Cosa succede se la Russia invade l’Estonia? Lo scenario di un esperto tedesco e un decano del giornalismo italiano
- Postato il 31 agosto 2025
- Politica
- Di Blitz
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Cosa succede se la Russia attacca l’Occidente? Lo scenario dell’invasione dell’Estonia nel 2028 secondo un esperto tedesco è un decano del giornalismo italiano.
Paolo Valentino ha anticipato per i lettori del Corriere della Sera un libro appena uscito in Germania e in Italia, Se la Russia attacca l’Occidente, di Carlo Masala. Masala è il più autorevole analista militare tedesco e insegna politica internazionale all’Università della Bundeswehr, l’esercito federale.
Il libro è collocato nel marzo 2028
L’analista militare tedesco Carlo Masala immagina nel suo romanzo (pubblicato in Italia da Rizzoli) lo scenario è di “operazioni ibride, l’invasione di Narva, al confine fra Russia ed Estonia, un presidente americano che «non vuole rischiare la guerra mondiale per una piccola città estone»”.
Il racconto si apre con un’operazione a sorpresa, truppe russe hanno invaso la piccola città estone di Narva, al confine con la Russia, e si sono impossessate dell’isola baltica di Hiiumaa.
Sono passati tre anni da quando la guerra in Ucraina è stata in qualche modo congelata. Putin ha vinto. Dopo la fine degli aiuti militari decisa dagli Stati Uniti, l’Europa non è riuscita a colmare il vuoto.
Kiev è stata costretta ad accettare la clausola della neutralità che le chiude le porte della Nato, mentre Mosca si è tenuta la Crimea e controlla anche le province del Donbass.
Vladimir Vladimirovich da un anno ha ceduto la presidenza a un tale Oleg Obmanshikov, ma è ancora lui il grande burattinaio. La vittoria in Ucraina ha alimentato il suo istinto espansionista.
La convinzione diffusa in Occidente è che Putin non attaccherebbe mai militarmente un Paese membro della Nato. Sarebbe un azzardo, scongiurato dalla prospettiva che l’attivazione dell’articolo 5, con l’intervento dell’Alleanza atlantica, porterebbe a uno scontro diretto con gli Usa. Inoltre, la Russia, anche se vincente, uscirebbe sfinita dalla guerra contro Kieve non sarebbe ancora in grado di lanciarsi in nuove e costose avventure.
L’autore, scrive Valentino, rovescia la prospettiva. «Il nostro scopo — dice nel racconto un dirigente russo — dev’essere di testare la disponibilità della Nato a reagire nel caso di una nostra avanzata».
Nel racconto, il test funziona a vantaggio di Mosca che ha fatto precedere la miniinvasione da due operazioni ibride con il trasporto e l’abbandono di un’ondata di profughi africani alle frontiere col Baltico e il sabotaggio di una base britannica.
A Bruxelles, nella riunione d’emergenza della Nato, il presidente americano dice che non vuole rischiare la guerra mondiale per «una piccola città estone». L’Alleanza si spacca. L’Estonia viene lasciata alla mercé dei russi. Nel frattempo, in pieno coordinamento con la Russia, la Cina lancia un’azione in Asia occupando alcune isole delle Filippine.
È solo uno scenario naturalmente. Alcune tessere del mosaico sono improbabili. E in fondo in Estonia ci sono pur sempre due brigate Nato di soldati inglesi e francesi. Ma è un fatto che con Donald Trump l’avvenire dell’impegno americano in Europa sia sempre più incerto.
Per questo l’autore invita i Paesi europei e prendere molto sul serio la minaccia russa. Dopotutto, ricorda, negli ultimi cinque secoli Mosca ha invaso uno dei suoi vicini in media ogni 20/25 anni. Solo se il Cremlino si rende conto che l’Alleanza è determinata a difendere i suoi confini ad ogni costo, sarà scoraggiato dal tentare ogni avventura.
Nel 1700, ricorda Paolo Valentino, proprio a Narva, la coalizione guidata dalla Svezia, di cui erano parte anche la Polonia, i cosacchi ucraini e l’Impero Ottomano, ottenne una vittoria decisiva sulla Russia. Fu l’inizio della Grande Guerra del Nord, che si sarebbe però conclusa ventuno anni dopo con il trionfo finale dello Zar Pietro il Grande e la conquista russa del Baltico. «Si riprese ciò che apparteneva alla Russia», ha detto Putin nel 2022. Ed ha aggiunto: «Sembra che ora tocchi a noi recuperare quello che ci appartiene».
Per questo, conclude, non si respira aria buona da quelle parti.
La Stampa ha di recente pubblicato una intervista di Uski Audino a Markus Tsahkna, ministro degli esteri dell’Estonia: “Ci riarmiamo, dobbiamo difenderci” ha detto.
Aggiunge il ministro degli Esteri estone: «Ci armiamo per la nostra sicurezza, non per fare un favore a Trump o all’Ucraina». Mentre «il debito comune non è mai entusiasmante ma abbiamo un nemico strategico oltre confine».
L’intervista al ministro della Estonia sulla Russia
Cosa pensa di quanto è successo alla Casa Bianca scorso tra Trump e Zelensky?
