Carenza di terre rare, il rischio è una crisi produttiva

  • Postato il 12 giugno 2025
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  • Di Virgilio.it
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Prese alla gola da un nemico rappresentato da elementi chimici dal nome oscuro ma dal valore inestimabile: le terre rare. Le Case automobilistiche – le stesse che sino a ieri dichiaravano con orgoglio la loro “indipendenza strategica” – oggi si inginocchiano davanti a un mercato che non controllano, disposte a tutto pur di mettere le mani sulle sospirate terre rare. La mancanza di queste risorse e la loro quasi esclusiva presenza sul suolo della grande Cina sono temi che lasciano inquietanti quesiti nelle teste di comanda il mondo automotive.

Una storia già vista, ma nessuno ha imparato

Il fulcro del problema è collocato tra Washington e Pechino, un duello a colpi di dazi e di embarghi. La Cina, ancora una volta, ha risposto al protezionismo americano con un’arma silenziosa: il monopolio delle terre rare. Queste ultime non faranno rumore ma producono effetti devastanti. Perché questi 17 elementi – con nomi da laboratorio come disprosio, neodimio, praseodimio – sono oggi essenziali per costruire qualsiasi cosa abbia un motore elettrico o un sensore intelligente.

Il déjà-vu è servito su un piatto da gusto amaro. Chi ricorda la crisi dei semiconduttori tra il 2020 e il 2022? Tutti, o quasi. Le fabbriche chiuse per pandemia, la corsa all’hi-tech, e Taiwan – regina dei chip – che preferì vendere ai colossi dell’elettronica anziché alle Case auto. Il risultato fuorono milioni di vetture incomplete, parcheggiate nei piazzali, in attesa di un microprocessore. Oggi cambia l’ingrediente, ma non il piatto finale. Manca il neodimio per i motori elettrici? Si fermano le linee. Il disprosio non arriva? Si blocca la produzione. E già si intravedono, nei capannoni di Detroit o Wolfsburg, le sagome spettrali delle auto senza anima, in attesa del minerale miracoloso.

Il Dragone tiene il coltello dalla parte del manico

I numeri parlano da soli, e fanno paura. Secondo “AlixPartners”, la Cina controlla il 70% dell’estrazione globale delle terre rare, l’85% della capacità di raffinazione e il 90% della produzione di leghe e magneti. In altre parole: se qualcuno volesse costruire un’auto elettrica, dovrebbe bussare alla porta di Pechino. E se la Cina decide che non è il momento di vendere – per ragioni politiche, economiche o semplicemente per mostrare i muscoli – allora si resta a guardare.

E non è tutto. La Commissione Europea, in un rapporto pubblicato nel 2024, certifica che il Paese della Grande Muraglia detiene il 50% della fornitura globale di ben 19 materie prime critiche. Manganese, grafite, alluminio: tutte indispensabili, tutte cinesi. È vero, l’Europa ha approvato il “Critical Raw Materials Act” (Regolamento 2024/1252), un tentativo – tardivo – di spezzare la dipendenza. Ma, come fanno notare da più parti, Bruxelles si è mossa con lentezza pachidermica. E oggi il Vecchio Continente rischia di restare a guardare, mentre l’industria boccheggia.

Le alternative sono poche

Le alternative? Poche, deboli e costose. Altri Paesi estraggono terre rare – l’Australia, gli Stati Uniti, perfino alcuni Stati africani – ma non riescono a essere competitivi. Né per costi, né per volumi. Il Regno di Mezzo, come lo chiamavano i mandarini, resta l’unico grande bazar globale delle terre rare. E i prezzi? Salgono, ovviamente. Le Case auto, disperate, accettano qualsiasi condizione, come chi ha bisogno dell’ossigeno e scopre che c’è un solo fornitore, con una sola bombola, e molti pretendenti.

Una corsa contro il tempo

Mentre i governi balbettano e i produttori cercano di riorientare la supply chain, la realtà corre veloce. Le auto elettriche non possono attendere, i target ambientali nemmeno. E l’illusione di una transizione “verde” autonoma si infrange contro la verità della geopolitica: la sostenibilità, oggi, si scontro con la Cina.

Nel frattempo, nelle sale riunioni delle grandi Case automobilistiche, si stringono denti e contratti. I fornitori europei come Magnosphere sono in trincea, ma possono poco contro la forza cinese. I prezzi lievitano, i margini si assottigliano, e l’ansia monta. Ancora una volta, l’Occidente si scopre dipendente di terre che, ironia della sorte, sono chiamate “rare” ma che, senza la Cina, diventano introvabili.

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Virgilio.it

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