Contro il capitalismo di Stato cinese c’è l’arma del mercato. La corsa per le terre rare secondo Singh

  • Postato il 2 luglio 2025
  • Economia
  • Di Formiche
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Sì, sui minerali critici, la Cina ha il coltello dalla parte del manico. Ma no, la partita non è chiusa. L’estate del 2025 verrà ricordata, tra le altre cose, come quella della lunga corsa verso l’approvvigionamento di terre rare. Il Dragone, non è un mistero, è due passi avanti rispetto all’America. Ma la gara non è persa, anzi, spiega Daleep Singh, per anni consigliere economico della Casa Bianca. Da dove ripartire?

“Dobbiamo ricostruire l’infrastruttura che sostiene i mercati e quindi le catene di approvvigionamento: i contratti di riferimento che stabiliscono la trasparenza dei prezzi, gli scambi fisici che supportano la produzione, il trasporto e lo stoccaggio di metalli e minerali critici e la liquidità del mercato necessaria per ridurre il rischio di investimento, sono tutte operazioni da mettere a terra”, chiarisce Singh. “Consideriamo il caso di Albemarle, la più grande azienda americana di litio. Il suo amministratore delegato ha recentemente scartato la possibilità di costruire la più grande raffineria di litio del Paese. I calcoli non funzionano, ha spiegato, i prezzi sono troppo bassi e il mercato è troppo volatile”.

Cosa c’è dietro il successo della Cina sulle terre rare? La presa del Dragone sulle infrastrutture critiche del mercato minerario non è avvenuta per caso. Dopo la crisi finanziaria globale, riforme normative ben intenzionate hanno spinto i capitali fuori dai mercati occidentali delle materie prime. Questo vuoto è stato esattamente l’occasione di cui Pechino aveva bisogno per inserirsi come nuovo market-maker del mondo. La Cina si è mossa rapidamente. Ha lanciato borse nazionali esplicitamente progettate per aumentare il potere di determinazione dei prezzi del Paese o nuovi contratti sui metalli nelle borse esistenti. A un anno dal lancio, il contratto sul nickel di Shanghai ha iniziato a superare il London Metal Exchange per volume di scambi”.

Insomma, “il manuale di Pechino è semplice: accettare perdite a breve termine per far fallire i rivali, per poi dominare le esportazioni a valle di alto valore, come le batterie. Con i prezzi distorti da una deliberata sovrapproduzione, le aziende statunitensi faticano ad attrarre capitali o a sostenere le attività. E questo è l’approccio di cui gli Usa hanno bisogno per i minerali critici. Ripristinare i segnali di prezzo, affollare i capitali. Lasciare che siano gli investitori privati a guidare l’offerta, non il governo. Ma perché questo funzioni, la politica deve essere condotta da istituzioni credibili e isolate dal ciclo politico”. Il rischio è alto, spiega Singh. “Senza mercati funzionanti per i minerali critici, i produttori americani dovranno affrontare costi di produzione più elevati, interruzioni delle forniture e una crescente dipendenza dalle imprese estere sostenute dallo Stato. Il capitalismo di Stato cinese non si batte copiandolo. Lo si sconfigge ricostruendo i mercati che Pechino ha cercato di smantellare”.

Autore
Formiche

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