«Abbiamo visto tutti che cosa è successo. L’importante ora è che riprendano i colloqui la settimana prossima. Certo Trump ha messo Zelensky e l’Ucraina sotto pressione, mettendo in pausa il sostegno militare e l’Intelligence. Mi sarei aspettato di vedere più pressione su Putin, un dittatore, che sull’Ucraina, la vittima. Ma quello che è successo giovedì a Bruxelles è veramente storico e dobbiamo focalizzarci su cosa fare insieme, se siamo in grado di rimpiazzare il supporto Usa».
Se Trump abbandona Zelensky e chiude un accordo con Putin, che effetti può avere sulla regione e sulla sicurezza degli Stati Baltici?
«Se non ci sarà una pace duratura, tutta l’Europa soffrirà. Già nel 2007 alla Conferenza di Monaco Putin ha annunciato il suo piano. E ora di nuovo è tornato a ribadire di voler eliminare le cause all’origine. E non si tratta certo di riguadagnare qualche territorio in Ucraina, ma riportare l’ombrello della Nato indietro al 1997 in tanti Paesi dell’Est. Questo è un tema che riguarda la sicurezza in Europa, non l’Ucraina. Certo, riguarda anche noi, ma solo perché siamo al confine della Ue. Sapevamo da anni che sarebbe successo. Sfortunatamente il campanello d’allarme in Georgia nel 2008 e in Ucraina nel 2014 (Crimea) non ha funzionato, ma spero che ora funzioni».
In Italia si parla molto di pace. Le piace la pace che ha in mente Trump, senza tanto riguardo alle garanzie di sicurezza?
«Non ci può essere una pace giusta e duratura senza garanzie di sicurezza funzionanti e senza indebolire Putin. Questa seconda cosa si può fare con più sanzioni sull’energia e più sostegno militare all’Ucraina. Al momento il presidente Trump ha bisogno di un cessate il fuoco più rapidamente possibile, perché l’ha promesso in campagna elettorale. Riguardo alle garanzie, secondo noi possono essere fornite solo con un ingresso nella Nato dell’Ucraina, ma siamo realisti. Sappiamo che non succederà a breve. Quindi come Europa dobbiamo metterci insieme al lavoro per fornire noi la sicurezza. E non per l’Ucraina, o per Trump ma per noi stessi. Credo che anche le persone in Italia lo capiscano».
Che cosa sono garanzie di sicurezza soddisfacenti?
«Devono essere misure che abbiano una reale deterrenza. Quello che abbiamo scritto nel 2015 a Minsk 1 e 2 non era abbastanza. Se abbiamo una presenza militare composta da una coalizione dei volenterosi focalizzata sugli interessi dell’Ucraina, insieme a un esercito ucraino ben addestrato, insieme a tutte le capacità militari necessarie, be’, possiamo parlarne. Certo, la Nato è la cornice più efficiente già funzionante. Ma se non c’è volontà politica, va bene qualcosa di simile. Ora vedremo quali Paesi decideranno di partecipare».
Come vede la posizione di Meloni? Tra Usa e Europa, tra l’Ue e Orban?
«Sono sicuro che stia lavorando per unire alleati diversi, perché abbiamo bisogno anche del supporto degli Stati Uniti per le garanzie di sicurezza. Abbiamo bisogno che Usa, Ucraina e alleati europei siano attorno al tavolo per discutere cosa fare insieme. Capisco che il presidente Trump dica che l’Europa debba mettere qualcosa sul tavolo. Noi dobbiamo sapere che avremo anche in futuro relazioni profonde con gli Usa».
La Nato è stata fondamentale per oltre 70 anni. Ora, con la posizione di Trump, è ancora il contenitore giusto per la difesa europea?
«È l’unico che abbiamo. Penso che la Nato funzioni e che gli Stati Uniti siano presenti. Perché se la Nato dovesse collassare, gli Usa perderebbero la loro posizione a livello globale. Siamo tutti interdipendenti. La domanda è se la Nato e gli alleati europei stiano investendo abbastanza. Spero che, all’Aia, al vertice Nato, raggiungeremo almeno una media del 3,5%».
Che cosa pensa del piano ReArm EU? Permetterà di aumentare le spese senza incappare nelle procedure per deficit eccessivo. Va bene per voi?
«Sì, noi in Estonia dal primo gennaio abbiamo introdotto una tassa del 2% per tutti per alzare le spese militari e abbiamo in programma un aumento fino al 5% del Pil per la Difesa e abbiamo bisogno di questa nuova proposta per poter allontanarci dalle rigide regole sul bilancio dell’Ue. Ora speriamo che gli altri facciano altrettanto».
E che cosa pensa della seconda proposta che: «Fornirà 150 miliardi di prestiti agli Stati membri per investimenti nella difesa»? È giusto avere un debito comune?
«Non siamo entusiasti del debito comune perché ci mette in posizioni diverse. Ma quando è arrivato il Covid abbiamo agito in fretta e sono arrivati 700 miliardi. Ora abbiamo un nemico strategico dall’altra parte del confine, pronto a combattere contro di noi. Ma sono preoccupato per la procedura: se tutti i 27 Stati membri devono approvare le condizioni nei Parlamenti nazionali, potremmo perdere due anni».
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