Colesterolo: scoperto a Torino un anticorpo che lo riduce drasticamente

  • Postato il 5 settembre 2025
  • Di Panorama
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E se fosse possibile evitare un intervento chirurgico alla carotide grazie a un farmaco? È la domanda a cui ha dato risposta uno studio condotto dall’Ospedale Mauriziano di Torino e presentato all’ESC, European Society Cardiology, congresso europeo e mondiale di cardiologia di Madrid. I risultati parlano chiaro: il Repatha, nome commerciale di evolocumab, non solo riduce drasticamente il colesterolo LDL, ma è in grado di bloccare e in alcuni casi regredire le placche carotidee, riducendo di sette volte il rischio di infarto e ictus. «Repatha – spiega il professor Giuseppe Musumeci, direttore della Cardiologia del Mauriziano – è un farmaco che blocca una proteina, la PCSK9, e bloccandola permette al fegato di eliminare molto più colesterolo cattivo. In questo modo l’LDL si riduce di circa il 70 per cento. La particolarità del nostro studio è che abbiamo arruolato pazienti con placche carotidee inferiori al 50%, quindi pericolose ma ancora non pericolosissime, con l’idea di bloccare queste placche e quindi evitare sia l’ictus sia l’intervento chirurgico sulla carotide. Abbiamo fatto due bracci: da un lato i pazienti trattati con la terapia standard a base di statine ed ezetimibe, dall’altro quelli che, oltre a statine ed ezetimibe, ricevevano anche Repatha. Ebbene, i pazienti trattati con evolocumab mostravano una maggiore riduzione del colesterolo, le placche tendevano a stabilizzarsi molto di più, quindi a fermarsi, e si registrava una grande riduzione degli eventi cardiovascolari avversi, diminuiti di circa sette volte rispetto all’altro gruppo. Lo studio è stato presentato a Madrid come Late Breaking Trials al congresso europeo di cardiologia, che quest’anno era anche mondiale, ed è stato un vero successo».

Tutto è cominciato con un caso concreto. «Cinque anni fa – racconta Musumeci – abbiamo seguito un paziente di 78 anni, un avvocato, con una placca critica superiore al 70% sulla carotide. Non voleva operarsi. Lo abbiamo trattato in modo empirico con Repatha, nella speranza di ridurre il colesterolo il più possibile. Nell’arco di un anno e mezzo la placca si è ridotta e addirittura regredita, e non c’è stato bisogno dell’intervento. Da lì è nata l’idea».

«Lo studio è stato condotto su 170 pazienti con stenosi carotidea pari o superiore al 50% e con colesterolo LDL-C pari o superiore a 100 mg/dL – aggiunge la dottoressa Tiziana Claudia Aranzulla, cardiologa interventista del Mauriziano e ideatrice dello studio –. In aggiunta alla terapia orale standard, a un gruppo di pazienti è stato somministrato evolocumab. Dopo un anno di trattamento in questo gruppo si è registrata una riduzione del colesterolo LDL del 73,5% contro il 48,3% del gruppo di controllo, una regressione della placca nel 68,4% dei casi e soprattutto una presenza di eventi cardiovascolari avversi pari al 2,4% contro il 14,4%. Questi numeri ci permettono di dire che l’anticorpo monoclonale utilizzato nello studio potrebbe diventare il trattamento standard per i pazienti con stenosi carotidea significativa».

Lo studio ha preso il nome di CARUSO, acronimo di CARotid plaqUe StabilizatiOn and regression with Evolocumab, e non è solo un titolo tecnico: è anche un omaggio al paziente che per primo ha ispirato la ricerca, le cui iniziali coincidono con quelle del nome del trial. «Abbiamo voluto dare a questo progetto un nome che racchiudesse sia il significato scientifico sia quello umano – sottolinea ancora Musumeci – perché senza quel primo caso clinico non ci sarebbe stata questa intuizione».

Repatha non è un farmaco nuovo. Al Mauriziano viene usato già in circa il 25 per cento dei pazienti con infarto, sono stati tra i primi a utilizzarlo e tra i primi a farlo in modo sistematico. La novità, però, è che per la prima volta è stato dimostrato con uno studio randomizzato che si può davvero bloccare la placca a livello carotideo.

Il congresso europeo di cardiologia di Madrid ha consacrato il Caruso trial tra i Late Breaking Trials, gli studi che segnano un punto di svolta. «Per noi è stata una grande soddisfazione – conclude Musumeci – perché significa che il nostro lavoro ha trovato un riconoscimento internazionale. Con questo studio dimostriamo che la medicina moderna non si limita a riparare quando il danno è fatto, ma può prevenire. E se prevenire vuol dire evitare un ictus, allora siamo davanti a un progresso enorme, che cambia la vita dei pazienti e il futuro della sanità».

Autore
Panorama

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