Cinema e magia, le formule magiche nei film

  • Postato il 31 ottobre 2025
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Il Quotidiano del Sud
Cinema e magia, le formule magiche nei film

Magia bianca o nera, riti fatati e formule magiche: un percorso alla scoperta dei sortilegi resi famosi dai film e dal cinema passati spesso nel linguaggio comune


È senza dubbio Abracadabra la formula magica più nota di tutti i tempi. Impossibile che non sia la prima a venire in mente dato che è radicata profondamente in quasi tutte le lingue del mondo (dall’italiano al tedesco, dal tamil all’yiddish, dall’inglese al mongolo e al giapponese) e lo è da oltre 2000 anni. Scrivono Muntoni e Priori che è «l’espressione usata nella magia mistica che suggella l’incantesimo dandogli forza realizzativa». Perché Abracadabra, secondo l’ipotesi più accreditata, deriva dall’aramaico Avrah KaDabra e significa “Io creerò come parlo”.

C’è un universo narrativo e cinematografico, tuttavia, dove il suo potere generativo viene distorto sino a diventare la formula distruttiva per eccellenza, «l’anatema che uccide»: Avada Kedavra. La più terribile delle maledizioni senza perdono – le altre due sono Crucio e Imperio – è forse il più celebre degli incantesimi della saga di Harry Potter. Ma almeno due generazioni di piccole streghe e maghi provetti sono cresciuti sperimentando il fortunato calderone di formule costruite dalla penna di J.K. Rowling. C’è l’Expecto patronum che evoca il guardiano magico, Expelliarmus che disarma il nemico e Alohomora che schiude ogni serratura, ma soprattutto quel Wingardium leviosa con l’immancabile pronuncia esatta sottolineata dalla giovane Hermione divenuta oltremodo famosa con la complicità dei meme sull’internet.

Magia oscura, pozioni e soprattutto sortilegi di ogni fattura, però, trovano spazio nella storia del cinema già da decenni prima del piccolo maghetto inglese, in particolare grazie alla Disney che ne ha declinato ogni forma: da quelle più terrificanti affidate alle grinfie di Grimilde con lo «Specchio, servo delle mie brame», allo sventurato presagio di Malefica sul destino di Aurora «Prima che il sole tramonti sul suo sedicesimo compleanno, ella si pungerà il dito con il fuso di un arcolaio e morrà!», all’invocazione di Madre Gothel che chiama a sé il potere della chioma di Rapunzel con le parole «Capelli, capelli, splendete e brillate e date il mio desiderio di vita eterna!».

Ci sono poi magie assai più bonarie tra i film di animazione della casa di Topolino, come quella Bibbidi Bobbidi Bu pronunciata dalla Fata Smemorina per concedere a Cenerentola una serata di libertà o la celebre Supercalifragilistichespiralidoso: lo scioglilingua nonsense intonato da Mary Poppins per avere un «successo strepitoso». Non dimentichiamo poi il Treguna Mekoides Trecorum Satis Dee! usato invariabilmente da Miss Eglantine Price (Angela Lansbury) per far volare un letto su Portobello road o respingere lo sbarco di nazisti sulle coste inglesi svegliando un esercito di pezzi da museo. Il film in tecnica mista in questo caso è l’ingiustamente sottovalutato “Pomi d’ottone e manici di scopa”.

Se nella citazione vi sembra di leggere un pastrocchio di parole giustapposte come un «guazzabuglio medievale» non vi state sbagliando, perché è quel pasticcione di Mago Merlino ne “La spada nella roccia” a dare un esempio del dono fatato delle parole al suo giovane Artù. Un vecchio stregone, tormentato dal peso del suo potere e della sua onniscienza, che assiste al tramonto ineluttabile dell’epoca dei druidi è invece il Merlino di “Excalibur”, la pellicola firmata da John Boorman del 1981 che infrange il mito arturiano con un tono crepuscolare e decadente.

La nebbia che offusca la mente dell’uomo ha le sue origini nel desiderio e la sua trasposizione nelle arti oscure della magia del fare suona così: Anaal nathrakh, urth vas bethud, dokhjel djenve.

Nel weekend di Halloween, questa ricognizione nel mondo degli incanti su pellicola non può che passare per un blockbuster che ha scandito molte notti di Ognissanti per i ragazzi degli anni ’90: “Hocus Pocus”, dove il titolo corrisponde proprio alla stregoneria recitata sul paiolo in cui fermentano occhi di salamandra, zampe di rana e lingue di cane. Le tre diaboliche fattucchiere del XVI secolo che speravano di tornare a Salem per assoggettarla al loro tenebroso incanto in musica sul brano “I put spell on you” non l’avranno vinta nella pellicola. Ma attenzione, agli ingenui che considerano Hocus pocus un semplice gioco di parole senza significato è bene ricordare che in passato il termine fu usato da maghi e negromanti come una sorta di baratto per ottenere il calore infernale storpiando in un’aberrazione linguistica la liturgia eucaristica di hoc est corpus.

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