Conclave 2025: tre Chiese, un solo Papa da scegliere
- Postato il 3 maggio 2025
- Di Panorama
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«Il prossimo papa? Speriamo sia cattolico». Il monaco sparisce nel suo saio bianco e nero agitato dal vento. Un turbine è stato Jorge Mario Bergoglio: ha squassato la Chiesa. Dopo di lui le strade sono tre: la restaurazione, la definitiva mondializzazione o la resurrezione fondata sul recupero della tradizione per costruire una Chiesa aperta sì, ma prima di tutto guida del mondo che cambia. Ci sono almeno tre eredità di Francesco che i cardinali elettori dovranno o accettare o ricusare.
La prima è l’esortazione apostolica Amoris laetitia che a parere di tutto il mondo conservatore ha schiacciato la Chiesa su una concezione relativistica della fede consegnandola allo storicismo (su questo il fu cardinale di Bologna Carlo Cafarra insieme con Raymond Burke, Walter Brandmüller e Joachim Meisner formularono i famosi «dubia» rimasti senza risposta da parte di Francesco).
La seconda è la dichiarazione di Abu Dhabi che il Papa firmò nel febbraio del 2019 col Grande imam al-Azhar Ahmad al-Tayyib, in cui è detto: «Il pluralismo e la diversità delle religioni sono voluti da Dio nella sua saggezza, attraverso la quale ha creato gli esseri umani» che di fatto pone il cattolicesimo – ecco la battuta del monaco – al livello delle altre dottrine e dunque non esiste più un Cristo salvatore figlio dell’unico Dio.
E la terza eredità scomoda è la continua rivoluzione che Bergoglio ha condotto in curia fino al punto di privare la Segretaria di Stato delle sue ambasciate, fino al punto di rischiare il primo sciopero in duemila anni dei dipendenti vaticani. Francesco oltre le mura leonine è stato un monarca davvero assoluto.
Una cosa appare evidente: il Papa che parlava di pace proprio perché ha guardato agli ultimi, non ha interpretato né interpellato i potenti e perciò non ha saputo fermare alcun conflitto. Si è avuta la sensazione che la Chiesa alla rincorsa del Sud del mondo abbia smarrito la sua capacità di proposta e d’interdizione «geopolitica». Gli accordi con la Cina e le contemporanee accuse di genocidio a Israele – i rapporti con gli ebrei sono al punto più basso mai conosciuto – la distanza dagli Stati Uniti e in particolare da Donald Trump e l’estrema indulgenza verso regimi africani o del Sud del mondo, esclusa l’Argentina di Javier Milei, quel suo Paese che gli ha dedicato sette giorni di lutto, quella sua terra dove lui non è voluto tornare e non si sa perché, hanno del tutto allontanato il Vaticano dall’Occidente.
Quanto all’Europa Bergoglio l’ha ritenuta terra perduta: dilaniata da una sinodalità che va dalla Germania del cardinale Reinhard Marx impegnata a promuove le coppie gay, le donne prete, la comunione ai divorziati, alla Francia dove invece si è invocato il ritorno all’ortodossia, fino all’Italia dove il presidente della Conferenza episcopale il cardinale di Bologna Matteo Maria Zuppi si è visto bocciare il documento finale perché troppo poco assertivo sulle persone Lgbtq+.
Zuppi viene dato tra i papabili, ma questo incidente lo mette probabilmente fuori gioco perché debole e troppo «modernista». Marx tende a essere il «king maker» del conclave, ma dovrà vedersela col cardinale Gerhard Müller che porta nella Cappella Sistina l’eredità di Benedetto XVI e ha un argomento solidissimo per fermare il suo contraddittore: i denari. La Germania è infatti il più forte contribuente europeo al Vaticano che ha finanze in pessime condizioni malgrado le mille manovre di Bergoglio.
Si riuniscono tra una settimana, massimo due i 135 principi elettori, con un’anomalia mai verificata nella storia: ce n’è uno in più, ma interdetto ab eterno dai pubblici uffici. È Giovanni Angelo Becciu: condannato in primo grado a cinque anni per peculato senza aver preso un euro, forse sulla scorta di prove artefatte, rimasto cardinale solo nel nome. La vicenda è quella ben nota dell’acquisto del palazzo di Londra in Sloane Avenue. Se volessero i cardinali – ma la faccenda è giuridicamente complessa – potrebbero restituirgli il voto, ma significa renderlo pure un candidato possibile anche se del tutto improbabile.
La vicenda Becciu potrebbe pesare sul Segretario di Stato Parolin che è uno degli eleggibili al soglio di Pietro. Nel suo caso il vecchio detto del conclave, si entra Papa si esce cardinale, va preso con molte cautele. Parolin è comunque uno dei pochi che quasi tutti i cardinali conoscono: ha frequentato molte delle diocesi del mondo.
Gli elettori sono in numero mai visto: ci sarebbe un limite di 120 porpore che Francesco in vita ha ignorato. La sua speranza era, scattando progressivamente il limite degli 80 anni per i cardinali nominati da Giovanni Paolo II (ne sono rimasti cinque) e poi da Ratzinger, di avere un collegio di elettori interamente a sua immagine, così negli ultimi anni ha moltiplicato i concistori e le nomine.
