Come sarà la kickboxing senza Giorgio Petrosyan? “Ho avuto tanti infortuni, ho subito 11 interventi, fare la dieta inizia a pesare”
- Postato il 20 novembre 2025
- Sport
- Di Il Fatto Quotidiano
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La leggenda mondiale della kickboxing, Giorgio Petrosyan, atleta nato in Armenia e cittadino italiano, dà l’addio a questo sport pochi giorni prima di compiere 40 anni. Lo farà sabato 22 novembre all’Allianz Cloud di Milano, affrontando il fighter portoghese José Sousa nella categoria 70 kg. L’evento sarà il match clou di “Petrosyanmania – The Last Fight”, una serata con tantissimi incontri che vedrà esibizioni in tre diverse discipline: kickboxing, muay thai e boxe.
Petrosyan, come ha vissuto i giorni che hanno preceduto questo match?
Cercando di non pensare ad altro al di fuori dell’incontro. So che è l’ultimo e voglio godermi questi momenti al cento per cento.
Ha paura di quello che succederà dopo?
Combatto da ventitré anni e sto in palestra da ancora più tempo. So che rimarrò sempre in questo ambiente, portando avanti quello che ho imparato in questi anni. Ma ci sarà da lavorare mentalmente. È un po’ come per chi ha lavorato tutta la vita e va in pensione: c’è gente che va in depressione. Io, rimanendo in palestra e portando i più giovani a combattere, un po’ di adrenalina la manterrò. Psicologicamente dovrò fare uno sforzo.
Come mai ha preso questa decisione?
Non ho deciso perché farò i 40 anni. Ho avuto tanti infortuni in carriera: ernia cervicale, mascella, mani… ho subito undici interventi solo sulla mano sinistra. Anche fare la dieta da tutta la vita comincia un po’ a pesare, quindi questo è il momento di smettere.
Il Petrosyan di oggi è un atleta diverso rispetto a quello del passato?
Sì, 20 anni fa ero un ragazzino che doveva dimostrare al mondo chi era veramente. Oggi non ho niente da dimostrare, lo faccio perché mi piace ed è la mia passione.
Giorgio a 39 anni o Giorgio a 25 anni?
Vincerebbe il venticinquenne. Però il Giorgio a 33 anni è stato il top.
È un caso che il “Last Fight” si disputerà a Milano?
Milano è casa mia, con i tifosi tutti per me. Vivo qui da undici anni, ma ho sempre combattuto in questa città gli incontri più importanti.
Com’è, invece, il rapporto con l’Armenia?
Sono nato a Yerevan, l’Armenia mi piace. Ci vado da turista 10 giorni all’anno, ho visto il mondo, ma da ogni parte mi mancava tornare in Italia, che è il mio Paese. Ho sangue armeno, però mi sento italiano e ho sempre combattuto con la bandiera italiana.
L’inizio è stato duro in Italia?
I primi anni sono stati durissimi. Ho dormito in stazione a Milano e in stazione a Torino, ho vissuto in Caritas. Poi mio padre ha ottenuto il permesso di soggiorno e nel 2014 ho avuto la cittadinanza italiana per meriti sportivi. Fino ad allora ho avuto problemi ad andare all’estero con il documento “titolo di viaggio” scritto a mano, che non veniva riconosciuto da tutti.
Anche la conoscenza dell’italiano è ottima.
Ho la terza media, non ho studiato, ma vivendo qui, dove non ci sono tanti armeni, ho sempre parlato l’italiano.
Si ricorda la prima palestra?
Il mio maestro faceva un corso nella palestra del pugile Paolo Vidoz. Era un buco di palestra, ma era bellissimo allenarsi lì.
È stato Vidoz a insegnarle l’italiano?
Ahahah, no, lui parlava solo il dialetto!
È una leggenda della kickboxing. A quale altro sportivo si paragonerebbe?
Non mi piace farlo.
È un gioco.
Ho vinto tutto quello che c’era da vincere, quindi mi potrei paragonare a Messi.
Le piacciono altri sport da combattimento?
Quando ero in Armenia guardavo la boxe, mi svegliavo per vedere Tyson. Oggi nessuno mi fa impazzire.
Un domani potrebbe fare un match esibizione di boxe, come è di moda oggi?
Mai dire mai, questo ho imparato nella vita. Può succedere di tutto. Ora chiudo la carriera, poi chissà…
Ha raccontato nella sua biografia dei furti fatti nei supermercati per sopravvivere. Si pente?
Ho rubato del pollo per mangiare quando ero ragazzino e non avevo niente. Non mi pento, dovevo mangiare. Non ho rubato oro o fatto furti nelle case.
Più tardi avrebbe iniziato a lavorare. Come faceva a coniugare un mestiere faticoso con la kickboxing?
A 15 anni facevo il muratore, un lavoro pesante che mi formava fisicamente. Lo facevo con la testa dello sportivo. Lo prendevo come un allenamento, poi andavo in palestra a fare la parte tecnica. Prima di andare a lavorare, inoltre, correvo 40 minuti. Se uno ha voglia, si allena; le altre sono solo scuse.
Che ricordi ha dell’Unione Sovietica, dove è nato?
Al lago in estate con nonni e cugini, ricordi belli. Poi l’Armenia è diventata una repubblica ed è andata in guerra con l’Azerbaijan. Ricordo i soldati e i carri armati che si preparavano per andare in battaglia, bussavano alle porte perché non c’era ancora un esercito ufficiale. Mio papà aveva quattro figli e si è salvato, mentre mio zio è scappato sui tetti. Durante la guerra ricordo la fila per prendere un pezzo di pane, il gasolio che serviva per fare luce. Io ero piccolo, ma per i miei genitori sono stati giorni difficili.
Ci sarà a breve un nuovo Petrosyan?
No. Abbiamo un ragazzino bravo in palestra, ma rimane un punto di domanda perché in Italia temo che questo sport vada in difficoltà una volta che smetto io. Io vincevo incontri in Giappone e Italia 1 li trasmetteva in diretta. Io sono conosciuto all’estero, mentre i campioni che abbiamo oggi sono conosciuti solo in Italia o su Instagram.
Come vede gli altri sport da combattimento?
Rimane forte il pugilato in America e in Gran Bretagna. L’MMA non mi piace, in Italia non ha sfondato. La boxe a mani nude non mi fa impazzire, ci si fa troppo male.
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