Colazione di lusso: ecco perché caffè, cioccolato e matcha costano sempre di più
- Postato il 25 ottobre 2025
- Di Panorama
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Che cari quei piccoli momenti di gratificazione che ci concediamo con una tazza di caffè, un pezzetto di cioccolata o, ultimamente, con il tè matcha diventato così trendy! Ma cari nel senso di costosi, non piacevoli. Il 2025 si è rivelato l’anno della più drammatica tempesta di prezzi mai registrata per tre delle bevande più amate al mondo, trasformando rituali quotidiani in lussi sempre meno accessibili. Materie prime finite in un gorgo di cambiamenti climatici, squilibri tra domanda e offerta globale, e mercati finanziari sempre più speculativi. Una crisi che tocca non solo i produttori ma direttamente anche le nostre abitudini e i nostri portafogli.
Caffè: duro risveglio
Il mercato del caffè, che a livello globale vale circa 269,27 miliardi di dollari (con stime molto variabili a seconda delle fonti), ha attraversato nel 2025 uno dei momenti più turbolenti della sua storia recente. Nel febbraio scorso, i futures dell’Arabica hanno toccato il record assoluto di 9,70 dollari al chilogrammo (4,4 dollari per libbra), segnando un aumento del 79 per rispetto all’anno precedente. L’impatto sui consumatori è stato immediato. Lavazza, dal maggio scorso, ha applicato incrementi su tutte le linee di prodotto, dalle capsule al macinato, coinvolgendo direttamente anche il mercato interno. Altri marchi storici come Illy, Kimbo e Borbone hanno seguito la stessa strada, mentre nei bar italiani il prezzo della tazzina è salito mediamente da 1,30 a 1,50 euro, con incrementi di 10-20 centesimi rispetto al 2023.
Le cause di questa escalation sono molteplici e interconnesse. Il Brasile, che produce circa un terzo del caffè mondiale, ha subìto siccità prolungate e temperature estreme che hanno compromesso gravemente i raccolti. Il Vietnam, secondo produttore mondiale, ha affrontato inondazioni devastanti che hanno ridotto la produzione di Robusta. A complicare ulteriormente il quadro, gli Stati Uniti hanno imposto da agosto tariffe tra il 20 e il 50 per cento sui principali Paesi produttori. Negli ultimi mesi i prezzi sono tornati a scendere ma il rialzo rispetto a cinque anni fa è impressionante con le quotazioni triplicate. E le prospettive non sono incoraggianti: gli analisti prevedono una continua elevata volatilità del mercato, con preoccupazioni persistenti circa i limiti dell’offerta e i conseguenti aumenti dei prezzi.
Cacao: un’amara verità
Se il caffè ha vissuto un anno difficile, il cacao ha attraversato delle vere e proprie montagne russe finanziarie.
Dopo aver toccato picchi storici superiori ai 12 mila dollari per tonnellata tra la fine del 2024 e l’inizio del 2025, il prezzo del “cibo degli dei” ha subìto una correzione drastica, attestandosi attualmente sui 5.864-6.038 dollari per tonnellata. Valori che hanno raggiunto comunque un livello più che doppio rispetto al 2020. Questo andamento altalenante riflette una crisi strutturale dell’offerta globale. L’Africa Occidentale, che produce circa il 60-75 per cento del cacao mondiale attraverso Costa d’Avorio e Ghana, ha registrato eventi meteorologici estremi amplificati dal fenomeno El Niño e dai cambiamenti climatici.
Siccità prolungate e inondazioni hanno compromesso gravemente i raccolti, con una riduzione stimata della produzione globale dell’11 per cento nel 2024. A peggiorare la situazione, anche alcune malattie hanno infettato le piantagioni, mentre l’invecchiamento delle coltivazioni e gli scarsi investimenti degli anni precedenti hanno reso le produzioni ancora più vulnerabili. La speculazione finanziaria ha poi amplificato questa volatilità, con grandi investitori che hanno contribuito ai picchi di prezzo attraverso acquisti speculativi sui contratti futures.
L’industria del cioccolato ha dovuto fare i conti con costi di produzione alle stelle. Il burro di cacao, ingrediente chiave soprattutto nel cioccolato al latte, ha registrato aumenti ancora più marcati delle fave stesse. I produttori hanno adottato diverse strategie di contenimento: riduzione delle dimensioni dei prodotti a parità di prezzo (la cosiddetta “shrinkflation”), riformulazione con meno cacao o sostituzione del burro di cacao con grassi vegetali e acquisti anticipati di scorte che hanno ulteriormente alimentato la pressione al rialzo.
Matcha: una moda travolgente
Il tè matcha rappresenta forse il caso più emblematico di come la globalizzazione possa stravolgere equilibri millenari. Questa polvere verde brillante, per secoli appannaggio delle élite giapponesi e parte integrante della cerimonia del tè, è diventata in pochi anni una delle bevande più richieste al mondo. Il mercato globale del matcha è letteralmente esploso: dai 3,48 miliardi di dollari del 2023 si stima raggiungerà i 5,5 miliardi entro il 2028.
Ma questo boom globale sta mettendo sotto pressione l’intera filiera produttiva giapponese. Nella prima asta dell’anno tenutasi il 9 maggio al centro di distribuzione di Uji, il prezzo medio del tencha, la foglia non macinata da cui si ottiene il matcha, ha toccato il record storico di 8.235 yen al chilo (circa 50 euro), segnando un incremento del 70 per cento rispetto al 2023.
Le cause di questa escalation sono strutturali e preoccupanti per la sostenibilità del settore. Il tè tencha è estremamente sensibile alle temperature e viene coltivato all’ombra per settimane, con una raccolta tipicamente concentrata in primavera.
La scorsa estate, nella regione di Kyoto da dove arriva circa un quarto della produzione totale giapponese, le temperature superiori alla media hanno causato raccolti più scarsi del previsto. Ma il problema va oltre il clima. In Giappone non ci sono abbastanza giovani disposti a lavorare come contadini, e molte aziende agricole che producevano matcha hanno chiuso: secondo i dati dell’associazione di categoria, 4 attività su 5 hanno cessato l’attività tra il 2000 e il 2020, proprio prima che la domanda iniziasse ad aumentare.
Il risultato è una carenza cronica che ha trasformato il matcha in un bene sempre più raro. In alcune zone turistiche del Giappone, i negozi hanno iniziato a imporre limiti agli acquisti per evitare di esaurire le scorte. Ai giapponesi non piace neanche troppo la mercificazione industriale della sua antica tradizione.
Il matcha ha origini profonde nella cultura zen buddhista e nella cerimonia del tè giapponese, rituali che enfatizzano non solo la bevanda, ma anche la sua preparazione e il consumo come momento di presenza, semplicità e quiete. E vederlo spuntare nei tiramisù o negli snack non è accolto con molto entusiasmo. E se poi la polvere verde è made in China, Paese diventato il primo produttore mondiale ma di qualità inferiore, potete immaginare la reazione dei giapponesi più tradizionalisti.