Come si mette sotto stress una rete elettrica

  • Postato il 28 agosto 2025
  • Di Focus.it
  • 2 Visualizzazioni
Semafori spenti, negozi chiusi, gelati sciolti, persone boccheggianti, città in stallo. I black-out estivi sono sempre più frequenti, e nelle scorse settimane hanno colpito Torino, Bergamo, Firenze (ma sono accaduti anche in Francia e negli Usa): quando la richiesta di energia aumenta, capita che la rete che trasporta l'elettricità dalle centrali di produzione fino al nostro contatore di casa – attraverso cavi per l'alta, media e bassa tensione, e poi trasformatori, cabine di distribuzione, interruttori, sezionatori – vada in tilt. Ma come si fa a evitare che un guasto che colpisce un punto della rete faccia crollare tutto il sistema? Per capirlo siamo andati nei laboratori di Milano di Cesi, un'azienda italiana con sedi sparse in tutto il mondo, che svolge le prove per verificare la tenuta dei vari componenti della rete elettrica, garantendone la resilienza.. Anche in fondo al mare Il primo elemento da testare sono i cavi di alta tensione, che corrono per migliaia di chilometri in fondo al mare o sottoterra e devono durare anche 40 anni prima di essere sostituiti. Qui è la guaina isolante che deve reggere il continuo riscaldamento dovuto al passaggio di elettricità. A causa del cambiamento climatico, la guaina è messa ancor più a dura prova perché con temperature estreme diventa più difficile disperdere il calore. «Per garantire la continua capacità di isolamento, eseguiamo test su questi cavi per simulare in un solo anno la loro intera vita, anche perché una volta interrati o posati sui fondali marini, i cavi e le relative giunzioni non possono essere recuperati e riparati facilmente», spiega Alessandro Bertani, Operations Italy Director. «Le aziende produttrici ci danno i cavi e i giunti da testare», mi spiega Bertani mentre entro in un grande laboratorio dove un enorme cavo elettrico di decine di metri è attraversato dalla corrente. «Nel test di durata sottoponiamo il cavo a condizioni molto più estreme rispetto a quelle che affronterà durante il normale utilizzo. Facciamo passare una grande quantità di corrente (migliaia di ampere) e la spingiamo con una grande forza, cioè applichiamo una tensione molto elevata, fino a 900 kilovolt. Per fare un paragone, nelle nostre case la tensione è di soli 220 volt». «Questo ci permette di verificare che il cavo resista anche a sollecitazioni superiori a quelle reali, garantendo sicurezza e affidabilità nel tempo» continua Bertani. «Applicando corrente e tensione con apparecchiature separate riusciamo, a costi energetici contenuti, a eseguire cicli ripetuti in cui il cavo è stimolato come se fosse sottoposto alla massima potenza ammissibile: di conseguenza il cavo aumenta e diminuisce di temperatura, e questa viene controllata sempre con vari sensori e termocamere. Dobbiamo verificare che la guaina isolante, che decenni fa si realizzava in carta impregnata di olio ma oggi vede l'impiego sempre maggiore di polimeri plastici, regga ai ripetuti stress termici e non provochi dispersioni, che darebbero luogo a guasti. I cavi sono stati usati a lungo nelle reti a corrente alternata, anche se in realtà si è scoperto che per trasportare elettricità a grandi distanze è meglio usare la corrente continua (quella che va in unica direzione, dal polo positivo al negativo, ndr) negli ultimi anni sempre più utilizzata per realizzare nuovi collegamenti; il motivo è che causa minore dispersione lungo tragitti, che possono essere anche di 2.500 km o superiori». All'inizio e alla fine della prova di durata, ne viene fatta anche un'altra per vedere se l'isolamento resiste a eventi eccezionali: «Applichiamo per pochi millisecondi impulsi anche di 2 milioni di volt, per vedere se i cavi reggono senza dispersione».. Cesi è anche specializzata da trent'anni nella produzione di celle solari per uso spaziale. «Il boom della space economy ci ha spinto a inaugurare nuovi laboratori lo scorso marzo per produrre celle solari che vanno ad alimentare i tanti satelliti, soprattutto