Ma i «suoi» 108 elettori non si sono quasi mai incontrati. Il nuovo Papa dovrà raccogliere due terzi dei consensi: 91 voti. Prevedere un Conclave lungo non è un’eresia. Lo Spirito Santo avrà assai da fare. Servirà davvero che emerga l’uomo nuovo della provvidenza visto che Bergoglio ha lasciato prive di rappresentanza diocesi con milioni di fedeli.
La composizione del collegio è mondialista: 51 europei, 18 africani, 17 dell’America del Sud, quattro del Centro America, 16 del Nord America, quattro dell’Oceania e 23 dell’Asia, tra cui il cardinale eroe Joseph Zen Ze-kiun che ha più di 90 anni, e perciò non vota, ha patito la galera in Cina e contesta da sempre l’apertura al regime comunista di Pechino. Zen ha fatto sentire la sua voce altissima: «Hanno convocato le prime Congregazioni generali all’indomani della morte del Pontefice. Vuol dire impedire ai più anziani e ai più distanti la partecipazione al confronto. Che senso ha glorificare le periferie e poi impedirne la partecipazione?».
Quello che si sta per aprire è un conclave tutt’altro che sereno. Ci sono visioni del mondo e della fede diversissime. E metterle in sintonia sarà complicato. Anche per una questione fisica. Per la prima volta il collegio cardinalizio non soggiornerà tutto insieme. A Santa Marta – dove risiedeva Bergoglio – ci sono al massimo 128 stanze. In Vaticano non sanno come fare per mantenere la «segregazione» del gruppo unito. E si sa che ci sono comunità già pronte a farsi sentire. Di sicuro la chiesa nordamericana – è il maggiore contributore alle finanze vaticane – vorrà influire dall’esterno. Da Chicago arriva Blase Cupich che è un antitrumpiano totalmente schiacciato sulle politiche pro migranti del fu Bergoglio. Non è eleggibile, ma aggrega attorno a sé Zuppi e il cardinale filippino Luis Antonio Tagle. Quest’ultimo può ambire: ha ottimi rapporti con la Cina e il Sud-est asiatico, è uomo di curia – guida il dicastero per l’evangelizzazione – ha sempre insistito per il dialogo interreligioso.
L’americano forte è invece Timothy Dolan, arcivescovo di New York. Ha dietro di sé il 70 per cento della Chiesa americana, è il referente religioso del vicepresidente J.D. Vance, è il porporato che escluse dalla comunione Joe Biden perché favorevole all’aborto. Se vincono le preoccupazioni per le finanze vaticane e si vuole dare un nuovo profilo occidentale alla Chiesa potrebbe essere l’uomo del compromesso, magari lavorando in coppia con Raymond Burke. Il 76enne «avvocato canonista» è un difensore del Vetus ordo, incute rispetto al solo passaggio, un grande americano.
Come accennato, vero papabile è Parolin, segretario di Stato che Bergoglio ultimamente aveva messo da parte, è stato sì l’uomo dell’apertura con la Cina, ma è anche colui il quale può restituire in una fase convulsa della geopolitica mondiale centralità al Vaticano. Ha 70 anni, l’età giusta per il soglio, è italiano – e, ricordiamolo, dal 1978 l’Italia non ha più un pontefice – ha ottimi rapporti con le cancellerie del mondo ed è benvoluto dalla struttura vaticana.
Il partito degli ortodossi è guidato dai cardinali africani. A Bergoglio risposero: noi la benedizione ai gay non la daremo mai. Questa pattuglia ha un leader, un uomo forte sia di fede che di carriera: Robert Sarah. Guineiano, è il prefetto della Congregazione per il culto divino: potrebbe essere il primo Papa nero. Ha quasi 80 anni, ma vanta ottimi rapporti con la Chiesa francese, con la curia e in Africa è considerato quasi un santo. Sempre dall’Africa potrebbe affacciarsi Fridolin Ambongo Besungu, cardinale di Kinshasa, Repubblica democratica del Congo, con un’esperienza spirituale fortissima. Ha 66 anni e potrebbe coagulare intorno a sé le Chiese del Sud. Minori chance hanno Jean-Marc Aveline, che va iscritto nella pattuglia degli ultra-bergogliani. Ha la cattedra a Marsiglia: è ecologista e a favore dei gay. Gli si contrappone Willem Jacobus Eijk, arcivescovo di Utrecht, Paesi Bassi, che è contro l’eutanasia. Potrebbe tessere la tela a vantaggio di Sarah. Molto quotato è lo spagnolo Cristóbal López Romero, arcivescovo di Rabat, Marocco, fermo nel dialogo con l’Islam.
C’è infine l’ultimo italiano: Pierbattista Pizzaballa, bergamasco da anni al «fronte» di Gerusalemme. Parla l’ebraico, ma blandisce i palestinesi. È uomo di pace, però con un difetto: ha «soltanto» 60 anni. E come ha detto un cardinale emerito indicando la magnifica Cappella Sistina: «Là dentro devono scegliere il Santo Padre, non il Padre eterno».