Chiude Mtv, fine di un’era. La tivù dei videoclip uccisa da internet e social

  • Postato il 18 ottobre 2025
  • Televisione
  • Di Libero Quotidiano
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Chiude Mtv, fine di un’era. La tivù dei videoclip uccisa da internet e social

 Ci sono date che non segnano soltanto e semplicemente un avvenimento, ma la fine di un modo di vivere. La chiusura di Mtv - o meglio, la fine entro fine anno delle trasmissioni nel Regno Unito dei cinque canali dell’emittente che per quarant’anni hanno trasmesso contenuti direttamente o indirettamente collegati proprio alla musica, e non è difficile immaginare che prima o poi medesimo destino toccherà anche alle “collegate” negli altri Paesi, Italia compresa - la chiusura di Mtv così come la conoscevamo, perlomeno, segnala definitiva dissolvenza di un linguaggio, di un’estetica e di un sogno collettivo a suo tempo rivoluzionario: quello della “musica che si vede”.

Mtv, cioè Music Television, non era una rete: era un’epifania. Nata negli Stati Uniti nel 1981, arrivò in Europa nel 1987 e in Italia dieci anni dopo, nel settembre 1997, in pochi anni trasformando l’immaginario di una generazione. Per la prima volta la musica non si ascoltava soltanto: si guardava. Ogni canzone aveva un volto, una coreografia, un micro–film. Ogni cantante diventava personaggio, ogni videoclip un cortometraggio pop. Era l’inizio dell’era dell’immagine totale, che avrebbe cambiato la percezione stessa dell’arte musicale. I “video musicali” - all’inizio semplici strumenti promozionali - divennero opere d’arte autonome, con registi come Spike Jonze, Michel Gondry o David Fincher che avrebbero poi segnato il cinema. In Italia, i videoclip di Jovanotti, dei Subsonica, di Carmen Consoli, di Elisa o dei Bluvertigo rappresentavano piccoli cult visivi: un’estetica nuova, tra moda e ribellione. Mtv fu la palestra della creatività giovanile, un laboratorio dove si poteva essere ironici, erotici, provocatori, surreali.
E poi c’era il linguaggio. Quell’italiano mescolato all’inglese, quella grafica psichedelica, le scritte lampeggianti, i conduttori che parlavano come se si trovassero davvero in camera tua. Nasceva il concetto di “community”, di identificazione globale. Mtv non era solo musica: era stile di vita. La sua forza era quella di far sentire i ragazzi dentro una tribù planetaria, con gli stessi codici e le stesse canzoni da Milano a New York, da Berlino a Tokyo.

Negli anni Duemila Mtv diventò anche un termometro culturale. Fu il primo network a parlare apertamente di sesso, droga, bullismo, identità di genere, ambientalismo, quando gli altri canali tacevano. In mezzo a un’Italia televisiva ingessata tra reality e varietà, Mtv lanciò programmi di culto come Brand New, Total Request Live, Mtv On Stage, Storytellers, ma anche reality surreali come Loveline o Pimp My Ride. Era un piccolo laboratorio di libertà, a volte spregiudicato, spesso ingenuo, ma sempre vitale. Poi, lentamente, il tempo ha girato pagina. YouTube prima, Spotify e TikTok poi, hanno reso la musica “visibile” ovunque e in qualsiasi momento. Mtv, che aveva anticipato il futuro, ne è rimasta vittima. Quando tutto è clip, quando tutto è streaming, non serve più un canale dedicato interamente ai video, e così l’icona che aveva portato la musica in televisione è stata divorata dal suo stesso successo.

La chiusura di Mtv non è dunque un lutto industriale, ma un passaggio epocale. È la fine dell’ultimo luogo condiviso della musica giovanile. Oggi ogni utente vive nel proprio algoritmo, nella sua bolla personalizzata, senza più una piazza comune. Mtv, invece, era la piazza: il bar di mezzogiorno, la notte insonne, il primo bacio, l’estate con le cuffie e la televisione accesa. Eppure, dietro la nostalgia, resta una certezza: Mtv ha insegnato a una generazione che la musica può essere anche visione, gesto, immagine. Ha unito il suono alla luce, il ritmo alla forma. E ha creato un immaginario collettivo che ancora oggi sopravvive nei social, nelle serie, nella pubblicità, in ogni frame di cultura pop. Oggi quella M colorata che rimbalzava sullo schermo è solo un logo che si spegne. Ma in quell’ultimo pixel sgranato c’è un mondo intero che si saluta: i sogni in Vhs, la musica che ballava con gli occhi, e un’epoca in cui si credeva davvero che un videoclip potesse cambiare la realtà.

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Autore
Libero Quotidiano

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