Chi ha vinto davvero il 25 aprile. La riflessione di Sisci
- Postato il 25 aprile 2025
- Politica
- Di Formiche
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A 80 anni dalla fine del Fascismo l’Italia non pare avere ancora trovato una visione unitaria su quello che fu la sua partecipazione alla guerra e soprattutto la fine e l’eredità del conflitto. La verità storica è certamente complicata: l’Italia fu divisa su fascismo e anti-fascismo, e il Paese continua a essere diviso.
Una cosa molto diversa da quello che accade, e accadde, con i due altri alleati del tempo. Germania e Giappone hanno fatto i conti con la sconfitta e con la loro partecipazione criminale.
Gli oppositori in Germania o in Giappone furono pochissimi, isolati. I generali che attentarono a Hitler nel 1944 fino a poco prima si erano battuti come leoni per lui. Lo stesso in Giappone: gli ammiragli non volevano la guerra con l’America, ma al conflitto lottarono senza riserve.
Forse proprio quella partecipazione netta non permise alla fine del conflitto di sgusciare via dalle proprie responsabilità. Tutto il Paese doveva chiedere scusa e i due lo hanno fatto ciascuno a suo modo.
L’Italia invece no, non ci ha mai fatto i conti. Gli antifascisti parlano della guerra salendo sul piedistallo e puntando il dito contro gli altri, affermando di essere parte della storia dei pochi antifascisti che si opposero al regime. Ma non è vero, perché l’Italia entrò in guerra esultando, non strascinando i piedi. I fascisti invece sono lì a fare questioni di lana caprina su questo o quell’episodio che dimostrerebbero come i partigiani fossero come e peggio dei repubblichini.
Così si è andati avanti per 80 anni a fasi alterne, prima gli antifascisti dominavano ora è il contrario. Forse entrambi sbagliano: bisogna partire dall’assumersi l’eredità della storia, farci i conti e tirare una linea vera, consapevole. Così hanno fatto Germania e Giappone dove i figli e nipoti degli ufficiali del regime non cincischiano coi dettagli ma si oppongono con chiarezza al passato. Tradotto in Italia sarebbe che proprio i figli e nipoti dei repubblichini, dei lealisti al nazismo, a Mussolini dovrebbero per primi, senza infingimenti o sconti, rompere con ogni segno di eredità fascista. L’eredità di quella storia non può essere rievocata nemmeno per scherzo. Ogni revanscismo è un insulto alla democrazia attuale.
Chi si sente erede dell’antifascismo, invece dovrebbe ammettere che quegli italiani furono dalla parte giusta tardi, che la guerra vera non si guerreggiava nelle montagne, e che dalle montagne non scesero mai armati come quelli di Tito in Jugoslavia. La vittoria venne sul fronte combattuto dagli alleati, dagli americani che invece di occupare il Paese per anni imponendo una costituzione (Giappone) o spezzarlo (Germania) lo hanno riconsegnato agli italiani quasi intatto.
Cioè entrambi eredi dei fascisti e degli antifascisti dovrebbero cominciare come in Germania e Giappone, a pensare che devono la libertà e il benessere di oggi non ai propri padri ma agli americani. Questo non significa dimezzare l’orgoglio italiano, ma sgonfiarlo dell’aria di superbia vana che non va da nessuna parte e che nasconde la fuga dall’affrontare i tanti problemi di oggi.
Ottanta anni dopo bisognerebbe cominciare a costruire sulla realtà non sulle fughe dalla realtà. Se tanto tempo è trascorso, la storia del fascismo deve sparire, e bisognerebbe ringraziare chi davvero ha vinto la guerra. Solo così Italia può affrontare il futuro. Ma forse il futuro l’Italia non lo vuole affrontare, e cincischia con il passato finto. Allora con lo stra-italiano Nanni Moretti potremmo dire: continuiamo così, facciamoci del male.