microsatelliti in bassa orbita, richiesti per molteplici applicazioni», ci spiega la direttrice scientifica Roberta Campesato. «La tecnologia usata è quella dell'arseniuro di gallio, che costa 100 volte più del silicio, ma resiste il doppio del tempo rispetto al silicio, e dunque prolunga la vita dei satelliti in orbita». Realizzare la struttura di queste celle per aumentarne l'efficienza, «che raggiunge il 30 per cento», è frutto di un procedimento chimico-fisico complesso: «All'interno di un reattore, che è una specie di pentolone sotto vuoto in cui ci sono temperature molto alte», spiega Campesato, «iniettiamo alcuni gas con flussi controllatissimi. Un procedimento chimico ne modifica le molecole e permette, con quella che è definita la tecnica metallorganica, agli atomi di depositarsi creando i wafer delle celle solari». Le celle solari spaziali hanno dimensioni da 26 cm2 fino a 80 cm2 «e vengono collegate agli interconnettori, una specie di mollette metalliche molto complesse, che permettono di assorbire la dilatazione termica subita dalle celle stesse quando nello spazio si passa in pochi millisecondi dallo zero assoluto (pari a -273 °C, ndr) fino a 100 °C». Per far sì che le celle trattengano al meglio l'energia dei raggi solari è necessario poi procedere a ulteriori processi che consistono nella metallizzazione e nella creazione di uno strato antiriflesso, in modo tale che la luce venga assorbita e non rimbalzi. «Infine, dato che nello spazio il satellite è sottoposto a radiazioni che accelerano l'invecchiamento di tutti i componenti e può incontrare micrometeoriti, posizioniamo sulle celle dei vetrini protettivi studiati per applicazioni spaziali, visto che non devono degradarsi per via degli ultravioletti e del bombardamento elettronico».. Un bunker per i test La corrente elettrica oltre a viaggiare nei cavi deve però anche essere trasformata, interrotta in casi di guasti, gestita dalle cabine di distribuzione e da altri componenti come i sezionatori per riconfigurare la rete: tutti questi componenti, come per i cavi, devono poter resistere ad altissime correnti che si generano in rete durante i guasti di corto circuito. Se non si facessero questi test, interruttori, sezionatori, trasformatori e altri dispositivi installati in campo potrebbero rompersi, fondersi, incollarsi o addirittura scoppiare. «Perciò facciamo passare correnti altissime di decine di migliaia di ampere per un tempo inferiore al secondo, per vedere se ad esempio gli interruttori funzionano e interrompono il flusso di corrente, o se i trasformatori o le cabine resistono senza bruciarsi», mi spiega Fabio Faccheni, responsabile dei laboratori di alta potenza a Milano, mentre mi fa vedere una cabina letteralmente incenerita da una scarica di elettricità. «Questo è il motivo per cui queste prove si svolgono all'aperto o in un enorme bunker di cemento armato utile a contenere possibili esplosioni. La sicurezza è importante non solo per la tenuta della rete elettrica, che deve essere sempre bilanciata e priva di sbalzi, e in grado di isolare l'area del guasto da tutto il resto, ma anche per le persone: i tecnici che si recassero ad esempio a riparare un quadro di media tensione in una cabina, devono essere protetti da eventuali fiamme o scariche, che devono essere contenute nel quadro stesso».. Prove casalinghe Alla fine del suo percorso l'elettricità arriva in casa e viene gestita dal contatore, e anche in questo caso si interviene per testarne la resilienza, anche perché, come spiega Bertani, «la probabilità di guasto di tutti i componenti che testiamo si attesta attorno al 25%, ma se parliamo di quelli che hanno elettronica a bordo, come i contatori, o come anche altri elementi della rete che devono essere controllati da remoto, si può arrivare al 60%. Ecco perché posizioniamo contatori, ma anche trasformatori e interruttori con i loro sistemi di comando e controllo, in una camera semianecoica (una camera con pavimento riflettente e con pareti che assorbono le onde elettromagnetiche e sonore, ndr), e li irradiamo con quelle