cronaca
  • Di Il Fatto Quotidiano
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Morti, malori sul lavoro, monumenti e luoghi pubblici chiusi, come la Torre Eiffel di Parigi o l’Atomium di Bruxelles. Un’ondata di caldo estremo in Italia e in buona parte d’Europa. Estremo, ma non “eccezionale”: Luca Mercalli, presidente della Società Meteorologica Italiana e collaboratore storico del Fatto quotidiano, lo ripete da anni, basandosi su evidenze scientifiche: queste temperature diventeranno sempre più frequenti. Sono fenomeni ormai costanti e ogni volta siamo qui a parlare dell’impreparazione. L’estate del 2003 è stata la prima volta che ci siamo trovati a contatto con l’anticiclone africano e chiaramente poteva essere una sorpresa. Quell’anno infatti ci sono stati 20.000 morti in Francia e circa 20.000 anche in Italia, ma era il primo grande episodio di caldo africano della storia del clima, non si era mai verificato prima. Sono passati 22 anni, ce ne sono stati almeno un’altra decina. Per esempio, l’estate del 2022 è stata la più calda in assoluto per tutta Europa e in Italia, un anno prima, abbiamo avuto anche la temperatura massima di sempre del continente europeo, a Siracusa.

L’emergenza caldo si ripete ogni anno e ogni estate viene pubblicato il decalogo delle cose da fare. Vengono emanate ordinanze dalle amministrazioni locali, ma cosa si è fatto finora per andare incontro alla popolazione?
In questi vent’anni sono stati fatti alcuni progressi, il principale è che ormai la previsione meteorologica emette anche il bollettino di emergenza caldo, che nel 2003 non esisteva. Sono stati creati i piani di sicurezza sanitaria per le fasce deboli, quindi ormai da tempo gli anziani, soprattutto quelli che vivono da soli, sono monitorati. Ci sono rifugi climatici, vale a dire banalmente un supermercato o un luogo che ha l’aria condizionata che viene dichiarato punto di incontro per chi non ha la possibilità di averla a casa propria. Qualcosa è stato fatto, ma ci si è fermati un po’ lì. Da un punto di vista strutturale bisogna fare molto di più. Si è parlato molto del verde nelle città che aiuta a diminuire di qualche grado la temperatura nelle città, su questo si è fatto poco. Non è che la situazione sia mutata radicalmente nelle città europee negli ultimi vent’anni, da un punto di vista del verde urbano. Anzi, molto spesso ci troviamo con delle contraddizioni legate al clima perché quando arrivano i temporali intensi gli alberi cadono e possono essere una minaccia alla sicurezza delle persone. I comuni da un lato dovrebbero piantare più alberi, dall’altro li tagliano per paura che cadano addosso ai cittadini. Non siamo pronti per quello che è lo scenario futuro di un ulteriore continuo aumento di queste ondate di calore, che diventeranno più frequenti e più intense.

In ogni caso non si potrà mai tornare a estati più miti?
“Neanche per sogno, ormai la situazione climatica ha tempi di sviluppo dell’ordine dei millenni. Qualsiasi cosa si faccia, anche nell’ipotesi di un rinsavimento generale dell’umanità che, invece di costruire bombe, decida finalmente di mettere a terra l’accordo di Parigi nella sua forma più drastica, cioè emissioni zero al 2050, comunque due gradi in più sul clima terrestre ce li terremo per secoli. Nel caso migliore si può fermare la situazione. Se però non facciamo niente le temperature saranno sempre più elevate, potenzialmente fino a 4 gradi in più a fine secolo”.

È necessario parlare di “adattamento”: qual è la prima cosa che secondo lei è necessario fare?
“Non ce n’è una, è il più grande problema della storia del futuro dell’umanità. Bisogna cambiare completamente tutta la struttura dell’economia mondiale e uscire dall’economia della crescita infinita, perché questo è il primo problema a monte di tutto. Noi siamo in un’economia che spinge a crescere, a consumare qualsiasi cosa e siamo in un pianeta dalle dimensioni limitate. Il sistema economico attuale è incompatibile con la struttura fisica del pianeta. Bisognerebbe elaborare un modello economico diverso che assicuri il benessere delle persone senza inseguire la crescita continua dei consumi, altrimenti possiamo anche mettere un po’ di energia rinnovabile ma non risolviamo il problema. Poi ci sono tutte le proposte che erano contenute nel Green Deal: il passaggio dalle energie fossili a quelle rinnovabili, l’economia circolare per usare meno materie prime e riciclare più rifiuti, un’agricoltura che pesi di meno sulla biodiversità, trasporti sostenibili. Stiamo facendo tutto il contrario di quello che è stato messo nel Green Deal perché le lobby di qualsiasi settore stanno tendendo ad annacquare i provvedimenti per mantenere i propri privilegi attuali. Si trova sempre una scusa. Qualsiasi provvedimento viene rispedito più o meno al mettente. Si fanno solo delle operazioni di greenwashing”.

Senza contare che questo caldo potrà provocare o essere una concausa di altri eventi climatici estremi e dannosi.
“Sono tutti concatenati, cioè una temperatura più elevata favorisce una amplificazione dell’intensità e della frequenza degli eventi alluvionali, per esempio. Il Mediterraneo è bollente, 5 gradi oltre quello che dovrebbe essere. Attualmente la temperatura di superficie è sui 26 gradi, quindi più acqua che evapora. Si creano così le condizioni per lo sviluppo di un temporale o una pioggia più intensa, come quella che è successa ieri a Bardonecchia. Tutte cose che non sono una sorpresa, sono scritte sui rapporti dei cambiamenti climatici da 30 anni. Ogni volta facciamo tutto come se fosse una novità, ma c’è un anno preciso che ci fa da spartiacque tra la consapevolezza scientifica e quella politica del problema climatico che è il 1992, quando a Rio de Janeiro si tenne la conferenza delle Nazioni Unite dove si firmò la convenzione sul clima. Fondamentalmente abbiamo fatto delle piccole cose, cose decorative. Il 2024 è stato l’anno con le maggiori emissioni di anidride carbonica di sempre e nel 2025 è molto probabile che non ci sia un cambiamento di questo trend. Le parole sono una cosa, i trattati internazionali sono della carta e i fatti sono questi. Il mondo sta consumando sempre più energia, producendo sempre più rifiuti e non ci sono delle scelte radicali per cambiare direzione.

Le conseguenze non sono solo ambientali o legate alla salute pubblica.
Questi eventi sono una grave minaccia per l’economia di domani. Oltre alla sofferenza delle persone, cioè i morti provocati da questi fenomeni estremi, ci sarà anche una sofferenza politica. Decine di punti di Pil nei prossimi decenni verranno persi per effetto di questi fenomeni. Le assicurazioni sono già il canarino nella miniera: in questi ultimi anni dicono che non stanno più dentro l’entità dei danni da pagare, tant’è vero che questa primavera, è passato in gazzetta ufficiale l’obbligo di assicurarsi contro le catastrofi naturali per la piccola media impresa italiana. Un chiaro segno di un aumento dei fenomeni estremi. L’alluvione in Emilia Romagna è costata più di 10 miliardi di euro di danni. Anche l’economia subisce un trauma con questi eventi ed è pieno di rapporti che lo dicono, anche scritti da strutture nazionali. Uno importante lo ha fatto l’università di Exeter in Inghilterra pochi mesi fa, dove appunto parla di perdite fino al 20% del Pil nei prossimi decenni”.

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Il Fatto Quotidiano

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