Cgil: “Il 62,7% dei lavoratori del privato ha guadagnato meno di 25mila euro lordi nel 2023”

  • Postato il 24 maggio 2025
  • Lavoro
  • Di Il Fatto Quotidiano
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Sono circa 10,9 milioni i lavoratori del settore privato che guadagnano meno di 25mila euro lordi annui, il 62,7% del totale, mentre 35,7% del totale, cioè 6,2 milioni di persone, guadagna meno di 15mila euro lordi, cioè 1.000 euro netti al mese nel migliore dei casi. I dati riferiti al 2023 sono dell’ufficio Economia della Cgil nazionale sul lavoro povero e i bassi salari.

Tra gli elementi più penalizzanti della questione salariale, analizza lo studio, vi sono la tipologia contrattuale e il tempo di lavoro. I lavoratori con contratti a termine e part time hanno salari lordi annuali medi rispettivamente di 10mila e 12mila euro. I lavoratori che cumulano le due condizioni vedono ridursi ulteriormente il salario lordo annuo medio a 7mila euro.

Gli altri fattori che determinano i bassi salari sono l’alta incidenza delle qualifiche più basse nel mercato del lavoro italiano e la forte discontinuità lavorativa: l’83,5% di tutti i rapporti di lavoro cessati ha avuto una durata inferiore all’anno, il 51% non ha superato i 90 giorni. Inoltre, nello studio si evidenzia come a incidere negativamente sui salari sia anche la bassa retribuzione oraria: circa 2,8 milioni di lavoratori dipendenti hanno una retribuzione oraria inferiore a 9,5 euro lordi.

Per Christian Ferrari e Francesca Re David della segreteria confederale della Cgil “precarietà, discontinuità, part time involontario, alta concentrazione di dipendenti nelle più basse qualifiche di inquadramento sono i fattori della tempesta perfetta che colpisce le lavoratrici e i lavoratori italiani, la maggior parte dei quali – anche a causa di un’alta inflazione cumulata e non ancora recuperata – è sempre più povera pur lavorando”.

Secondo i due dirigenti sindacali “per rimediare a una situazione diventata ormai intollerabile, confermata anche dai recenti dati Istat, occorre azionare tutte le leve disponibili: cancellare la precarietà, rinnovare i contratti già scaduti, mettere in campo politiche capaci di invertire il declino industriale che prosegue ininterrottamente da ben 26 mesi, dire basta alla competizione di costo e puntare su una frusta salariale che favorisca una via alta allo sviluppo, approvare una legge sul salario minimo“. Fari puntati, quindi, sui referendum dell’8 e 9 giugno che “puntano a rimettere al centro del modello sociale e di sviluppo italiano un lavoro stabile, ben retribuito, realmente libero e sicuro, che consenta a tutte e tutti di realizzarsi e di concorrere al progresso della nostra società”.

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