Car sharing, il paradosso italiano: domanda in crescita, IVA penalizzante e operatori in ritirata

  • Postato il 27 novembre 2025
  • Di Panorama
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In Italia la sharing mobility continua a crescere. Nel 2025 si registrano circa 60 milioni di noleggi tra auto, scooter, monopattini e biciclette, un incremento del 20 per cento rispetto al 2024. La flotta complessiva conta 96 mila veicoli, per il 95 per cento elettrici. Si tratta di numeri che confermano un interesse sempre più forte dei cittadini per soluzioni di mobilità alternative all’auto privata, in un momento storico in cui la qualità dell’aria e la congestione urbana impongono cambiamenti strutturali. Eppure, nonostante il boom di utilizzo, il settore arretra. I dati raccolti dall’Osservatorio Nazionale Sharing Mobility mostrano che negli ultimi tre anni gli operatori attivi sono diminuiti del 25%, i veicoli disponibili del 15% e i servizi attivi del 26%. Questo ridimensionamento ha effetti immediati: oggi sono 13 milioni gli italiani che vivono in città servite da servizi di sharing, 7 punti percentuali in meno rispetto al 2022.

Una delle criticità principali riguarda l’IVA. I servizi di sharing sono soggetti a un’aliquota del 22%, mentre il trasporto pubblico locale e gli NCC si fermano al 10, i taxi addirittura non la applicano al passeggero. Una differenza fiscale che incide sia sul prezzo finale che sulla marginalità riducendo dunque la competitività dei servizi condivisi rispetto ad altre forme di mobilità urbana. Il presidente di Assosharing, Luigi Licchelli, insiste da mesi sulla necessità di un intervento: «L’allineamento dell’IVA è un passaggio essenziale per garantire la sopravvivenza del settore. Non è una battaglia politica: la mobilità condivisa deve essere trattata come infrastruttura di mobilità, non come un servizio accessorio».

L’associazione stima che la misura costerebbe allo Stato circa 18 milioni di euro l’anno, una cifra che ritiene ampiamente compensata dai benefici ambientali, economici e sociali generati dalla riduzione dell’auto privata.

Il segmento più esposto alle fragilità economiche è il car sharing. Le auto sono i mezzi più costosi da acquistare, mantenere e assicurare, e rappresentano anche quelli più esposti a furti, danneggiamenti e atti vandalici. Gli operatori segnalano da tempo un aumento significativo di episodi che mettono fuori uso i veicoli per giorni o settimane e generano costi non recuperabili. A complicare ulteriormente il quadro c’è la difficoltà crescente nel reperire coperture assicurative adeguate: molte compagnie sono restie a coprire flotte di car sharing e le polizze disponibili hanno premi particolarmente elevati. «I danni sono ormai una componente strutturale dei costi operativi. I furti e i danneggiamenti rendono il rischio sempre più alto e disincentivano gli investimenti», osserva Licchelli.

Il futuro della mobilità condivisa, e in particolare del car sharing, al momento si gioca soprattutto a Roma e Milano, le due città che da sole raccolgono circa la metà del mercato italiano. Nei prossimi mesi entrambe saranno chiamate a rinnovare i bandi che regolano la presenza dei servizi sul territorio. Da queste scelte dipenderanno la dimensione delle flotte, le zone di copertura, gli standard tecnologici richiesti e, di conseguenza, la sostenibilità economica degli operatori. Senza criteri chiari e condizioni che tengano conto della struttura di costo delle aziende, il rischio è che alcune realtà – anche molto strutturate – decidano di ridurre ulteriormente la presenza o addirittura lasciare il mercato.

Il nodo politico è evidente: in Italia circolano oltre quaranta milioni di auto private, più vetture che patenti, e gli spostamenti urbani dipendono ancora in modo predominante dal mezzo di proprietà. In questo contesto, la sharing mobility rappresenta una delle poche alternative credibili per ridurre costi, emissioni e traffico. Uno studio Future Ways citato da Assosharing calcola che un cittadino che combina mezzi condivisi e trasporto pubblico può risparmiare fino a 3.800 euro all’anno rispetto al possesso dell’auto privata. Si tratta di un vantaggio rilevante, che spiega perché la domanda continui a crescere nonostante il rallentamento dell’offerta.

Resta però irrisolto il tema strutturale dei danneggiamenti e della sicurezza dei mezzi. Le aziende evidenziano un aumento significativo di atti vandalici, furti totali o parziali, abbandoni impropri e incidenti non denunciati. «Molte assicurazioni non accettano più di coprire il rischio oppure propongono condizioni proibitive. È un fattore che pesa enormemente sulla sostenibilità del servizio», spiega ancora Licchelli. Il risultato è un modello economico che rischia di non reggere, soprattutto per gli operatori più piccoli e meno capitalizzati. 

Un ulteriore aspetto ritenuto fondamentale, ma spesso trascurato, è il deficit infrastrutturale. Nelle città manca un numero adeguato di parcheggi dedicati su strada, stalli che incentiverebbero l’uso della sharing – in particolare delle auto – e lato micromobilità risolverebbero il tema del decoro urbano. Sono poche le corsie dedicate, mentre per il carsharing viene spesso inibito il transito sulle corsie preferenziali, specie nelle grandi città. Per ultimo, nonostante alcuni comuni obblighino od incentivino fortemente l’adozione di flotte elettriche, le infrastrutture di ricarica sono ancora del tutto insufficienti e comunque con il problema di forti aggravi di costi operativi per le aziende.

Riguardo gli incentivi nel nostro Paese manca una strategia di lungo termine, sia in termini di incentivi agli operatori come alla domanda. Anche quando ci sono (vedi lo 0,3% dei fondi TPL) vengono elargiti spesso in ritardo e pensati in maniera non strutturale.

Il 2025 diventa così un anno cruciale. La domanda cresce, gli utenti sono sempre più propensi a rinunciare all’auto privata e la tecnologia è ormai matura. Ma senza un intervento sull’IVA, senza regole stabili nei grandi centri urbani, senza investimenti adeguati e ragionati nelle infrastrutture e senza un’azione più decisa su sicurezza e assicurazioni, la sharing mobility rischia di rimanere in difficoltà strutturale. «Gli italiani chiedono servizi moderni e sostenibili – conclude Licchelli – Perché il settore possa sopravvivere, servono condizioni economiche coerenti con la funzione che svolge nelle nostre città».

Autore
Panorama

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