Carlos Alcaraz mai visto così: dietro le quinte della sua docuserie
- Postato il 28 aprile 2025
- Di Panorama
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Dieci mesi all’anno in giro per il mondo, nel tour ATP: un ritmo che anche per Carlos Alcaraz, predestinato del tennis mondiale, risulta pesante. La lontananza dalla famiglia e dagli amici pesa, come lui stesso ammette nella mini-docuserie “Carlos Alcaraz: A modo mio”, disponibile su Netflix in tre episodi.
Con questo nuovo titolo, Netflix continua ad arricchire il suo catalogo di documentari sportivi, in particolare quelli dedicati al tennis, offrendo varietà e storie di grande interesse. Questa volta, però, è il fenomeno spagnolo — già considerato il grande rivale del nostro Jannik Sinner dopo appena due anni — a mettersi in gioco in una confessione personale e autentica. A soli 22 anni, Alcaraz ha già tanto da raccontare e lo fa in tre episodi capaci di emozionare anche chi non è un appassionato di palline e racchette.
Una vita da numero uno, ma a quale prezzo?
“Carlos Alcaraz: A modo mio” è molto più di un semplice documentario sportivo: è un vero e proprio racconto intimo. Alcaraz si mette a nudo completamente, senza filtri, mostrando non solo i successi, ma anche i lati più fragili della sua personalità. Il termine “predestinato” è spesso abusato nello sport, ma raramente è sembrato così calzante come per lui. Nato a Murcia, capace di diventare numero 1 del circuito ATP a soli 19 anni, vincitore di Wimbledon, Roland Garros, US Open e diversi Masters 1000, Alcaraz ha già messo un piede nella storia.
Eppure, nell’era dell’immagine, dove tutto è intrattenimento e comunicazione, è facile che l’identità reale degli atleti venga offuscata. I campioni, spesso descritti come invincibili, perfetti, sembrano vivere su un piano irraggiungibile. Ma dall’altra parte c’è anche chi aspetta il primo errore per colpirli. La serie mostra questo doppio volto della celebrità, rivelando la realtà di una vita nomade fatta più di palestre, stadi, sale stampa e spogliatoi che di vere città da visitare.
Il tennis, tra gli sport più violenti psicologicamente, emerge chiaramente come sfondo di questa fatica esistenziale. Attraverso lo sguardo di Carlos, percepiamo la solitudine, la pressione costante, l’obbligo di vincere sempre, il peso degli stress e delle lunghe attese.
Un ritratto autentico, tra trionfi e fragilità
Il documentario si apre dalla cameretta di Carlos, dove gli scaffali sono pieni di scarpe e trofei al posto dei libri. È qui che Alcaraz sottolinea il suo «amore-odio» per il tennis. Gli Slam li ha già vinti, ha conosciuto la gioia di diventare il numero 1 del mondo, eppure ora si trova a corto di motivazioni: «Devo divertirmi, se non sto bene fuori dal campo, non sto bene neanche in campo – dice lui -. Quando mi chiedono qual è la mia più grande paura, rispondo: “Considerare il tennis come un obbligo”. E mi chiedo se lo voglio davvero, voglio continuare?».
Questa riflessione profonda tra dubbi e slanci verso il futuro diventa il filo conduttore dell’intera serie. Per Alcaraz, essere parte dell’élite del tennis va bene, ma è anche un 21enne che vuole uscire, andare in discoteca o prendersi una vacanza a Ibiza. «Il mio sogno? Essere il miglior tennista della storia – dice Alcaraz -. A modo mio. Ho la necessità di fare anche le cose che farebbe un normale ragazzo».
Ed è proprio qui che si presenta la vera sfida: per diventare il miglior tennista della storia, vincere quattro Slam non basta. Occorre mantenere livelli altissimi di performance per vent’anni, superando leggende come Djokovic (24 Slam), Nadal (22 Slam, di cui 14 Roland Garros) e Federer (20 Slam). È una maratona che richiede uno spirito di sacrificio assoluto, come sottolinea Rafael Nadal: «Se ti sembra di sacrificare troppo tempo al tennis, non arriverai all’obiettivo, perché ti ritroverai sfinito prima del traguardo».
La vita oltre il tennis
Come conciliare allora la vita privata e la carriera sportiva? Una domanda che per Alcaraz è ancora aperta, mentre altri, come Jannik Sinner, sembrano viverla diversamente.
«Alcaraz è un giocatore difficile da affrontare – dice Sinner – tra noi c’è grande rivalità. Se lui vince, le mie sessioni di allenamento diventano più intense». Una dichiarazione che mette in luce il diverso approccio tra i due giovani campioni.
Diretto da Jorge Laplace, “Carlos Alcaraz: A modo mio” non si limita a raccontare carriera e successi, ma si concentra su come Carlos vive tutto questo: il suo sguardo sulla paura, sull’ansia, sulle difficoltà da superare nel corpo e nella mente, il rapporto con la famiglia e con l’allenatore Juan Carlos Ferrero, la necessità di avere accanto le persone giuste, specialmente all’inizio di un percorso così difficile.
Accanto ai match e ai tornei, emergono anche i momenti più umani: la gestione degli infortuni, del dolore, degli eventi extra-tennistici, la pressione degli sponsor, il controllo dell’ansia nelle giornate negative, le lacrime, e sì, anche le notti a Ibiza (tra Roland Garros e Wimbledon).
Ma per scoprire tutto il resto, non resta che guardare la serie.