onde elettromagnetiche da cui possono essere investiti quando sono in casa o nell'ambiente esterno, in modo da verificare se ne sono immuni o hanno malfunzionamenti. Allo stesso tempo misuriamo le onde elettromagnetiche emesse dagli stessi oggetti per capire se possono influenzare negativamente le apparecchiature circostanti».. Rete resiliente Ci sono poi altri test, come quelli sul ciclo di vita delle batterie utilizzate in grandi container per l'accumulo di elettricità. «Non solo le carichiamo e le scarichiamo di continuo ma, come facciamo con tanti altri componenti come i trasformatori, le mettiamo anche in celle climatiche dove ne verifichiamo il funzionamento mentre modifichiamo tasso di umidità da 0 a 100%, e temperature da sotto zero fino a 60 °C», spiega Bertani. Ma la sfida più interessante è quella di garantire la resilienza delle reti elettriche, fin dalla loro progettazione. Cesi - che è partecipata da Enel e Terna - per esempio collabora a grandi progetti come il Tyrrhenian Link, un'infrastruttura strategica che collega la Sicilia alla Sardegna e alla penisola italiana con un doppio cavo sottomarino di 970 chilometri. Un'opera che potenzia la rete per accogliere e utilizzare al meglio l'energia da fonti rinnovabili. Progetti simili sono in continuo sviluppo: «Si va dai corridoi nord-sud in Germania, ai collegamenti Italia-Montenegro, a quelli tra Stati Uniti e Canada, tra Egitto e Arabia Saudita, fino al progetto per migliaia di chilometri in Asia e altri ancora», dice Bertani. Progettare oggi significa sfruttare tutte queste conoscenze, comprese le indagini che Cesi viene chiamata talvolta a svolgere a campione su pezzi della rete in uso e utili a verificare eventuali criticità, per anticipare i problemi di un futuro che promette di essere sempre più complesso. «Il cambiamento climatico», spiega infatti l'amministratore delegato Nicola Melchiotti, «presenta incognite senza precedenti, dato che si devono progettare e testare cavi e componenti che dovranno resistere tra alcuni decenni a temperature che nessuno sa prevedere con precisione. La questione avrà un impatto sempre maggiore nel nostro settore anche su questioni che un tempo erano inesistenti. Un esempio è la necessità di costruire i convertitori di alta e media tensione a una decina di centimetri dal suolo. Il motivo? Resistere a inondazioni che un tempo erano rarissime e oggi sono all'ordine del giorno».. Nicola Melchiotti, AD di Cesi, azienda italiana che garantisce la resilienza della nostra infrastruttura e progetta le reti di domani, racconta a Focus lo stato del Paese e come far fronte ai nuovi scenari aperti da eventi meteorologici sempre più estremi e dal costante aumento di richiesta di energia. "La rete elettrica in Italia è sicura, perché negli ultimi 30 anni si è investito molto: non c'è il rischio che bruci tutto perché l'infrastruttura è robusta e anche  ben magliata". Nicola Melchiotti, AD di Cesi, azienda italiana con sedi sparse in tutto il mondo che esegue test per garantire la tenuta della rete e partecipa ai progetti delle infrastrutture di domani, ci tranquillizza. Di fronte alla crescente richiesta di energia e agli eventi sempre più estremi del clima gli italiani possono stare tranquilli: i blackout temporanei e spiacevoli possono sempre capitare, ma non possono portare a un collasso totale del sistema. "Peraltro l'Italia, al centro del Mar Mediterraneo, è in una condizione fortunata e ha la potenzialità per connettersi con tutti i Paesi che si affacciano sullo stesso mare". Il cambiamento climatico, con eventi sempre più imprevedibili, pone nuove sfide? Certamente alza l'asticella nel modo in cui dobbiamo progettare le infrastrutture. Nei nostri laboratori eseguiamo delle ciclature termiche che durano da qualche minuto a qualche ora, fino a qualche giorno, per accelerare l'invecchiamento dei componenti e testare cosa potrebbe succedere ad esempio ad un cavo dell'alta tensione tra 40 anni. Testiamo anche i sistemi: per esempio abbiamo ricreato un piccolo villaggio di 600 persone in cui abbiamo installato vecchi