“Com’è possibile che gli italiani siano meno obesi degli americani nonostante mangino sempre pasta, pizza e biscotti?” La domanda della giornalista é virale, ecco la risposta degli esperti

  • Postato il 9 luglio 2025
  • Salute
  • Di Il Fatto Quotidiano
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Almeno in apparenza, per la giornalista Tamara Haspel non sembra esserci una spiegazione plausibile: “Com’è possibile che gli italiani siano meno obesi degli americani se quando si gira per il Bel Paese si vede che mangiano biscotti a colazione, magari pasta o risotto e a pranza e/o cena e magari pure antipasti e secondo? Per non parlare di pizze, focacce e gelati?”. La domanda la pone nel suo editoriale sul Washington Post, premettendo che l’interrogativo nasce solo da sue osservazioni, nessun dato scientifico alla mano. Ciò non toglie che la Haspel qualche risposta se la dia, sintetizzando il fenomeno nei seguenti punti:

– gli italiani mangiano più pesce degli americani;
– bevono in media molti meno alcolici;
– consumano molta meno carne;
– assumono anche un po’ meno zuccheri aggiunti;
– bevono meno bibite gassate.

E come la mettiamo però col fatto che da noi si mangi probabilmente più pasta? Anche qui la giornalista ha una suarisposta: la dimensione delle porzioni e gli spuntini. Negli Usa, la dimensione delle porzioni è probabilmente capace di spiegare il maggior numero di calorie consumate mentre le porzioni italiane le sono sembrate molto più moderate; mentre per gli spuntini,mangiare fra i pasti è un’abitudine meno diffusa in Italia rispetto agli Usa (tranne il gelato). Un altro aspetto notato da Haspel è che i negozi non di alimentari hanno meno espositori di caramelle e snack alle casse. In sintesi, conclude Haspel, “Le differenze più grandi sono nel dove, nel quando, nel come e nel quanto si mangia”.

L’esperto: una percezione fuorviante

“Quello che la giornalista riporta nel suo articolo è frutto di una percezione fuorviante – spiega al FattoQuotidiano.it il professor Rolando Bolognino, Docente in Nutrizione Oncologica presso l’Università del Sacro Cuore di Roma -. È vero che in Italia persistono ancora elementi protettivi: le porzioni sono mediamente più contenute, l’alimentazione quotidiana include più fibre, legumi, pesce e cereali integrali, e il consumo di alimenti ultraprocessati e zuccherati è – almeno per ora – inferiore rispetto agli Stati Uniti. Anche il pasto come momento sociale, strutturato e condiviso, rappresenta un fattore protettivo rilevante…”.

C’è quindi un grande “MA” da aggiungere?

“Sì, la realtà epidemiologica italiana è ben diversa dall’immagine idealizzata proposta dalla giornalista: oltre il 45% degli adulti è in sovrappeso o obeso, con tassi di obesità infantile tra i più alti d’Europa. Il modello mediterraneo sta progressivamente cedendo il passo a comportamenti alimentari disfunzionali: aumento del consumo di snack tra i pasti, crescita del consumo di prodotti ad alta densità calorica e bassa qualità nutrizionale, diseducazione gustativa e declino dell’attività fisica quotidiana”.

Dove rischiamo di andare?

“Purtroppo, in assenza di interventi strutturali – educazione alimentare precoce, politiche fiscali disincentivanti, tutela del pasto come atto culturale e non solo biologico – l’Italia rischia di allinearsi gradualmente al modello nordamericano, con tutte le conseguenze metaboliche, sociali ed economiche che ciò comporta”.

Quali altri elementi considerare per avere un quadro più realistico dei comportamenti alimentari?

“Il dato fondamentale resta invariato: non è solo ciò che si mangia a determinare salute o malattia, ma il contesto, la frequenza, la quantità e il significato che il cibo assume nella quotidianità”.

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