Capitale umano, alleanze transatlantiche e difesa dell’Occidente. L’ora della convergenza

  • Postato il 19 luglio 2025
  • Politica
  • Di Formiche
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C’è un fronte, meno visibile ma non meno strategico, su cui si giocherà il futuro della tenuta euroatlantica: quello del sapere, della formazione delle competenze e della ricerca condivisa.
Oggi che l’ordine liberale internazionale scricchiola sotto i colpi della competizione sistemica, l’Occidente ha riscoperto quanto i dazi, la tecnologia e la sicurezza siano leve di potere prima ancora che strumenti tecnici. Eppure, mentre si parla di industria della difesa e reshoring tecnologico, si parla troppo poco della più delicata – e sottovalutata – delle infrastrutture critiche: il capitale umano ad alta intensità strategica.
Non si tratta solo di colmare il mismatch tra domanda e offerta di lavoro, ma di preparare classi dirigenti, manager pubblici, ricercatori, imprenditori e funzionari in grado di comprendere e governare la complessità.
Costruire alleanze transatlantiche intelligenti, investire in formazione ad alta intensità strategica, proteggere le filiere critiche e guidare l’adozione dell’Ai non è solo desiderabile. È necessario. Perché chi controlla il capitale umano oggi, controlla la direzione della storia domani.

L’alta formazione come diplomazia e Soft Power

Una visione moderna della formazione non può essere neutrale né autocompiaciuta. Deve essere architettura strategica, rete di alleanze cognitive tra soggetti diversi, capaci di co-generare valore e influenza.
In questo senso, l’educazione di qualità diventa soft power strutturato, componente essenziale di una nuova diplomazia culturale, economica e tecnologica.
Non basta più apprendere: serve apprendere insieme, costruire piattaforme transnazionali dove l’impresa dialoga con l’università, l’istituzione con la startup, il territorio con il mondo.
Gli Stati Uniti, da tempo, investono in programmi accademici e partenariati transnazionali per formare élite globali allineate a interessi democratici.
L’Unione Europea ci sta arrivando, in ritardo e con fatica, ancora intrappolata nella logica della formazione come servizio e non come architettura geopolitica.
L’Italia dispone di asset culturali, relazionali e industriali unici. Ma per non restare ai margini della ridefinizione dell’Occidente, serve uno scatto di consapevolezza e progettualità, soprattutto in campo formativo e tecnologico.

L’Italia come fronte per la difesa dell’Occidente

«Il mio obiettivo» – ha detto Giorgia Meloni al presidente americano Trump, durante la sua visita alla Casa Bianca dello scorso 17 aprile – «è rendere di nuovo grande l’Occidente e penso che possiamo farlo insieme», precisando: «Quando parlo di Occidente non parlo di uno spazio geografico, parlo di una civiltà, e io voglio rendere più forte questa civiltà» .
L’Italia, culla della civiltà occidentale, può e deve svolgere un ruolo da cerniera: tra continente e Atlantico, tra sapere umanistico e innovazione tecnologica, tra spirito imprenditoriale e responsabilità pubblica.
Per farlo, serve un nuovo patto pubblico-privato per le competenze con una chiara visione geopolitica.
Questo implica nuove piattaforme ibride di collaborazione, dove il pubblico e il privato, il mondo accademico e quello produttivo, agiscano in sinergia. Non solo per “fare sistema”, ma per “formare sistemi”.
Sistemi umani, di competenze, di valori condivisi, capaci di rispondere in modo agile a minacce ibride e trasformazioni tecnologiche.
È in questa convergenza, non nella separazione, tra Paesi like-minded che si costruisce il futuro delle relazioni transatlantiche e si rafforza la resilienza dei valori occidentali.
In questo scenario si collocano gli accordi di partenariato tra Fondazione Aises-Spes Academy, Centro Studi Americani e AmCham Italy: un modello operativo che coinvolge pubblico e privato, accademia e imprese, per costruire una visione condivisa e di lungo periodo, capace di rafforzare la proiezione internazionale del tessuto economico italiano in un quadro globale sempre più competitivo e incerto.

La sfida educativa: formare per difendere la sicurezza collettiva

Se la Nato resta la spina dorsale della sicurezza collettiva, è ormai evidente che le nuove sfide non si giocano solo nel dominio militare. Cybersicurezza, intelligenza artificiale, filiere dei semiconduttori, protezione dei dati e standard tecnologici globali sono oggi ambiti di competizione che richiedono forme di cooperazione più profonde e flessibili.
In un mondo instabile e iperconnesso, l’educazione non è più solo un tema sociale o individuale: è un pilastro della sicurezza nazionale. Le competenze strategiche, la capacità di analisi, la preparazione dei cittadini – e in particolare delle classi dirigenti – sono elementi decisivi per affrontare le crisi, proteggere gli interessi nazionali, rafforzare la coesione sociale.
Perché formare non significa solo istruire, ma anche connettere mondi, costruire fiducia, generare alleanze.
Se davvero vogliamo parlare di visione strategica e resilienza del sistema Paese, dobbiamo ripartire da qui.
Perché i porti si possono chiudere, i codici si possono cifrare, le filiere si possono diversificare. Ma senza persone competenti e in grado di leggere il mondo e guidarlo, nessuna strategia regge.
Il capitale umano, oggi, è la vera frontiera della sicurezza dell’Occidente.
Il primo investimento da fare. L’ultima risorsa da proteggere.
Formazione, innovazione e cooperazione diventano così leve strategiche per la resilienza, la leadership culturale e la sicurezza condivisa.

Autore
Formiche

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