televisori e altri vecchi elettrodomestici, oltre ai contatori per vedere in un sistema reale cosa succede in certe occasioni estreme. Però nessuno sa come evolverà il cambiamento climatico, e quindi bisogna prepararsi, con la dovuta attenzione, senza eccedere in catastrofismi, ma pianificando gli investimenti, in un settore in cui le tecnologie progrediscono velocemente. Per fortuna in Italia questo percorso è già ben avviato. A volte bastano anche accorgimenti in fase di progettazione. Ad esempio? Le sottostazioni, che convertono la tensione elettrica e si incontrano a volte per strada, sono costruite a livello del terreno. Ma le inondazioni, che 30 anni fa quando sono state realizzate, non erano un tema, oggi sono molto più frequenti. In questo caso progettando le nuove, basta alzarle di una decina di centimetri per andare incontro a eventuali disastri futuri. Bisogna sforzarsi di pensare tutto in quest'ottica: i nostri ingegneri svolgono numerosi studi di resilienza per reggere di fronte a nuovi scenari. In questo ci aiuta anche la nostra attività di forensic analysis, che eseguiamo quando veniamo chiamati dopo un blackout per capire come è avvenuto e quale parte dell'infrastruttura ha ceduto. Come sarà la rete elettrica del futuro? Penso che avremo una rete molto rinnovabile, molto distribuita, in cui ci serviranno molti più cavi capillari e meno cavi giganteschi, in cui ci sarà molta più interconnessione. Ci sono varie previsioni su come potrà evolvere, ma molto dipende da come la gente la utilizzerà: ad esempio quando si parla di autovetture elettriche e di stazioni di ricarica, dobbiamo tenere conto che ognuna di queste stazioni può arrivare fino a 300 kilowatt, che non sono pochi da gestire. Finché le stazioni rimangono poche, la rete è in grado di gestirle senza problemi, ma se diventano migliaia ecco che sorgono nuovi problemi da risolvere. Insomma l'uso degli utenti definirà i futuri sviluppi. In ogni caso si sta iniziando a parlare anche di trasmettere energia da regione a regione: ad esempio stiamo lavorando a progetti per portare l'energia dal Mar Caspio, dall'Arabia Saudita e dall'Egitto in Europa; questi progetti 10 anni fa erano fantascienza, ma oggi esistono materiali che permettono di realizzare cavi cosiddetti HVDC a corrente continua, che permettono a costi ragionevoli di trasmettere l'energia a distanze mai viste. Certamente la richiesta di energia aumenta costantemente. Lo sviluppo dell'Intelligenza Artificiale e di altre tecnologie molto energivore che sfide pongono? Il tema non è nuovo: la storia dell'uomo, dall'età della pietra in poi, è fatta di un aumento costante di richiesta energetica in base al progresso, dalla scoperta del petrolio a quella dell'energia elettrica. Il progresso procede tanto velocemente quanto riusciamo a gestire la domanda energetica: oggi in uno smartphone c'è 100 volte l'energia di quella che utilizzavano i miei nonni, anche se le fonti di produzione energetica all'epoca erano diverse. Oggi si punta molto sull'elettricità perché è il vettore energetico più efficiente, dato che si può spostare con perdite molto basse e costi contenuti rispetto a quanto costa, per dire, muovere il carburante. Se riusciremo a stare al passo rispetto alla costante richiesta energetica, ce lo diranno i nostri figli, anche se non vedo una crisi energetica nel breve termine, anche perché se non c'è energia non la si dà. Certamente alcune tecnologie si svilupperanno anche in base a quanta energia è disponibile: se come società crediamo che l'Intelligenza Artificiale meriti enormi investimenti, li faremo, un po' nel solare, un po' nell'idroelettrico e un po' su altre fonti. E se non si riuscirà a produrre tutta l'energia necessaria in Italia, si produrrà altrove, ad esempio in nord Africa. Con i Bitcoin è accaduto lo stesso: il mining si è spostato dal mondo occidentale in quei Paesi che avevano energia abbondante e molto economica. Probabilmente con l'AI avverrà la stessa cosa: gli investimenti saranno fatti dove conviene di più..
Autore
Focus.it

Potrebbero anche piacerti